Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 18-05-2011) 14-07-2011, n. 27774 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.G. ricorre avverso l’ordinanza di cui in epigrafe che ha accolto la sua istanza di riparazione per ingiusta detenzione, lamentandosi del quantum liquidato.

Il giudice della riparazione, dopo avere correttamente enunciato i criteri di liquidazione del quantum relativo alla riparazione per ingiusta detenzione,ha liquidato la somma di Euro 17.250, per 93 giorni di detenzione in carcere e 33 giorni in regime di arresti domiciliari, affermando che l’istante non aveva lamentato particolari conseguenze derivanti dalla custodia cautelare e che "d’altra parte lo stesso era pregiudicato.

Il ricorso contesta l’affermazione del giudicante di non essere stati dimostrati pregiudizi particolari tali da legittimare la concessione dell’indennità nel massimo.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (Sezione 4, 25 febbraio 2010, Cammarano, rv. 246424) la liquidazione dell’indennizzo previsto a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione va disancorata da criteri o parametri rigidi e deve, al riguardo, procedersi con equità (anche perchè la delicatezza della materia e le difficoltà per l’interessato di provare nel suo preciso ammontare la lesione patita ha indotto il legislatore a non prescrivere al giudice l’adozione di rigidi parametri valutativi, lasciandogli, al contrario, sia pure entro i confini della ragionevolezza e della coerenza, ampia libertà di apprezzamento delle circostanze del caso concreto), valutandosi la durata della custodia cautelare e, non marginalmente, le conseguenze personali, familiari, patrimoniali, morali, dirette o mediate, che siano derivate dalla privazione della libertà. Dato di partenza della valutazione indennitaria, che va necessariamente tenuto presente, è costituito dal parametro aritmetico costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315 c.p.p., comma 2, e il termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 303 c.p.p., comma 4, espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta detenzione subita.

Il giudice deve procedere alla liquidazione dell’indennizzo, entro ovviamente il tetto massimo del quantum liquidabile, apprezzando tutte le conseguenze pregiudizievoli che la durata della custodia cautelare ingiustamente subita ha determinato per l’interessato.

Ciò che va sottolineato è che, ove il giudice intenda sensibilmente discostarsi dalla misura dell’indennizzo in tal guida determinabile deve fornire adeguata motivazione idonea a dare contezza delle circostanze specificamente apprezzate, sotto il profilo personale e familiare, che a quel sensibile discostamento abbiano condotto. Tale motivazione se non necessariamente abbisogna di particolareggiate o particolarmente approfondite espressioni, trattandosi pur sempre di una liquidazione indennitaria – e non risarcitoria – equitativa, deve però sufficientemente svolgersi, in maniera, ancorchè succinta, tale da consentire il controllo di legittimità sulla logicità del divisamento espresso.

La Corte di merito non ha quindi fatto corretta applicazione di tali principi decurtato di circa un terzo la somma determinata secondo il ed. criterio nummario o criterio base facendo illogicamente riferimento ai precedenti penali dell’istante. Come già rilevato da questa Corte. (Sezione 4, 27 ottobre 2009, Scumaci, rv. 246743), la esistenza di precedente esperienza carceraria può avere, secondo i casi, sia un effetto di riduzione della sofferenza cagionata dalla carcerazione sia un effetto di massimizzazione di quella sofferenza.

Ne consegue che è illegittima la decisione con cui il giudice di merito riduca l’ammontare dell’indennizzo dovuto secondo il criterio nummario, richiamandosi esclusivamente ad una massima di esperienza illogica (la minore incidenza della ingiusta detenzione su di un soggetto che ha già subito la restrizione carceraria), in quanto si esaurisce in una congettura, forse fondata, ma che non perde tale natura congetturale perchè priva di qualunque elemento di conferma.

Per le considerazioni sopra esposte il ricorso deve essere accolto;

l’ordinanza impugnata conseguentemente va annullata con rinvio alla Corte di appello di Ancona che procederà al nuovo esame secondo i principi sopra indicati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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