Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 18-05-2011) 14-07-2011, n. 27727

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. L.S., primario chirurgo presso il nosocomio di (OMISSIS), N.A. e R.A., assistenti medici e componenti dell’equipe chirurgica, venivano tratti a giudizio innanzi al Tribunale di Taranto per rispondere del reato di omicidio colposo a danno della paziente C.M. I.. Erano accusati di avere sottoposto quest’ultima ad intervento chirurgico di bendaggio gastrico in laparoscopia; di avere eseguito l’operazione in modo tecnicamente scorretto tanto da provocare il distacco dei punti di sutura interni con conseguente perforazione della parte gastrica il che aveva determinato uno stato setticemia) diffuso degli organi vitali; di non avere riscontrato in sede di immediata degenza post-operatoria la presenza della setticemia scambiandola e trattandola come embolia polmonare: il che aveva comportato, dopo l’esecuzione di altri interventi chirurgici compiuti presso altri nosocomi, il decesso della paziente in data 8.11.2001 a causa della menzionata setticemia.

2. Il GUP del Tribunale di Taranto, in sede di rito abbreviato disponeva lo svolgimento di ulteriore perizia, a fronte di accertamenti tecnici già acquisiti presentanti conclusioni contrastanti.

Il Giudice, con sentenza in data 7.4-2006, assolveva gli imputati, ai sensi dell’art. 442 c.p.p. e art. 530 c.p.p, comma 2, con la formula "perchè il fatto non costituisce reato" ritenendo non sufficientemente provato l’elemento psicologico del reato.

3. Avverso la sentenza del GUP presentavano impugnazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Lecce, le parti civili a tutela degli interessi civili, nonchè gli imputati con appello incidentale.

La Corte di Lecce disponeva l’espletamento di altra perizia.

Il Collegio evidenziava che la parte offesa C.M.I., di anni cinquanta all’epoca dei fatti, era persona da tempo ampiamente in sovrappeso (kg. 133), in critiche condizioni fisiche:

affetta da Ipotiroidismo dalla nascita, presunto gozzo nodulare, sottoposta ad asportazione di cisti mammaria sinistra, operata per varici dell’arto inferiore sinistro, sottoposta ad intervento di isterioannessectomia bilaterale, sofferente di diabete e ipertensione arteriosa, di dispnea da sforzo. Tali condizioni generali della donna avrebbero dovuto indurre i sanitari a prestare massima attenzione e cautela in sede di intervento chirurgico (avvenuto il (OMISSIS)) e di degenza postoperatoria: il che non era avvenuto.

In particolare, i sanitari dell’ospedale di (OMISSIS) avevano dimesso la paziente in data 25-3-2001 con diagnosi di sospetta embolia polmonare; costei era stata trasferita presso l’Ospedale di Taranto dove era stata formulata la diversa diagnosi di "possibile complicanza settica della procedura chirurgica"; in quest’ultimo nosocomio il 26-3-2001 veniva eseguito Intervento addominale urgente per addome acuto, perforazione gastrica sottocardiale; in data 18.4.2001 era eseguito un terzo intervento chirurgico ad opera dei medici della 2^ chirurgia dell’ospedale di Taranto. La C., il (OMISSIS), era stata trasportata dai parenti presso il Centro di rianimazione di (OMISSIS) i cui sanitari avevano manifestato la diagnosi di insufficienza respiratoria in paziente settica; presso tale struttura veniva effettuato il 18-9-2001 un quarto intervento chirurgico addominale, dopodichè l’ammalata che versava in grave stato settico con deiscenza della parte addominale e tramite fistoloso ileale" decedeva in data (OMISSIS) per insufficienza multi organo in paziente settica.

Ad avviso della Corte di Appello, anche in base ai rilievi svolti dal perito nominato nel giudizio di appello, doveva ritenersi che gli imputati avessero mantenuto sostanzialmente una condotta tecnicamente corretta nella fase dell’operazione chirurgica, mentre erano incorsi in negligenza ed imperizia nella fase postoperatoria.

Ne discendeva la loro responsabilità per il decesso della C. e la colpevolezza per il reato ascritto; i predetti, con la concessione delle circostanze attenuanti generiche e la riduzione per il rito abbreviato prescelto, venivano condannati alla pena di mesi otto di reclusione, nonchè in solido al risarcimento dei danni in favore delle parti civili da liquidarsi in separato giudizio, con il riconoscimento della provvisionale di Euro 30.000,00 per ciascuna, (sentenza in data 30/11/2009).

4. Gli imputati ricorrevano per cassazione.

Veniva eccepita l’intervenuta prescrizione del reato già all’epoca di emissione della decisione di appello, ritenendo il periodo prescrizionale, anche calcolando le interruzioni intercorse, maturato in data 24-8-2009 o al più al 27-9-2009 e quindi prima del 30.11.2009 data di pronuncia della decisione impugnata. Di conseguenza, la Corte di Appello aveva emesso un giudizio di responsabilità nei confronti degli imputati in un momento processuale in cui il reato avrebbe dovuto essere dichiarato estinto per prescrizione; per cui, in mancanza di una precedente statuizione di condanna, il Giudice di Appello non avrebbe potuto decidere in ordine alle statuizioni civili.

Si osservava che nessuno dei consulenti o periti intervenuti nel processo era stato in grado di individuare le cause originarie dello stato settico che aveva condotto a morte la paziente. In specie, il decesso di costei aveva avuto luogo dopo un periodo postoperatorio durato oltre sette mesi mentre la degenza della parte offesa presso il nosocomio di (OMISSIS), dove era stata effettuata la prima operazione, si era protratta solo per tre giorni. Non poteva reputarsi sussistente il nesso di causalità tra la condotta dei sanitari imputati e la morte della donna, tenuto conto appunto della mancanza di conoscenza della precisa origine della grave infezione nel sangue dell’ammalata determinatasi e le condotte che l’avevano provocata; mentre, lo stesso Prof. N., il quale aveva eseguito la perizia nel giudizio di appello, non aveva dato un giudizio negativo sulla correttezza dell’operazione chirurgica compiuta dai prevenuti; pari menti, detto perito aveva ammesso che la diagnosi di dimissione formulata dai medici di (OMISSIS) (sospetta embolia polmonare) non era avulsa dal contesto medico sussistente nel frangente.

I ricorrenti N.A. e R.A. sottolineavano, altresì, che essi non erano stati presenti in via continuativa in ospedale nel periodo di degenza della C..

Tutti i prevenuti chiedevano l’annullamento della sentenza impugnata con revoca delle statuizioni civili, ovvero dichiarare comunque estinto il reato contestato.

Motivi della decisione

1.1. I ricorsi possono essere accolti solo parzialmente per quanto di ragione.

Va preso atto dell’avvenuta decorrenza del termine prescrizionale del reato di omicidio colposo alla data del 27/09/2009, computando anche il periodo di sospensione intercorso, e cioè in epoca anteriore alla pronuncia della sentenza di appello (30/11/2009).

Al riguardo, si rileva che questa Corte di legittimità ha ripetutamente affermato che, in presenza di una causa estintiva del reato, l’obbligo del Giudice di assolvere per motivi di merito si riscontra solo quando gli elementi rilevatori dell’insussistenza del fatto ovvero della sua non attribuibilità penale al prevenuto emergono in modo incontrovertibile, tanto che la valutazione di essi da parte del Giudice sia assimilabile più ad una constatazione che ad un accertamento. In altre parole, per pervenire ai proscioglimento nel merito dell’imputato, una volta sopraggiunta la prescrizione del reato, deve applicarsi il principio di diritto secondo cui "positivamente" deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l’estraneità dell’imputato per quanto contestatogli e ciò nel senso che si evidenzi l’assoluta assenza della prova di colpevolezza ovvero la prova positiva dell’innocenza dell’imputato, (v.così, Cass. 8-6-2004 n31463;

Cass.18-5-2007 n26008; Cass. S.U. 30/09/2010 n 43.055). Il che non è ravvisabile nel caso di specie.

Difatti, alla luce delle argomentazioni svolte dai Giudici di merito, sono evidenziabili elementi attestanti una condotta non tecnicamente adeguata ed attenta ad opera degli imputati nella fase post- operatoria e nè ricorrono profili logico-giuridici tali da escludere "in radice" la sussistenza del nesso di causalità tra le omissioni attribuibili ai sanitari e l’evento.

