Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 10-06-2011) 14-07-2011, n. 27786 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 29.3.2011 il Tribunale di Brescia in funzione ex art. 310 c.p.p., confermava il provvedimento in data 28.2.2011 del GIP del medesimo Tribunale che aveva aggravato la misura cautelare applicata a B.A. per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, con quella della custodia carceraria.

Secondo quanto riportato da detta ordinanza del Tribunale, il B. era stato arrestato in data 2.12.2010 in quanto rinvenuto in possesso di poco meno di due chilogrammi di hashish e di 2 grammi circa di cocaina. Il B., con ordinanza 4.12.2010, era stato quindi sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari.

Con successiva ordinanza del 28.2.2011 la summenzionata misura era stata sostituita con la più tenue misura dell’obbligo di presentazione trisettimanale alla polizia giudiziaria. Con nota del 19.2.2011 i Carabinieri della Stazione di Calcinate comunicavano di avere, in data (OMISSIS), sorpreso il B. (trovato in possesso di Euro 220) presso l’abitazione di tale M.N. la quale, in quel contesto arrestata poichè deteneva cocaina per 5 grammi ed altra sostanza della medesima specie suddivisa in 7 confezioni, spontaneamente riferiva che i 5 grammi di cocaina sequestratale le erano stati appena consegnati dal B., al quale attribuiva il ruolo di suo fornitore anche in altre e precedenti occasioni e che i Euro 240 di cui questi era in possesso erano il prezzo dello stupefacente. Il fatto delle pregresse cessioni di stupefacente era peraltro confermato dal marito della M. (sentito a sit).

Avverso tale ordinanza del Tribunale Bresciano ricorre per cassazione B.A. deducendo i seguenti motivi.

1. La violazione degli artt. 276 e 299 c.p.p.: infatti era stata posto a base dell’aggravamento un fatto diverso dalla violazione di una delle prescrizioni inerenti la misura cautelare prevista per l’emissione ex officio dell’ordinanza aggravatrice ex art. 276 c.p.p. e cioè l’aggravamento delle esigenze cautelari previsto dall’art. 299 c.p.p. che richiedeva, però, la richiesta del P.M.; inoltre il Tribunale non poteva emendare, integrandola, l’ordinanza del GIP fondandola su altro e diverso titolo ed istituto.

2. La violazione del combinato disposto dell’art. 274 c.p.p., lett. c) e art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) ed il vizio motivazionale, attesa l’assenza o illogicità della motivazione in ordine all’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla M..

3. La violazione dell’art. 273 c.p.p., per l’assenza, in relazione alle dichiarazioni della M., di riscontri esterni individualizzanti.

4. La carenza ed illogicità della motivazione In ordine alla compatibilità della somma rinvenuta in possesso della M. con quella cui le sue dichiarazioni avevano fatto riferimento e In ordine ad altri elementi favorevoli all’indagato.

5. la violazione di legge in relazione al combinato disposto dall’art. 274 c.p.p., lett. c) – art. 275 c.p.p., – art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) bis ed il vizio motivazionale, non avendo il Tribunale valutato l’idoneità di altre misure cautelari in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto.

Il ricorso è inammissibile essendo le censure mosse manifestamente infondate. E’ vero che non si può riscontrare alcuna violazione delle prescrizioni imposte con la precedente misura (di presentazione trisettimanale alla P.G.), sicchè il richiamo all’art. 276 c.p.p. nel provvedimento impugnata con riferimento alla richiesta di aggravamento è del tutto inconferente, ma l’ordinanza di aggravamento della misura con quella carceraria fu comunque emessa su richiesta dell’aggravamento depositata dal P.M.. Il richiamo fatto dal Tribunale all’art. 299 c.p.p. s’appalesa, dunque, del tutto corretto, rientrando nel potere riconosciuto al Tribunale di integrare la motivazione del provvedimento impugnato, evitandone l’annullamento (Cass. pen. Sez. 1, n. 27677 del 10.6.2009, Rv.

