T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 19-07-2011, n. 1085

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La C.N. S.r.l., odierna ricorrente, ha a suo tempo chiesto ed ottenuto, come da delibera 12 febbraio 1999 n°VI/41411 dell’allora competente Giunta regionale, l’approvazione del progetto e la relativa autorizzazione -valida per cinque anni dalla data del provvedimento citato- necessarie a realizzare in Goito (Mn), alla via Maglio, un impianto di smaltimento e recupero di rifiuti speciali non pericolosi (doc. 4 ricorrente, copia delibera citata; in particolare il contenuto e il periodo di validità di approvazione e autorizzazione si leggono a p. 4 al Par. 1 del dispositivo).

Prevedendo però di non poter costruire il predetto stabilimento nei tempi assegnati, e intendendo comunque modificarne l’assetto, la C.N. inoltrava quindi in date successive due distinte istanze alla Provincia di Mantova, cui nelle more erano state trasferite le relative competenze. Con la prima, protocollata il 17 giugno 2003, chiedeva il rilascio di un nulla osta per "varianti non sostanziali" all’impianto in questione (doc. 5 ricorrente, copia di essa), e a fronte di ciò otteneva un provvedimento favorevole, espresso con determinazione 30 settembre 2003 n°2057 del Responsabile del servizio tutela ambientale, rifiuti e inquinamento della Provincia di Mantova (doc. 7 ricorrente, copia di essa). Con la seconda, datata 5 agosto e protocollata il 7 agosto sempre del 2003, domandava invece testualmente il "rinnovo dell’autorizzazione all’esercizio delle operazioni di recupero e/o smaltimento ai sensi dell’art. 28 d. lgs. 5 febbraio 1997 n°22", rinnovo riferito in modo espresso all’autorizzazione regionale originaria di cui sopra (doc. 6 ricorrente, copia domanda citata). A fronte di tale ultima domanda, riceveva poi la nota 1 ottobre 2003 prot. n°71462 del suddetto Responsabile di servizio, la quale fa presente "che il rinnovo ex art. 28 del d. lgs. 22/97 è inerente a impianti già esistenti, nel caso in esame, invece, l’impianto non è stato ancora costruito. Pertanto, si comunica che non può essere avviato il procedimento se non dopo l’avvenuta realizzazione dell’impianto, nel rispetto delle normative vigenti. Qualora l’impianto non venga realizzato ovvero venga realizzato entro un margine di tempo tecnico non sufficiente per l’espletamento dell’istruttoria di legge, prima della scadenza dell’autorizzazione (12 febbraio 2004) la ditta dovrà, eventualmente, inoltrare una nuova richiesta di autorizzazione ai sensi dell’art. 27 del d. lgs. 22/97" (doc. 8 ricorrente, copia nota citata).

Di conseguenza, la C.N., con successiva istanza protocollata il giorno 8 marzo 2004, domandava, sempre testualmente, la "autorizzazione ai sensi degli artt. 27 e 28 d. lgs. 5 febbraio 1997 n°22… per la realizzazione e l’esercizio di un nuovo impianto di gestione rifiuti", con formula che compare all’oggetto della lettera relativa e viene ripresa nel testo di essa, ove si chiede "l’approvazione del progetto e l’autorizzazione alla realizzazione di un nuovo impianto di recupero/smaltimento rifiuti in Comune di Goito… via Maglio…" (doc. 9 ricorrente, copia istanza citata).

A fronte di ciò, con nota del 10 marzo 2004 sempre del citato Responsabile di servizio, la C.N. riceveva avviso di inizio del procedimento e di convocazione per il 7 aprile 2004 della competente conferenza di servizi (doc. 10 ricorrente, copia avviso), la quale a tale seduta si aggiornava al successivo 21 settembre 2004 (doc. 2 ricorrente, copia verbale relativo).

In data 21 settembre 2004, da ultimo, nel corso della conferenza di servizi, la Provincia rilevava come il sedime del realizzando impianto fosse ricompreso in area soggetta a vincolo ambientale come da piano per l’assetto idrogeologico ("P.A.I.") approvato con D.P.C.M. 24 maggio 2001 ed entrato in vigore il successivo 8 agosto 2001 e da circolare esplicativa dell’Autorità di Bacino del Po 24 luglio 2003 prot. n°5101, e in particolare nella "fascia B che vieta la realizzazione di nuovi impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti, nonché l’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero dei rifiuti, così come definiti dal d. lgs. 22/97"; rilevava ancora come, a mente della circolare citata, a tale divieto si potesse fare eccezione solo attraverso la "possibilità di rinnovare le autorizzazioni allo svolgimento delle operazioni di smaltimento e recupero rifiuti a tutti gli impianti operanti negli ambiti disciplinati dal P.A.I., qualora gli stessi siano stati già avviati nel rispetto di quanto previsto dal d. lgs 22/97 e prima dell’entrata in vigore del P.A.I. medesimo" (doc. 2 ricorrente, cit.).

