Cass. pen., sez. V 28-03-2008 (04-03-2008), n. 13383 Possesso di documento d’identità valido per l’espatrio falsificato solo in parte

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 10.11.2006, ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale M.A. era stato condannato alla pena di giustizia in quanto riconosciuto colpevole del delitto ex art. 497 bis c.p., essendo stato trovato in possesso di un passaporto albanese, "con numerosi elementi di falsità".
Ricorre per cassazione il difensore e deduce violazione degli artt. 497 bis e 163 c.p. e carenze della motivazione, atteso che la norma incriminatrice punisce il possesso e la fabbricazione di documenti di identificazione falsi, sanzionando appunto il possesso di un documento falso, valido per l’espatrio. Orbene il documento del M. era autentico; su di esso figurano alcune impronte di timbri falsi, ma essi non rendono falso l’intero documento, nè – ciò che più conta – impediscono la corretta identificazione del suo titolare. La falsità riguarda parti accessorie del documento;
essa non ha l’effetto di rendere non genuino il documento che, oltretutto, in tal modo, non è valido per l’espatrio. Il documento in questione permette la corretta identificazione del titolare e dunque non può esser considerato falso sotto tale profilo; consegue che la fattispecie legale non è rimasta integrata dalla condotta tenuta dal M..
La Corte di appello, con motivazione illogica afferma di trovarsi al cospetto di un documento non genuino valido per l’espatrio, facendo ricorso a una sorta di interpretazione analogica della norma incriminatrice, il che, in diritto penale è, come noto, non consentito.
Illogico e contro legem e poi il diniego del beneficio ex art 163 c.p., poichè l’assenza di concreta offensività nella condotta del ricorrente non è stata neanche considerata, atteso che comunque il M., richiestone, ha subito esibito il documento ai verbalizzanti permettendo la sua immediata identificazione.
Il ricorso è infondato emerita rigetto. Il ricorrente va condannato alle spese del grado.
L’art 497 bis c.p. ("possesso e fabbricazione di documenti di identità falsi") punisce la condotta di chi sia trovato in possesso di un documento falso, valido per l’espatrio.
La falsità, tuttavìa, non deve riguardare necessariamente (ed esclusivamente) la funzione identificativa del documento, ma può riguardare qualsiasi parte – significativa – del documento stesso;
qualsiasi parte, vale a dire, che attesti un fatto, un dato, una circostanza che il predetto documento è destinato a provare.
In altre parole, quando il legislatore fa riferimento, nell’art. 497 bis c.p., a un "documento di identificazione", intende individuare la categoria dei documenti cui approntare la particolare tutela introdotta con il D.L. n. 144 del 2005, art 10 (i documenti di identificazione, appunto, e non anche, ad esempio, i documenti di trasporto o quelli contabili ecc.), ma, non per questo, intende limitare la condotta punibile alla sola alterazione della funzione identificativa del documento.
Ciò si deduce sia dalla lettera della norma (che fa riferimento alla generica falsità di un documento valido, in astratto, per l’espatrio), sia dalla sua ratio, atteso che il predetto D.L. ("Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale") ha, evidentemente, tra le sue finalità anche quella di consentire la "tracciabilità" dei movimenti di un soggetto all’interno di un determinato territorio. Il che spiega adeguatamente perchè certamente integri il reato de quo la detenzione di un passaporto con falsi "visti Shengen".
Quanto alla mancata concessione ex art. 163 c.p., è da rilevare che la Corte ha fornito adeguata motivazione in ordine alla decisione assunta, avendo rilevato, oltretutto, la sopravvenuta carcerazione per altra causa del M., la cui condotta, allo stato (valutata congiuntamente alle oltre circostanze accertate in occasione del controllo dell’imputato, il quale deteneva anche una patente di guida falsa) certamente non è elemento che possa spingere a ritenere che lo stesso, in futuro si asterrà dal commettere altri reati.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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