1.2. Si aggiunge che correttamente la Corte di merito ha statuito in ordine all’impugnazione in sede di appello proposta dalla parte civile avverso la sentenza di assoluzione degli imputati pronunciata dal GUP del Tribunale di Taranto. Difatti, il Giudice di Appello, adito ai sensi dell’art. 576 c.p.p., ha in principio, nei limiti del devoluto ed agli effetti della devoluzione, i poteri che il Giudice di primo grado avrebbe dovuto esercitare. Nel senso che se si convince che tale Giudice ha sbagliato nell’assolvere l’imputato ben può affermare la responsabilità di costui agli effetti civili e condannarlo al risarcimento dei danni, in quanto l’accertamento incidentale equivale virtualmente – oggi per allora- alla condanna di cui all’art. 538 c.p.p., comma 1, che non venne pronunciata per errore. Parimenti, il Giudice di Appello, in presenza di impugnazione della parte civile ed anche del P.M. agli effetti penali (come avvenuto nel caso in esame), può, sussistendone le condizioni, dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione sotto il profilo penale e condannare l’imputato in ordine alle statuizioni civili.

1.3.Invero, l’art. 576 c.p.p. conferisce al Giudice dell’Impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza concernente gli interessi civili anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto. In tema, è stato sottolineato il diverso contenuto e tenore degli artt. 576 e 578 c.p.p.. In particolare, si è evidenziato che i due disposti disciplinano situazioni processuali diversificate, nel senso che l’art. 578 c.p.p., nonostante la declaratoria di prescrizione, mira a mantenere, in assenza di un’impugnazione della parte civile, la cognizione del Giudice dell’impugnazione sulle disposizioni e sui capi della sentenza del precedente grado che concernono gli interessi civili, già adottati; mentre, l’art. 576 c.p.p., conferisce al Giudice dell’impugnazione il potere di decidere sulla domanda al risarcimento ed alle restrizioni, pur in mancanza di una precedente statuizione sul punto, (v. Cass. S.U. n 25083/2006 – Negri -; Cass. n 17846/2009; Cass. n 1463/2011).

1.4. Ne consegue che la mancata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione da parte del Giudice di Appello, malgrado la già intervenuta causa di estinzione, non è di impedimento a questo Giudice di legittimità di rilevare in questa sede la causa di estinzione e di pronunciare in tema di statuizioni civili.

Pertanto, ai sensi degli artt. 129, 576 e 578 c.p.p., la sentenza impugnata va annullata senza rinvio relativamente alle statuizioni penali, per essere il reato contestato agli anzidetti ricorrenti estinto per prescrizione.

2. Peraltro, la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione non comporta, come è noto, un’automatica conferma delle statuizioni civili, ma in relazione a tale aspetto giuridico il Giudice anche di legittimità deve prendere in esame i motivi di ricorso, con accertamento di essi in modo esaustivo e non limitato al riscontro della mancanza di prova dell’innocenza dell’imputato ex art. 129 c.p.p., comma 2 (v. così, Cass. 8-6-2004 n31464; Cass. 25/11/2009 n 3284/2010).

Sul punto, va detto che il Collegio di Appello non ha Individuato ed analizzato compiutamente i profili di negligenza ed imperizia medica attribuiti ai prevenuti, con riferimento in specie per N. e R. anche alla loro partecipazione alla fase post-operatoria in modo incidente e rilevante. Inoltre, neppure adeguata si presenta la motivazione (della sentenza impugnata) formulata in tema di causalità omisstva, in punto di diritto ed in correlazione con i dati di fatto della vicenda. Al riguardo, come è noto, le Sezioni Unite Penali (sent. in data 10/07/2002 – Francese -) hanno affermato che non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poichè il Giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze di fatto, così che, all’esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa, con "alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica", la conclusione per cui, qualora l’azione doverosa omessa fosse stata invece compiuta, il singolo evento lesivo non si sarebbe verificato, ovvero avrebbe avuto luogo con minore intensità lesiva.

3. Pertanto, alla luce di tali principi di diritto e dello schema mottvazionale indicato, si palesa necessario un nuovo esame, ai fini della conferma o meno delle statuizioni civili della decisione, circa la congruenza della Ipotizzata ricorrenza della connessione eziologica e della configurabilità, comunque, di specifici profili di colpa a carico dei sanitari.

Ne consegue l’annullamento della decisione della Corte di merito, in ordine agli interessi civili, con rinvio al Giudice civile competente per valore in grado di appello.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio ai fini penali perchè il reato è estinto per prescrizione ed ai fini civili con rinvio al Giudice di Appello competente per valore.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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