Tanto premesso, la Provincia stessa rilevava come la C.N., autorizzata a realizzare un impianto siffatto in base alla citata autorizzazione regionale, valida sino al 12 febbraio 2004, ne avesse chiesto il rinnovo con la ricordata istanza 7 agosto 2003 senza aver costruito ancora nulla; avesse poi inoltrato solo il 9 febbraio 2004 al Comune di Goito e all’ARPA una comunicazione di fine lavori alla data del 10 gennaio 2004 (v. sempre doc. 2 ricorrente, cit.).

Pertanto, la Provincia stessa, con parere recepito dalla deliberazione finale della conferenza nella medesima seduta, si dichiarava "non favorevole all’approvazione del progetto", in quanto l’impianto della C.N. alla data di entrata in vigore del P.A.I. non era stato né realizzato né tantomeno messo in esercizio; non favorevoli al progetto, con pareri pure recepiti nella deliberazione finale, si dichiaravano anche il Comune di Goito, per non avere sino a quel momento la ricorrente predisposto il progetto di ripristino ambientale dell’area, e l’Ente Parco del Mincio, per essere a suo dire l’area relativa all’impianto classificata come zona di equilibrio e tampone ecologico, incompatibile con impianti come quello per cui è causa (doc. 2 ricorrente, cit.).

Avverso tale esito, propone ora impugnazione la C.N., che lo ritiene conclusivo del procedimento, con ricorso articolato in cinque motivi:

– con il primo di essi, deduce violazione degli artt. 27 e 28 del d. lgs. 22/1997, in quanto a suo dire la Provincia avrebbe dovuto in sintesi considerare l’istanza 5 agosto 2003 come volta ad ottenere non già una nuova approvazione di progetto e autorizzazione all’esercizio, ma un semplice rinnovo dell’autorizzazione regionale già rilasciata;

– con il secondo motivo, deduce violazione degli artt. 29 e 30 delle norme di attuazione del P.A.I. citato, in quanto a suo dire le stesse consentirebbero di continuare l’esercizio a tutti gli impianti di smaltimento e recupero rifiuti per i quali fosse stata semplicemente rilasciata un’autorizzazione, non già soltanto a quelli che fossero materialmente entrati in attività, così come a torto ritenuto dall’Autorità di Bacino e dalla conferenza di servizi;

– con il terzo motivo, deduce ulteriore violazione dell’art. 38 delle norme di attuazione citate, ovvero eccesso di potere in rapporto al parere negativo dell’Ente Parco. Osserva infatti che il terreno destinato ad accogliere l’impianto per cui è causa è sempre stato ricompreso nel perimetro del Parco; nondimeno, ciò non ha impedito il rilascio dell’originaria autorizzazione regionale;

– con il quarto motivo, deduce ulteriore eccesso di potere in relazione al parere negativo del Comune di Goito, osservando che la predisposizione del piano non è condizione per il rilascio dell’autorizzazione richiesta;

– con il quinto motivo, deduce infine ancora eccesso di potere per violazione del principio dell’affidamento, nel senso che la determinazione della conferenza contraddice precedenti provvedimenti dell’amministrazione, in particolare il nulla osta alla variante di cui si è detto, nei quali mai si era affermata l’impossibilità di realizzare l’impianto secondo il P.A.I.

Con memoria 31 maggio 2011, la ricorrente ha ribadito le proprie tesi.

Resistono l’Autorità di Bacino, con atto 18 febbraio 2005 e memoria 17 maggio 2011, la Provincia di Mantova, con atto 25 agosto 2005, il Comune di Goito, con atto 4 luglio 2005 e l’Ente Parco del Mincio, con atto 4 maggio 2006, i quali tutti chiedono che il ricorso sia respinto. In particolare, la difesa erariale sottolinea come la logica della deroga alle norme del P.A.I. vada identificata nella necessità di esaurire l’attività di impianti già materialmente in esercizio, che non aggrava il rischio esistente, e non consenta di avviarne altri, che costituiscono altrettante nuove fonti di rischio ambientale, indipendentemente dal fatto che per essi possa sussistere una formale autorizzazione.

All’udienza del giorno 22 giugno 2011, la Sezione ha da ultimo trattenuto il ricorso in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va respinto, per le ragioni appresso precisate.

