Cass. civ. Sez. I, Sent., 02-12-2011, n. 25873 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto emesso il 3 ottobre 2003, Corte di appello di Roma respinse il ricorso col quale il sig. E.N. aveva chiesto il riconoscimento del suo diritto all’equa riparazione per l’eccessiva durata di un giudizio in materia di lavoro da lui introdotto dinanzi al Pretore di Napoli nel gennaio 1997 e definito favorevolmente, in primo grado, in data 26 giugno 2001.

Su ricorso del medesimo sig. E. questa corte, con sentenza n. 12286 del 2006, cassò l’anzidetto decreto affermando il principio per cui, in presenza di un’accertata violazione del limite di durata ragionevole del processo, il danno non patrimoniale della parte, sino a prova del contrario, deve presumersi. La causa fu quindi rinviata alla stessa corte d’appello, in diversa composizione.

Con decreto depositato il 17 giugno 2008, la Corte d’appello di Roma ha quindi ripreso in esame il ricorso ed, avendo stimato che la durata del processo celebratosi dinanzi al pretore di Napoli non avrebbe dovuto eccedere i due anni e mezzo, lo ha accolto condannando l’amministrazione convenuta a corrispondere al sig. E. la somma di Euro 1.000,00, oltre agli interessi ed alle spese processuali.

Per la cassazione di tale decreto hanno proposto nuovamente ricorso gli eredi del sig. E., frattanto deceduto.

L’amministrazione intimata ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

I ricorrenti si dolgono del fatto che la corte d’appello abbia erroneamente quantificato in un anno, anzichè in un anno ed undici mesi, l’eccesso di durata del giudizio pretorile del quale si discute. Lamentano perciò la violazione della Convenzione dei diritti dell’Uomo, il mancato rispetto dei parametri al riguardo fissati dalla Corte europea di Strasburgo ed il difetto di motivazione del decreto impugnato.

Il ricorso è però inammissibile.

Dovendosi applicare, ratione temporis, il disposto dell’art. 366-bis c.p.c., occorre infatti rilevare che i quesiti di diritto formulati al termine dell’esposizione dei due motivi di ricorso per violazione di legge risultano assolutamente generici e non individuano un principio giuridico di cui si chieda a questa corte l’affermazione in contrasto con un diverso principio al quale si sarebbe attenuto il giudice di merito.

L’affermazione secondo cui occorre indennizzare anche il pregiudizio per ritardi di giustizia consistenti in frazioni di anno, nella quale si sostanzia il quesito afferente al primo motivo, non intercetta una contrastante indicazione di principio della corte d’appello. Detta corte, infatti, ha stabilito quale avrebbe dovuto essere la durata ragionevole del giudizio in esame ed ha poi proceduto ad una liquidazione equitativa del danno conseguente al superamento di quella durata senza in alcun modo enunciare una regula iuris implicante la non indennizzabilità dei ritardi quantificati in frazioni di anno.

Ancor più generico, e quindi parimenti inidoneo, è il quesito posto a corredo del secondo motivo di ricorso, che invoca la necessità per il giudice nazionale di conformarsi alle indicazioni giurisprudenziali della Corte europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo. Ma si tratta di un principio, ormai del tutto ovvio, al quale il giudice di merito non ha inteso contrapporsi, trattandosi semmai solo di verificare la motivazione con cui quel medesimo giudice, nel caso di specie, ha fatto in concreto applicazione di detto principio.

Quanto, appunto, alla denuncia di vizi di motivazione, i ricorrenti avrebbero però dovuto, a pena d’inammissibilità, formulare un momento di sintesi, omologo del quesito di diritto, idoneo a circoscrivere puntualmente i limiti della censura in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione della censura e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ex multis, Sez. un. 1 ottobre 2007, n. 20603). Nulla di ciò è dato invece rinvenire nel ricorso, in cui ci si limita pleonasticamente a chiedere a questa corte di dire se il giudice di merito abbia o meno adeguatamente motivato la propria decisione.

All’inammissibilità del ricorso fa seguito la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 600,00 per onorari, oltre a quelle prenotate a debito.

P.Q.M.

La corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 600,00 per onorari, oltre a quelle prenotate a debito.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *