T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 19-07-2011, n. 1093 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso principale la ricorrente impugna il provvedimento del 2. 12. 2009 con cui il Comune di Cologne ha adottato la variante al PGT che elimina la possibilità di realizzare un centro di ippoterapia sulle aree di proprietà che le era stata riconosciuta pochi mesi prima con deliberazione del 25. 2. 2009.

Con il ricorso per motivi aggiunti la stessa impugna la deliberazione dell’8. 4. 2010 con cui è stata approvata in via definitiva la variante stessa.

I motivi che sostengono il ricorso principale sono i seguenti:

1. il provvedimento sarebbe illegittimo per travisamento dei dati di fatto e difetto di istruttoria, perché – al contrario di quanto sostenuto dal Comune – l’area non inciderebbe in alcun modo sul Monte Orfano che la delibera vuole tutelare,

2. il provvedimento sarebbe illegittimo per incoerenza con il PTCP che non vieterebbe invece di realizzare l’intervento,

3. il provvedimento sarebbe illegittimo per mancanza di bilanciamento di interessi con l’interesse del ricorrente al mantenimento della situazione in essere,

4. il provvedimento sarebbe illegittimo per contraddittorietà con l’intenzione manifestata dalla nuova giunta comunale in volantini di edificare una zona di 270.000 mq. molto più grande dell’area del ricorrente, e perciò molto più impattante.

Nel ricorso per motivi aggiunti si ripropongono tutti i motivi del ricorso principale, cui si aggiungono i seguenti motivi:

1. il provvedimento sarebbe illegittimo per inadeguatezza della risposta ad osservazione presentata dalla ricorrente,

2. il provvedimento sarebbe illegittimo per mancato esperimento della V.A.S.

Nel ricorso era formulata altresì istanza di risarcimento del danno subito per effetto dell’illecito del Comune, o – in alternativa – istanza per ottenere l’indennizzo da attività lecita dello stesso.

Si costituivano in giudizio il Comune di Cologne e la Provincia di Brescia, che deducevano l’infondatezza dei motivi di ricorso.

Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 22. 6. 2011, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

I. Il ricorso è infondato.

II. Nel primo motivo del ricorso principale si sostiene che il provvedimento sarebbe illegittimo per travisamento dei dati di fatto e difetto di istruttoria, perché – al contrario di quanto sostenuto dal Comune – l’area non inciderebbe in alcun modo sul Monte Orfano che la delibera vuole tutelare.

La difesa del Comune effettua una puntuale ricostruzione della situazione urbanistica dell’area che sorge ai piedi del Monte Orfano e di come le varie amministrazioni comunali che si sono succedute alla guida di Cologne abbiano cercato di salvaguardarla vietandone l’espansione in coerenza d’altronde con l’apposizione su di essa di un vincolo di tutela.

La difesa della ricorrente sostiene che l’area non sia sul Monte Orfano, ma sia semplicemente un’area posta nelle vicinanze della stessa (pag. 14 del ricorso, riga 11), ma il Comune resta libero, oltre che di fissare le linee di espansione dei nuclei abitati del territorio comunale, anche di delimitarne gli ambiti.

Il Comune ritiene che l’area nelle vicinanze del Monte Orfano vada salvaguardata (nel provvedimento impugnato si legge che "per il comune di Cologne è cruciale la salvaguardia dell’area pedemontana ed in particolare dell’area pedemontana oltre l’edificato costituisce l’area più importante da salvaguardare dal punto di vista paesaggistico ed ambientale"; si è tratta la citazione dalla memoria del Comune pag. 12); in coerenza con tale previsione era stata vietata l’edificazione sia nel PRG del 1993, che in quello del 2001, che nel PGT adottato nel 2008 (si è tratta l’elencazione dalla memoria del Comune pagg. 2 e 3), era stata fatta una deroga soltanto per il terreno della ricorrente nel PGT approvato nel 2009, scelta che è stata ripensata immediatamente dopo, quando sono stati ripristinati gli indirizzi di espansione urbana precedenti. Non si intravedono nei fatti difetti di istruttoria o travisamenti.

III. Nel secondo motivo si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per incoerenza con il PTCP che non vieterebbe invece di realizzare l’intervento.

Il motivo non è fondato. A prescindere dal fatto che il PTCP in realtà sottopone l’area della ricorrente ad un regime di tutela (circostanza su cui si sofferma la memoria del Comune per contestare in radice l’assunto su cui è basato il motivo di ricorso), va comunque detto che non è compito del PTCP fissare le direttrici e gli ambiti di espansione degli insediamenti esistenti nel Comune, questa è una decisione lato sensu politica che spetta all’amministrazione locale; l’amministrazione locale può sempre decidere di non far edificare anche lì dove in astratto sarebbe possibili in base al PTCP.