1. La materia degli impianti di smaltimento rifiuti, si premette per chiarezza, era all’epoca dei fatti disciplinata dal d. lgs. 5 febbraio 1997 n°22, cd. "decreto Ronchi", ora abrogato dall’art. 264 comma 1 lettera i) del d. lgs. 3 aprile 2006 n°152, decreto che per quanto qui interessa distingueva fra la "approvazione del progetto e autorizzazione alla realizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti", regolata dall’art. 27, e la "autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero", regolata dal successivo art. 28.

2. Più precisamente, il decreto, all’art. 27 prevedeva al comma 1 il caso di un soggetto il quale intendesse realizzare un nuovo impianto, e imponeva anzitutto all’interessato di ottenere l’assenso al progetto; identico assenso poi richiedeva ai sensi del comma 8 per le "varianti sostanziali in corso di esercizio, che comportano modifiche a seguito delle quali gli impianti non sono più conformi all’autorizzazione rilasciata". In tal modo, l’interessato avrebbe potuto sì realizzare l’impianto nella sua struttura, ma non incominciare la relativa attività. Per tal motivo il decreto stesso consentiva anche, al comma 9 sempre dell’art. 27, di chiedere ed ottenere, in via contestuale all’approvazione del progetto, anche l’autorizzazione all’esercizio.

3. All’art. 28, invece, il decreto disciplinava il diverso caso dell’autorizzazione all’esercizio, ovvero a materialmente smaltire ovvero recuperare i rifiuti, la quale, secondo logica, poteva essere chiesta come provvedimento distinto da chi, realizzato un nuovo impianto, non avesse ritenuto di richiederla contestualmente all’approvazione del progetto; doveva poi essere richiesta di cinque anni in cinque anni, periodo di sua validità, da qualsiasi titolare di impianto già attivo, se pure mantenuto invariato nelle sue caratteristiche tecniche e strutturali, e quindi non bisognoso di alcuna approvazione di progetto o di variante.

4. Ciò premesso, nel caso di specie la C.N. ha dapprima ottenuto, come detto in narrativa, l’atto regionale 12 febbraio 1999 n°VI/41411, che a semplice lettura del testo si qualifica come approvazione del progetto e contestuale autorizzazione all’esercizio, come si ricava in modo chiaro dal Par. 1 del dispositivo (cfr. doc. 4 ricorrente, quarto foglio), ai sensi quindi dell’art. 27 commi 1 e 9. L’autorizzazione all’esercizio, in particolare, era valida per cinque anni "dalla data di approvazione del presente provvedimento" (cfr. Par. 2 del dispositivo, doc. 4 ricorrente ove cit.); comportava quindi, per necessità, che il tempo necessario a costruire l’impianto si consumasse a danno dell’impresa autorizzata, non essendo come è ovvio possibile mettere in esercizio un impianto non ancora ultimato. Detto altrimenti, la C.N. nello stabilimento in questione avrebbe potuto materialmente svolgere attività di recupero rifiuti per cinque anni diminuiti del tempo necessario alla costruzione, con termine finale fissato comunque al 12 febbraio 2004 e possibilità di proroga da richiedere entro 180 giorni da detta scadenza, come previsto dall’art. 28 comma 3 del decreto Ronchi e ribadito dal testo del provvedimento in questione.

5. Come detto ancora in narrativa, la C.N. ha poi chiesto e ottenuto, con il citato provvedimento provinciale 30 settembre 2003 n°2057 (doc. 7 ricorrente, cit.), una variante al progetto, ovvero una nuova approvazione ai sensi dell’art. 27 comma 8 sopra citato, provvedimento che si riferisce esclusivamente alla struttura dell’impianto, e nulla dice sulla possibilità che esso possa essere messo in esercizio ovvero funzioni già.

6. Da ultimo, come ricordato sempre in narrativa, la C.N. ha presentato una istanza 5 agosto 2003, protocollata il 7 agosto successivo, e nella sede presente ha articolato il primo motivo di ricorso incentrandolo sulla asserita illegittimità dell’operato della Provincia successivo all’istanza medesima. Tale primo motivo è però infondato, in base alle considerazioni che seguono.

7. In primo luogo, occorre rilevare che il motivo stesso, in quanto fosse interpretato come censura alla nota 1 ottobre 2003 prot. n°71462 (doc. 8 ricorrente, cit.), sarebbe inammissibile, perché evidentemente tardivo: la nota stessa, ricevuta il 25 gennaio 2004 (v. copia avviso ricevimento nel doc. 8 Provincia) non consta impugnata nel termine di decadenza. La nota stessa, peraltro, nel suo contenuto è del tutto legittima.