244718). Peraltro è stato affermato che "Qualora il pubblico ministero abbia richiesto la sostituzione della misura degli arresti domiciliari con quella della custodia in carcere, sulla base del disposto di cui all’art. 276 c.p.p., disposizione che prevede il caso di trasgressione dalle prescrizioni imposte, anzichè ai sensi dell’art. 299 c.p.p., comma 4, per l’aggravamento delle esigenze cautelari, il tribunale del riesame non può rigettare la richiesta in base all’erroneo riferimento normativo, ma deve valutare se la violazione della misura degli arresti domiciliari, unitamente agli altri elementi eventualmente dedotti, abbia effettivamente comportato l’aggravamento delle esigenze cautelari, con conseguenze anche rispetto al principio di adeguatezza della misura previsto dall’art. 274 c.p.p. e deve nel caso positivo sostituire "in peius" detta misura" (Cass. pen. Sez. 6, n. 31074 del 14.6.2004, Rv. 229501).

Invero, conformemente all’orientamento di questa Corte, secondo il quale, "il giudice, qualora debba provvedere, anche d’ufficio, in ordine alla revoca o alla sostituzione della misura coercitiva, ha l’obbligo di rivolgere al pubblico ministero richiesta di parere, il cui inadempimento comporta la nullità prevista dall’art. 178 c.p.p., lett. b) per Inosservanza delle disposizioni concernenti la partecipazione del pubblico ministero al procedimento" (Cass. pen, Sez. 1, n. 13981 del 4.2.2003, Rv. 224024), si deve rilevare che nel caso di specie, a seguito della segnalazione dell’arresto in flagranza del B. effettuata dei Carabinieri in data 19.2.2011 e diretta al GIP, questi ha richiesto, come da annotazione vergata In cima alla segnalazione, il suo eventuale parere al P.M. che, di rimando, in calce alla detta nota, ha stilato la richiesta di sostituzione della misura in atto con quella della custodia carcerarla. Ne consegue la perfetta legittimità dell’operato del Giudice a quo, nell’emissione dell’ordinanza applicativa della più grave misura carceraria.

Le ulteriori censure sono comunque infondate attesa la congrua e corretta motivazione. Invero, è del tutto inconferente in questa sede il richiamo alla valutazione della gravità degli indizi con riguardo all’attendibilità delle dichiarazioni del coindagato (e dei relativi riscontri esterni, che comunque si evincono dalle operazioni di appostamento dei CC. e a dalle dichiarazioni rese dal marito della coindagata) che concernono altra ordinanza cautelare e diverso procedimento nel quale è rimasto coinvolto il ricorrente il cui arresto in flagranza, a seguito delle oggettive constatazioni dei militari operanti, ha rappresentato solo la ragione di fondo dell’aggravamento della misura applicatagli per altra causa e rivelatasi del tutto Insufficiente ai fini preventivi.

La gravità degli indizi di cui all’art. 273 c.p.p. è prescritta per l’emissione dell’ordinanza applicativa dell’ordinanza cautelare relativa al reato cui gli indizi aderiscono, mentre nel caso di specie si tratta di una valutazione estemporanea relativa alla condotta del ricorrente ai fini dell’aggravamento della misura applicatagli: ad ogni modo il Tribunale ha congruamente valutato l’attendibilità della M. attraverso ulteriori elementi di riscontro oggettivi (assenza di intenti calunniatori, autonomo possesso di altra sostanza stupefacente, qualità di spacciatrice, luogo di reperimento dei 5 grammi di cocaina ricevuti dal B., somma di denaro rinvenuta in possesso del ricorrente compatibile con quella indicata dalla M.).

Altrettanto congrua e corretta è la motivazione addotta dal Tribunale a sostegno della scelta della specie di misura da applicare in aggravamento, avendo acutamente rimarcato l’assenza in capo al B. della capacità di autocontrollo che escludeva l’adeguatezza di qualsiasi misura diversa da quella carceraria.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità. Non conseguendo dalla presente sentenza la rimessione in libertà degl’indagati, si deve disporre, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, che la cancelleria trasmetta copia del presente provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario competente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’Istituto penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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