Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 26-05-2011) 14-07-2011, n. 27781 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con l’ordinanza, resa in data 10.02.2010, la Corte d’Appello di Lecce ha rigettato la richiesta, presentata da T.D., di riparazione per ingiusta detenzione, in riferimento al procedimento penale che lo aveva visto imputato del reato di partecipazione ad associazione a delinquere finalizzata al contrabbando, dal quale era stato assolto con sentenza del 12.04.2007.

Rifacendosi alle risultanze istruttorie esaminate nella sentenza di assoluzione e prima ancora al contenuto del provvedimento cautelare, la Corte di Appello ha evidenziato che l’applicazione della misura cautelare restrittiva era stata disposta, tra l’altro, sulla base di elementi probatori emersi nella fase delle indagini e rimasti provati con certezza, sintomatici della contiguità del T. con l’associazione criminale facente capo al gruppo Sabatelli.

La Corte ha evidenziato che all’individuazione dell’istante, come partecipe nel traffico delittuoso del gruppo Sabatelli, si è giunti all’esito di indagini partite da intercettazioni telefoniche intercorse tra S.G. e L.D. nel corso delle quali si faceva sempre riferimento ad un luogo convenzionale ed usuale per incontrarsi e consegnare il denaro, luogo che, all’esito di servizi di osservazione, era stato individuato nell’officina del T.. Lo stesso ricorrente, rileva il giudice della riparazione, pur negando ogni responsabilità in ordine alla partecipazione al reato contestatogli, in sede di interrogatorio di garanzia, ha ammesso di conoscere S.G., che in più occasioni aveva frequentato la sua officina e che il medesimo era solito fissare appuntamenti presso di essa con persone a lui non conosciute;

ammetteva anche di sapere dell’attività di contrabbandiere svolta dal S..

Con il proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del difensore, l’istante denuncia, con tre motivi, violazione di legge e vizi di motivazione dell’atto, consistenti in una errata valutazione della condotta del ricorrente, apoditticamente ritenuta integrare l’ipotesi di colpa grave, gravità sulla quale manca una convincente ed analitica motivazione, che possa superare la valutazione della sentenza di assoluzione, per la quale gli indicati elementi sono stati ritenuti inconsistenti o insufficienti per una affermazione di penale responsabilità. In particolare si evidenzia che l’ordinanza della Corte d’Appello da rilievo ad un mero sospetto, in base al quale il T. venne ingiustamente privato della libertà. E’ stata ritenuta sussistente la sua colpa solo per aver frequentato il S.G. con una valutazione che presuppone l’esistenza di una regola cautelare di condotta che imponga di astenersi dalla frequentazione, anche solo amichevole, di soggetti che siano oggetto di procedimento penale. La condotta colposa in esame manca della gravità, ossia che si tratti di condotta superficiale di grado elevato, di ingiustificabile trascuratezza o di macroscopica negligenza del comportamento. In sostanza, si afferma che i giudici hanno finito per attribuire in tal modo rilevanza ad un comportamento genericamente riprovevole. Il vizio di motivazione viene riscontrato sotto il profilo dell’omesso apprezzamento di tutti gli elementi probatori disponibili. Si argomenta che non è stata la frequentazione con l’amico di lunga data, S.G., il fattore condizionante l’adozione del provvedimento restrittivo, bensì l’errore altrui. Dalla semplice lettura delle intercettazioni telefoniche intercorse tra i vari indagati, si evinceva chiaramente che nei confronti del T. non vi è neppure una sola intercettazione di interesse investigativo. Ma dalle stesse non emerge un solo contatto telefonico diretto tra il T. e tutti gli altri coimputati, non risulta neppure un riferimento concreto ad attività illecite o interessi personali da parte del ricorrente con gli altri soggetti imputati.

Con un quarto ed ultimo motivo si denuncia altra violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla condanna al pagamento delle spese di lite in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanza nonostante tale ente non si sia mai costituito.

Con il parere scritto il P.G., nella persona del dott. Luigi Riello, chiede di rigettare il ricorso con riferimento all’an ed ha evidenziato che l’impugnata ordinanza appare adeguatamente motivata in quanto in essa vengono specificati, con riferimento al caso concreto, i comportamenti del ricorrente caratterizzati da spiccata leggerezza o macroscopica trascuratezza o evidente imprudenza. Il provvedimento, dunque, era stato emesso in un quadro gravemente indiziario cui aveva dato luogo anche il ricorrente con un comportamento gravemente colposo che aveva reso credibili le accuse mosse nei suoi confronti. Chiede, relativamente al quarto motivo, che la sentenza venga annullata senza rinvio.