8. La nota 1 ottobre 2003, infatti, così come riportato in narrativa, ha anzitutto un contenuto di provvedimento negativo: essa respinge l’istanza 5 agosto 2003 della C.N., qualificandola come richiesta di rinnovo ai sensi dell’art. 28 decreto Ronchi. Ciò è legittimo anzitutto sotto il profilo formale, perché la C.N. aveva effettivamente richiesto un provvedimento siffatto, come è evidente a semplice lettura dell’istanza (doc. 6 ricorrente, cit.); è poi legittimo anche sotto il profilo sostanziale, perché come si è detto il rinnovo di una autorizzazione all’esercizio presuppone un impianto già costruito e che funzioni, e alla data del 5 agosto 2003, come la stessa ricorrente ammette per implicito (cfr. ricorso p. 3 Par. 7) lo stesso non era stato ultimato.

9. La nota 1 ottobre 2003 ha poi un ulteriore contenuto non provvedimentale: rende noto che l’interessata, ove non avesse completato l’impianto nel termine di validità della prima autorizzazione regionale, avrebbe dovuto presentare "nuova richiesta di autorizzazione ai sensi dell’art. 27" del decreto Ronchi (doc. 8 ricorrente, cit.), ed anche tale contenuto è conforme a legge, perché evidentemente l’approvazione di un progetto da realizzare, la quale abbia una durata di cinque anni, deve essere nuovamente rilasciata, se nello stesso termine il progetto stesso non sia tradotto in atto.

10. A fronte di ciò, è legittimo anche il successivo operato della Provincia, la quale ha considerato l’istanza della ricorrente datata 5 marzo 2004 e protocollata il successivo 8 marzo come volta ad ottenere ai sensi dell’art. 27 decreto Ronchi sia una nuova approvazione del progetto sia una nuova autorizzazione all’esercizio. In tal senso, depone ancora una volta il tenore letterale dell’istanza, la quale sia nell’oggetto sia nel corpo dell’atto si riferisce sia alla "approvazione del progetto" sia alla "autorizzazione all’esercizio" (doc. 9 ricorrente, cit.).

11. In tali termini, non vale dedurre, come fa la ricorrente (ricorso, p. 8 ultime quattro righe), che "le sue intenzioni non potevano essere fraintese" e che si doveva ritenere richiesto un rinnovo. Infatti, la possibilità di un rinnovo ai sensi dell’art. 28 decreto Ronchi era esclusa anche per ragioni sostanziali. Da un lato, può esser vero quanto comunicato dalla ricorrente il 9 febbraio 2004 al Comune di Goito e all’ARPA, ovvero che i lavori relativi erano stati ultimati il 10 gennaio 2004 (doc. 2 ricorrente, cit.); non consta però che l’impianto avesse mai cominciato ad operare, e quindi l’originaria autorizzazione all’esercizio di cui al provvedimento regionale 12 febbraio 1999 non aveva in definitiva prodotto effetto alcuno, il che rende illogico ipotizzarne un rinnovo. Dall’altro lato, il presunto rinnovo sarebbe stato chiesto, come si è detto, il 5 marzo 2004, ovvero non solo al di là del termine prescritto dalla legge e dall’autorizzazione originaria, 180 giorni prima della scadenza, ma anche al di là della scadenza stessa del 12 febbraio 2004, e quindi non si sarebbe potuto comunque rilasciare.

12. Il secondo e il quinto motivo di ricorso vanno poi esaminati congiuntamente, perché connessi: riguardano il medesimo profilo di illegittimità, ovvero le ragioni dedotte dalla Provincia per respingere la più volte citata istanza della ricorrente 5 marzo 2004, che è stata qualificata, come si è visto correttamente, come nuova istanza di approvazione progetto e autorizzazione all’esercizio. Tali motivi risultano entrambi infondati.

13. Come si è detto in narrativa, la Provincia per parte propria ha ritenuto di respingere l’istanza in questione facendo riferimento alla normativa del P.A.I. di area: in sintesi, l’impianto della ricorrente ricade, come non è contestato, in zona classificata come "fascia B", nella quale tali impianti in linea di principio non possono collocarsi. Vi è in proposito una possibilità di deroga, che riguarda testualmente "l’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero dei rifiuti già autorizzate" ai sensi del decreto Ronchi "alla data di entrata in vigore del Piano", così come previsto dall’art. 29 comma 3 lettera i) delle norme di piano, richiamate dall’art. 30 comma 3, relativo al regime della fascia B (doc. 1 Autorità, copia norme). La Provincia ha però ritenuto tale deroga non configurabile, riferendola agli impianti che materialmente avessero incominciato la loro attività.

