T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 19-07-2011, n. 1083 Giudizio avanti i Tribunali delle Acque Pubbliche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

F.R. e N.G., odierni ricorrenti, presentavano in data 20 agosto 1991 domanda volta ad ottenere il rilascio di concessione edilizia per realizzare un nuovo muro spondale nel torrente Nesa e un ampliamento della strada di accesso ad un loro fondo, sito alla via Fornaci 18 in Alzano Lombardo e distinto al catasto di quel Comune alla sezione Nese, foglio 7, mappale 756 (doc. 4 ricorrenti, copia concessione rilasciata, ove nelle premesse i dati della domanda originaria).

In appoggio a tale domanda, gli stessi R. e G., unitamente all’amministrazione comunale di Alzano, presentavano poi il 3 dicembre 1991 domanda all’allora competente Assessorato ai lavori pubblici – Servizio provinciale genio civile della Regione Lombardia, volta ad ottenere da tale Servizio l’autorizzazione a realizzare un "ampliamento passerella a sbalzo nonché ponticello sul torrente Nesa", e con nota del Servizio stesso 30 novembre 1993 prot. n°568/93 ricevevano un parere negativo, "in quanto si è rilevato che il progetto presentato, nei soli riguardi idraulici, è incompatibile con la situazione idraulica del corso d’acqua" (doc. 4 Regione, copia parere citato).

A fronte di detto parere negativo, il Sindaco del Comune, con nota 25 gennaio 1994 prot. n°898, che cita in oggetto l’originaria domanda congiunta del 3 dicembre 1991, ne chiedeva la revisione, circa la possibilità di "concedere la richiesta autorizzazione solamente per l’arginatura in sponda sinistra" (doc. 5 Regione, copia lettera).

In risposta, il Comune riceveva la nota 23 marzo 1994 prot. n°585/94 del medesimo Servizio, che testualmente esprime "parere favorevole in linea tecnica esclusivamente al mantenimento delle opere di difesa spondale, confermando altresì il parere contrario per quanto riguarda quant’altro richiesto nell’originaria istanza del 31 dicembre 1991 e nei grafici allegati" (doc. 6 Regione, copia nota citata).

A fronte di ciò, i consorti R.- G. ottenevano il rilascio della concessione edilizia n°72/91, datata 16 aprile 1994, che in premesse recita "visto il nulla osta della Regione Lombardia, Servizio provinciale genio civile de 23 marzo 1994 prot. n°585", e dichiara di avere "validità solo ed unicamente per il muro spondale" (doc. 4 ricorrenti, cit.).

In seguito peraltro, a seguito dell’esposto di una vicinante, certa Giovanna M., residente in via Fornaci di Alzano Lombardo, la quale, anche in ragione dell’identità di indirizzo, è secondo logica una parente del G.M. qui evocato in giudizio quale controinteressato, i consorti R.- G. venivano convocati dal predetto Servizio del genio civile, "in relazione al muro realizzato… in assenza del preventivo nulla osta", in quanto l’opera in questione aveva asseritamente "invaso l’alveo del torrente Nesa rispetto allo stato originario, restringendone la sezione" (doc. 7 Regione, copia nota citata).

All’esito, i consorti R.- G. ricevevano quindi la nota 24 dicembre 2002 prot. n° C 146. 2002. 0020495 della Regione Lombardia, Unità operativa tutela del territorio, denominazione nel frattempo assunta dal Servizio genio civile, nota indirizzata anche al Comune di Alzano e a G.M., nella quale si fa presente "che l’opera spondale esistente, così come eseguita, cioè in calcestruzzo a parete verticale, non è compatibile con il regime idraulico del torrente Nesa. Tale incompatibilità era già stata espressa dalla scrivente Struttura con nota 568/93 del 30 novembre 1993 sul progetto presentato in data 3 dicembre 1991 dal Comune insieme ai sigg. R./G., e successivamente richiamata nella nota sempre indirizzata al Comune di Alzano, n°585/94 del 23 marzo 1994 (forse non perfettamente formulata e quindi fraintesa nei suoi contenuti da codesta Amministrazione Comunale)" (doc. 9 Regione, copia nota citata).

In base a tale nota, il Comune di Alzano comunicava con atto 28 gennaio 2003 l’avvio del procedimento volto ad annullare la concessione edilizia n°72/91 di cui si è detto (doc. 7 ricorrenti, copia nota), e tale annullamento effettivamente operava con il provvedimento 26 giugno 2003 di cui meglio in epigrafe (doc. 1 ricorrente, copia di esso).