Il PTCP può conformare il potere dell’amministrazione comunale introducendo vincoli che inibiscano la realizzazione di opere per la salvaguardia di interessi sovracomunali o comunque per interessi paesaggisticoambientali (cfr. art. 15, co. 1, ultimo periodo, l.r. 12/05: Il PTCP è atto di indirizzo della programmazione socioeconomica della provincia ed ha efficacia paesaggisticoambientale per i contenuti e nei termini di cui ai commi seguenti), ma non dà vita ad aspettative edificatorie destinate a consolidarsi con lo strumenti di piano sottordinato.

Nel terzo motivo si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per mancanza di bilanciamento di interessi con l’interesse del ricorrente al mantenimento della situazione in essere.

In materia urbanistica l’obbligo di valutare l’interesse del privato alla conservazione della situazione in essere sorge soltanto in casi di aspettativa qualificata che non sono previsti dalla norma, ma che sono stati codificati da una giurisprudenza pretoria di data risalente e che si è consolidata ormai nel corso dei decenni (e che sono stipula di una convenzione di lottizzazione, annullamento con sentenza passata in giudicato di diniego di concessione edilizia, reiterazione di un vincolo espropriativo scaduto, cfr. Tar Toscana, 19 settembre 2007, n. 2725; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 27 giugno 2007, n. 5290; Cons. St., sez. IV, 8 giugno 2007, n. 3025), casi tra cui non rientra quello per cui si procede.

IV. Nel quarto motivo di ricorso si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per contraddittorietà con l’intenzione manifestata dalla nuova giunta comunale in volantini di edificare una zona di 270.000 mq. molto più grande dell’area del ricorrente, e perciò molto più impattante.

Occorre anzitutto notare che si tratta di un motivo di ricorso articolato sulla base non di determinazioni amministrative, ma di un volantino, quindi di qualcosa che non si è ancora tradotto in attività amministrativa, per cui riesce difficile articolare la censura di contraddittorietà che dovrebbe aver come riferimento altra attività amministrativa, e non comportamenti o intenzioni delle singole persone che compongono la giunta, e che non è detto che si tradurranno in indirizzi amministrativi.

Inoltre, come evidenzia la difesa del Comune, in realtà si tratta di motivo suggestivo, in quanto l’area che il Comune vorrebbe edificare è posta all’opposto del paese, e non inciderebbe quindi sui valori ambientali della fascia ai piedi del Monte Orfano che è stata tutelata privando di facoltà edificatorie l’area della ricorrente.

Per sostenere la tesi della contraddittorietà correva dimostrare che il Comune, mentre nega l’edificazione per la tutela del Monte Orfano, la concede ad altri, ma si ritiene che si sia fuori dell’ambito di quanto dedotto con questo motivo di ricorso.

V. Nei motivi aggiunti si deduce altresì che il provvedimento sarebbe illegittimo per inadeguatezza della risposta ad osservazione presentata dalla ricorrente.

In realtà, si ricorda che torrenziale giurisprudenza ritiene che "le osservazioni dei privati sui progetti sono un mero apporto collaborativo alla formazione degli strumenti urbanistici e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano" (Cons. Stato, sez. IV, 7 luglio 2008, n. 3358; in senso conforme tra le tante Tar Puglia, Bari, 22 ottobre 2008, n. 2357; Tar Piemonte, sez. I, 29 settembre 2008, n. 2080; Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 30 luglio 2008, n. 9582).

VI. Nei motivi aggiunti si deduce altresì che il provvedimento sarebbe illegittimo per mancato esperimento della V.A.S..

La censura è inammissibile per difetto di interesse.