Con memoria scritta l’Avvocatura Generale dello Stato ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Il ricorso va parzialmente accolto con riferimento al quarto motivo, gli altri motivi sono infondati ed in ordine ad essi il ricorso va rigettato. Alcuna argomentazione contraria, se non il riferimento di stile ad una copiosa giurisprudenza in materia della S.C., che per altro sorregge le argomentazioni dell’impugnato provvedimento, è stata apportata ai rilievi della Corte d’Appello, come indicati nella parte narrativa e riportati dallo stesso ricorrente; ci si limita ad evidenziare una errata valutazione delle condotte addebitate all’istante.

Appare conferente il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui (cfr. fra tutte Cass. Pen., 4^ sez., n. 2830, del 12.5.2000) "il sindacato del Giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare il presupposti per l’ottenimento del beneficio indicato. Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito la valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa o sull’esistenza del dolo restando al giudice di legittimità soltanto il compito di verificare la correttezza logica del ragionamento".

Per il caso che ci occupa, l’iter argomentativo, sia pure sintetico, seguito dalla Corte d’Appello, resiste alle censure di cui al ricorso in quanto, gli elementi probatori già sussistenti nella fase delle indagini che, se da un lato non sono stati ritenuti, successivamente all’esito del giudizio, sufficienti per un’affermazione di responsabilità penale del T.D. in ordine al delitto a lui addebitato, costituiscono, per altro verso, condotte rilevanti una eclatante e macroscopica negligenza ed imprudenza; presupposto che ha ingenerato la falsa apparenza della loro configurabilità come illecito penale e dando luogo, così, alla detenzione con rapporto di causa ed effetto.

Come già riportato nella parte narrativa, il giudice della riparazione ha adeguatamente esposto gli elementi a carico del T. consistenti nel rapporto intrattenuto con S. G., risultato coinvolto in traffici illeciti di contrabbando di sigarette con la importante e significativa puntualizzazione che lo stesso ricorrente ha ammesso di esserne a conoscenza, e ciò nonostante, ha consentito che presso la sua officina il S. incontrasse persone a lui non conosciute. Sulla base del contenuto di diverse intercettazioni telefoniche gli inquirenti apprendevano che il luogo convenzionale ove il S. incontrava i complici e consegnava somme di denaro era proprio l’officina del T.. Queste attività non potevano non essere notate dal ricorrente, prestandosi in tal modo, sia pure a titolo di amicizia, ad agevolare i traffici illeciti del suo amico S..

Si condivide pienamente il rilievo del Procuratore Generale secondo cui siffatti comportamenti non possono non definirsi gravemente colposi, concretizzando essi senz’altro quanto meno sospetti ed altamente imprudenti rapporti di frequentazione con ambienti malavitosi dediti ad illeciti traffici, rapporti che hanno potuto avere significativa incidenza causale nell’adozione della misura cautelare.

Dunque, di fronte alla condotta volontaria del ricorrente su descritta, sussistevano concrete probabilità che egli potesse essersi reso responsabile dei reati contestatigli e, comunque, idonee ad aver colpevolmente indotto l’Autorità giudiziaria a credere nel suo coinvolgimento e a procedere all’applicazione della misura cautelare personale.

Ed appare evidente che il GIP, nella valutazione complessiva della condotta criminosa del ricorrente, in relazione alla verifica dei presupposti per emettere il provvedimento cautelare, ha tenuto senz’altro conto dei dati oggettivi ma anche del comportamento dell’indagato, e di tanto ha tenuto in conto la Corte territoriale, nell’esaminare la richiesta de qua, sotto il profilo della colpa, indipendentemente dalla relativa valutazione di non valenza criminale operata dalla sentenza assolutoria.

Fondato è il quarto motivo. Come già ha evidenziato il Procuratore Generale, in assenza della costituzione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, nulla andava liquidato a titolo di spese ed onorari, non potendo applicarsi il disposto dell’art. 81 c.p.c..

Di conseguenza l’impugnata ordinanza va annullata limitatamente alla statuizione relativa alla condanna del ricorrente alle spese in favore del Ministero citato, statuizione che si elimina.

Ricorrono ragioni di equità per compensare tra le parti le spese di questo grado del giudizio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’impugnata ordinanza limitatamente alla statuizione relativa alla condanna del T.D. al pagamento delle spese in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze, statuizione che elimina. Rigetta nel resto il ricorso. Dichiara interamente compensate tra le parti le spese di questo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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