Avverso tale provvedimento, e avverso la suddetta nota della Unità operativa tutela del territorio di cui si è detto, i consorti R.- G. hanno proposto il ricorso principale, articolato in ordine logico nei seguenti tre motivi:

– con il primo di essi, rubricato come terzo a p. 11 dell’atto, deducono violazione degli artt. 9 e 11 della l. 28 febbraio 1985 n°47, per avere il Comune provveduto all’annullamento senza acquisire il parere della commissione edilizia, ad avviso dei ricorrenti richiesto a pena di illegittimità;

– con il secondo motivo, rubricato come primo a p. 5 dell’atto, deducono violazione degli artt. 3 e 7 della l. 241/1990 per difetto di motivazione, in quanto il provvedimento impugnato non spiegherebbe le ragioni dell’incompatibilità dell’opera con il regime del corso d’acqua, incompatibilità di cui, ad avviso dei ricorrenti si potrebbe dubitare, atteso che il Servizio genio civile nella stessa nota 24 dicembre 2002 la riterrebbe ammissibile, se realizzata con l’uso di "massi ciclopici". Nel quadro del motivo, chiedono quindi CTU sulla compatibilità dell’opera (p. 7 nono rigo);

– con il terzo motivo, rubricato come secondo a p. 8 dell’atto, deducono ulteriore violazione degli artt. 9 e 11 della l. 47/1985, nel senso che il Comune non avrebbe motivato sulla sussistenza di un interesse pubblico, prevalente su quello privato, ad annullare la concessione.

Resistono la Regione Lombardia, con memoria 3 ottobre 2003, G.M., con atto 6 ottobre 2003, e il Comune di Alzano, con memoria 7 ottobre 2003, i quali:

– in via preliminare, eccepiscono il difetto di giurisdizione in favore del Tribunale superiore delle acque, in quanto il provvedimento impugnato sarebbe una "vera e propria autorizzazione alla realizzazione di un’opera idraulica" (memoria Regione, p. 4 ottavo rigo dalla fine);

– nel merito, chiedono comunque che il ricorso sia respinto, osservando in particolare che per una attività dovuta come quella posta in essere non si richiede il parere della commissione edilizia (memoria Comune, p. 7) e come l’originaria concessione si fondasse su un nulla osta solo apparente (ibidem, p. 5 ultimo rigo).

Con ordinanza 7 ottobre 2003 n°819, la Sezione respingeva l’istanza cautelare.

Successivamente, G.M., odierno controinteressato, promuoveva avverso questo Tribunale un ricorso volto ad accertare l’illegittimità del presunto comportamento omissivo tenuto dal Comune di Alzano a seguito del predetto annullamento della concessione, ricorso definito con sentenza 25 ottobre 2005 n°1050, nella quale si dava atto che i consorti R.- G. avevano presentato istanza di condono delle opere di che trattasi, divenute abusive appunto a seguito dell’annullamento, e che il Comune era intenzionato a respingerla; si escludeva l’inerzia e si dava pertanto atto della cessata materia del contendere (doc. 10 controinteressato, copia sentenza citata).

Effettivamente, il Comune emanava la nota 23 settembre 2005 meglio indicata in epigrafe, con la quale, testualmente ai sensi dell’art. 10 bis della l. 7 agosto 1990 n°241, rendeva noto che la domanda di condono edilizio presentata dai ricorrenti in data 10 dicembre era stata ritenuta improcedibile (doc. ricorrenti senza numero allegato al primo ricorso per motivi aggiunti); ciò in base al parere dell’Ufficio regionale, pure meglio indicato in epigrafe, che confermava il giudizio di non compatibilità idraulica delle opere pur alla luce di una perizia di parte fatta redigere dagli interessati. Il parere regionale infatti ritiene che l’opera per cui è causa, contrariamente a quanto asserito dal perito di parte, sia non migliorativa né ampliativa della sezione del corso d’acqua, in quanto presupporrebbe non una asportazione di materiale dall’alveo, ma una "occupazione abusiva di area demaniale… e pertanto una significativa riduzione della sezione idraulica di libero deflusso", così come confermato anche da un sopralluogo, da cui sarebbe emerso "che l’occupazione di area demaniale ingloba porzione di giardino privato di pertinenza dell’abitazione" (doc. 7 ricorrenti allegato al primo ricorso per motivi aggiunti, copia nota Ufficio).

Avverso tali atti, i consorti R.- G. hanno proposto il primo ricorso per motivi aggiunti, articolato in due ulteriori motivi:

– con il primo di essi, deducono ancora violazione degli artt. 3 e 7 della l. 241/1990 sotto il profilo di un presunto difetto di motivazione, consistente nel non aver tenuto in adeguato conto la perizia di parte da loro prodotta. I ricorrenti affermano infatti di aver semplicemente consolidato opere preesistenti, e di non aver mai occupato alcuna area demaniale; contestano sul punto poi che tale occupazione si possa presumere in base ad una loro richiesta di acquistare una porzione di detta area, inoltrata a loro dire solo per quieto vivere, per porre fine a reiterate richieste di pagamento di un canone, ritenute comunque infondate. Sul punto specifico, fanno poi presente di aver presentato ricorso straordinario avverso il provvedimento di diniego di cessione;

– con il secondo motivo, deducono poi violazione dell’art. 10 bis della l. 241/1990, per aver l’amministrazione reso disponibile il verbale del suddetto sopralluogo in tempo ritenuto non utile per controdedurre in modo adeguato.