Per proporre una domanda occorre, infatti, avervi interesse ( art. 100 c.p.c.; arg. ex. art. 35, co. 1, lett. b c.p.a.). L’interesse sufficiente a reggere una domanda non può essere costituito dal mero interesse strumentale a travolgere la procedura amministrativa (cfr. Tar Parma 583/2010: Il ricorso giurisdizionale amministrativo non è proposto per assicurare l’astratta corrispondenza a legalità dell’esercizio del potere pubblico, quanto piuttosto tende ad assicurare il risultato favorevole cui aspira parte ricorrente, cioè il bene della vita il cui mantenimento o conseguimento risulta pregiudicato dal provvedimento lesivo, onde l’invocata corretta reiterazione del potere si presenta strumentale alla rimozione della lesione arrecata alla sua sfera giuridica: pertanto, l’individuazione dell’interesse all’impugnazione va effettuata in rapporto al bene della vita cui il ricorrente aspira e non anche alla generica ed astratta pretesa al rispetto di norme procedimentali, avulsa dalla prospettazione di vizi dell’atto incidenti sulla posizione giuridicamente tutelata del privato, il che implica, quale inevitabile conseguenza, che l’interesse a ricorrere dev’essere, oltre che personale e diretto, anche attuale e concreto, ossia tale che, in caso di accoglimento del gravame, il soggetto consegua il vantaggio di vedere rimosso il pregiudizio effettivo ed immediato derivantegli dal provvedimento amministrativo). Le aperture all’interesse strumentale da parte della giurisprudenza amministrativa in materia di procedure di gara non possono essere estese, infatti, a materie diverse da quelle in cui erano state concepite (cfr. CdS, IV, 7439/2010: Nel contenzioso avente ad oggetto procedure di pianificazione urbanistica, non sono direttamente trasferibili le ricostruzioni sulla natura dell’interesse strumentale svolte nell’ambito delle questioni riguardanti gli atti di una procedura concorsuale o selettiva, trattandosi di situazioni profondamente differenti, in quanto, in queste ultime fattispecie, il ricorrente mira al perseguimento di un’utilità – aggiudicazione dell’appalto o posizionamento utile in graduatoria – che l’Amministrazione ha attribuito ad altro soggetto o ad altri soggetti specificamente individuati, nell’ambito di una procedura competitiva la cui ripetizione è ex se suscettibile di formare oggetto di un interesse giuridicamente qualificato e differenziato, mentre tali considerazioni non possono estendersi alla pianificazione urbanistica che potrebbe anche non essere ripetuta), fermo restando che anche nella materia delle procedure di gara la sufficienza dell’interesse strumentale ad incardinare un ricorso giurisdizionale è stata ripensata dalla giurisprudenza più recente (CdS, IV, 7443/09, secondo cui l’interesse strumentale è irrilevante per fondare una posizione differenziata e qualificata che rechi con sé già di per sé solo la legittimazione a stare in giudizio, in quanto, trattandosi di nient’altro che del mero interesse alla legalità, è indistinguibile dall’interesse di mero fatto; si osserva, infatti, correttamente che, se avesse rilievo il mero interesse ad eliminare tutti i concorrenti per ottenere la rinnovazione della gara, allora nei pubblici appalti bisognerebbe ritenere ammissibile qualsiasi ricorso presentato da una impresa che non ha partecipato alla gara ma che appartiene alla stessa categoria merceologica oggetto del bando; contro il rilievo attribuito all’interesse strumentale alla mera rinnovazione della procedura di gara, in dottrina è stato anche evidenziato che esso non sarebbe comunque decisivo quando la mancanza di un requisito in capo al ricorrente principale o incidentale porterebbe comunque ad escludere la sua possibilità di partecipare anche alle operazioni rinnovate).

Ne consegue che nel caso in esame in cui il ricorrente deduce la mancanza della V.A.S. con il solo fine di travolgere la procedura senza che la V.A.S. abbia alcun nesso con la destinazione urbanistica dell’area oggetto del giudizio, la censura è inammissibile per difetto di interesse.

VII. Quanto all’istanza di risarcimento del danno asseritamente patito, non può essere pronunciata condanna posto che non è stata riscontrata in radice l’esistenza di un comportamento illecito da parte dell’amministrazione comunale cui collegare il danno asseritamente subito.

VIII. Quanto all’istanza di indennizzo da atto lecito che la difesa della ricorrente propone in via subordinata, essa è fondata sull’affermazione contenuta alle pagine 28 e 29 del ricorso che "sembra inaccetabile e contrastante con principi che con sempre maggiore decisione si stanno affermando nell’ordinamento (si pensi al contenuto ed alla ratio dell’art. 21quinquies l. 241/90) ritenere che l’amministrato debba restare esposto alle conseguenze di estemporanee determinazioni dell’autorità comunale senza imporre alla stessa anche se in ipotesi legittimata ad adottare tali determinazioni – di farsi carico dei pregiudizi indotti dai suoi cambi di rotta".

La richiesta della difesa del ricorrente non può essere accolta.

L’indennizzo da atto lecito esiste nel nostro ordinamento e non è neanche una creazione recente, perché ve ne erano esempi già nell’art. 46 l. 2359/1865 e nell’art. 844 c.c., ma occorre pur sempre una norma che lo preveda non potendo essere imposto oneri ad un soggetto dell’ordinamento non ha fatto nulla di illecito soltanto per effetto di una creazione pretoria.

Nel sistema di diritto amministrativo indennizzi da atto lecito sono previsti in via generale dall’art. 21quinqies l. 241/90 citato dal ricorrente e dall’art. 11, co. 4, stessa legge, ma entrambe le fattispecie sono palesemente inapplicabili al caso in esame.

E’, d’altronde, difficile immaginare una obbligazione compensativa a carico dell’amministrazione comunale ogni volta che conforma un diritto edificatorio con una variante urbanistica, posto che ciò si risolverebbe in uno sviamento della funzione urbanistica che potrebbe risolversi nell’attribuzione di diritti edificatori al solo fine di evitare condanne alla obbligazione indennitaria, con conseguente pregiudizio per l’ordinato sviluppo del territorio.

IX. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

RESPINGE il ricorso.

CONDANNA la ricorrente al pagamento in favore del Comune di Cologne e della Provincia di Brescia delle spese di lite, che determina in euro 2.500, oltre i.v.a. e c.p.a. (se dovute9, per ciascuna di esse.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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