14. Tale interpretazione, condividendosi l’ordine di idee sviluppato anche nella difesa dell’Autorità, non va però condivisa, anzitutto per una considerazione di carattere generale. La logica che vede proibire determinate attività in zona prossima al corso di un fiume, e precisamente nella fascia definita come "di esondazione" (doc. 1 Autorità, cit.) è evidentemente quella di prevenire i maggiori inquinamenti destinati a realizzarsi qualora impianti come quelli di smaltimento rifiuti vengano invasi dall’acqua, che inevitabilmente trascinerebbe a valle i materiali, anche pericolosi, ivi in lavorazione.

15. Se è così, tale logica richiede all’evidenza che nessun nuovo impianto venga messo in attività. Una possibilità di deroga è invece configurabile per gli impianti già attivi, la cui disattivazione e smantellamento potrebbe provocare a sua volta rischi di inquinamento, pari o superiori a quelli che si intendono prevenire: solo in tal caso si configura allora come ragionevole la scelta di mantenerlo sino ad esaurimento della sua durata programmata. In tal senso, la norma di piano appare del tutto conforme a corretto bilanciamento degli interessi coinvolti.

16. La stessa logica invece non ricorre in casi come il presente, di un impianto che ancora non ha incominciato a lavorare, né appare possibile estendere in via analogica una deroga la quale, operando rispetto a norme che presidiano l’evidentissimo interesse pubblico alla regimazione dei fiumi, è necessariamente di stretta interpretazione.

17. Nel caso di specie, rileva poi la circostanza già evidenziata, per cui la C.N., nel momento in cui presentò l’istanza 5 marzo 2004, non era più in possesso di autorizzazione alcuna, dato che quella rilasciata era comunque scaduta il 12 febbraio precedente: anche sotto tale profilo, non si può ravvisare un "esercizio" di operazioni già autorizzate che il P.A.I. richiede come presupposto della deroga.

18. Non condivisibile è da ultimo il rilievo sul quale si incentra il quinto motivo, per cui il sopra descritto comportamento della Provincia avrebbe in qualche modo violato un affidamento precedentemente ingenerato con gli atti precedenti, ovvero con l’approvazione della variante all’impianto e con la nota 1 ottobre 2003 più volte citata. In proposito, occorre anzitutto ricordare che la causa ostativa al rilascio di quanto richiesto dalla ricorrente va ravvisata non in un atto della Provincia stessa, ma come si è detto nelle norme del PAI, adottate con D.P.C.M. soggetto a pubblicità legale, rispetto alle quali vi è comunque un onere di conoscenza da parte del cittadino interessato a realizzare una data opera.

19. Con riguardo specifico all’operato della Provincia, va poi rilevato che da un lato, come si è detto, l’approvazione di una variante al progetto nulla dice riguardo alla possibilità di concreto esercizio dell’impianto; dall’altro, la nota 1 ottobre 2003, nella sua parte non provvedimentale di cui si è detto, si era limitata a offrire un orientamento di massima, in sé corretto, sulle norme che disciplinavano l’operato della Provincia stessa, ma non aveva, contrariamente a quanto ritiene la ricorrente, sollecitato a realizzare l’intervento (cfr. ricorso p. 17 quarta riga).

20. I restanti motivi rimangono assorbiti, perché riguardano ulteriori ragioni poste a fondamento del diniego; in tal senso, dal loro accoglimento comunque nessuna utilità deriverebbe al ricorrente. Vale infatti il principio, ribadito da costante insegnamento giurisprudenziale (da ultimo C.d.S. parere su ricorso straordinario sez. I 30 novembre 2009 n°3426 e, nella giurisprudenza di questo Tribunale, sent. sez. II 15 ottobre 2010 n°4049), secondo il quale "per la conservazione del provvedimento amministrativo sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome e non contraddittorie è sufficiente che sia fondata anche una sola di esse".

21. La reiezione della domanda di annullamento comporta reiezione anche della domanda risarcitoria.

22. Le ragioni della decisione, fondata sull’interpretazione di una normativa complessa, sono giusto motivo per compensare le spese, restando come per legge il contributo unificato a carico della ricorrente, le cui domande non sono state accolte.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo respinge sia quanto alla domanda di annullamento sia quanto alla domanda risarcitoria. Compensa per intero le spese fra le parti e pone il contributo unificato a definitivo carico della ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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