Nelle more, G.M. presentava ulteriore ricorso a questo Tribunale, per l’ottemperanza alla citata sentenza 1050/2005, affermando che il Comune non si sarebbe in fatto attivato per reprimere l’abuso; il ricorso era definito con sentenza 10 maggio 2006 n°467 (doc. 12 controinteressato, copia di essa), che ne dichiarava l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, dato che il Comune aveva nel frattempo emanato l’ordinanza di demolizione di cui pure in epigrafe (doc. senza numero allegato al secondo ricorso, copia di essa).

Avverso tale ordinanza, i consorti R.- G. hanno proposto il secondo ricorso per motivi aggiunti, articolato in due motivi:

– con il primo di essi, ripropongono in sintesi quasi alla lettera le argomentazioni del primo motivo del primo ricorso per motivi aggiunti, dedotte come vizio di illegittimità derivata dell’ordinanza;

– con il secondo motivo, deducono violazione dell’art. 31 del T.U. 6 giugno 2001 n°380, per avere l’ordinanza omesso di precisare l’area che in difetto di demolizione sarebbe acquisita al patrimonio del Comune.

Hanno resistito la Regione, con memoria 9 maggio 2006, il Comune, con memoria 17 maggio 2006, e il controinteressato, con memoria 5 giugno 2006, i quali:

– in via preliminare (memoria Regione, p. 1) hanno riproposto l’eccezione di difetto di giurisdizione di cui si è detto;

– sempre in via preliminare (memoria M., p. 4 decimo rigo) hanno eccepito l’inammissibilità di entrambi i ricorsi per motivi aggiunti, in quanto proposti avverso provvedimenti che costituirebbero ottemperanza a un giudicato e quindi "insuscettibili di censura di illegittimità quanto agli aspetti coperti dalla sentenza";

– nel merito, hanno chiesto che il ricorso sia respinto.

La Sezione, con ordinanze 6 giugno 2006 n°952 e 954, disponeva verificazione, affidata all’Ufficio tecnico della Provincia di Bergamo, sullo stato dei luoghi, sospendeva sino all’espletamento di essa il provvedimento impugnato in ragione del periculum e contestualmente respingeva l’istanza di CTU.

L’Ufficio incaricato, dopo proroga dei termini assegnati disposta con decreto presidenziale 27 luglio 2006 n°76, depositava il 3 novembre 2006 relazione corredata di elaborati tecnici, nella quale affermava che le opere per cui è causa occupano un’area demaniale e risultano incompatibili col regime del torrente, comportando una "strozzatura" che ha "ridotto i meccanismi di dissipazione naturale dell’energia durante gli eventi di piena" (elaborato, p. 21).

Di conseguenza, la Sezione, con ordinanza 5 dicembre 2006 n°1692, respingeva la domanda cautelare.

Con memorie 12 maggio 2011 per la Regione, 18 maggio 2011 per il Comune e 20 maggio 2011 per il controinteressato, le parti contrarie ai ricorrenti ribadivano le proprie argomentazioni, censurando in particolare la Regione e il controinteressato l’indugio nella esecuzione di ufficio dell’ordinanza di demolizione.

Con memoria 20 maggio 2011, i ricorrenti hanno invece domandato un rinvio della causa per riunione al procedimento n°72/2009 R.G. di questo T.A.R., promosso da certo M.R., figlio di F.R. e asseritamente avente causa da questi nella proprietà del terreno interessato, "avverso i provvedimenti adottati dall’ente successivamente alla concessione edilizia chiesta dal padre" (memoria citata, p. 11 quinto rigo dal fondo).

Si oppone con memoria 27 maggio 2011 G.M.; si rimette il Comune con memoria 1 giugno 2011.

All’udienza del giorno 22 giugno 2011, la Sezione ha da ultimo trattenuto il ricorso in decisione, previo avviso alle parti presenti, fra cui i ricorrenti, della possibilità di ritenere inammissibile il primo ricorso per motivi aggiunti.

Motivi della decisione

1. Va in via preliminare respinta l’eccezione di difetto di giurisdizione in favore del Giudice amministrativo speciale rappresentato dal Tribunale superiore delle acque, proposta dalla difesa della Regione Lombardia; risulta infatti applicabile anche al caso di specie l’ordine di ragioni già fatto proprio da questo Tribunale con la sentenza sez. II 17 gennaio 2011 n°59, nei termini di cui appresso.

2. Come è noto, ai sensi dell’art. 143 del R.D. 11 dicembre 1933 n°1775, il Tribunale superiore delle acque conosce in generale dei ricorsi "per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi dall’amministrazione in materia di acque pubbliche". La norma è interpretata dalla giurisprudenza di Cassazione nel senso che la giurisdizione del giudice speciale sussiste ove siano impugnati provvedimenti che riguardino in via "immediata e diretta", anche se non esclusiva, il demanio idrico come bene fisico e il relativo suo regime: si vedano sul punto, fra le molte, Cass. S.U. 12 maggio 2009 n°10846, 7 novembre 1997 n°10934 e 14 luglio 2000 n°493, tutte relative ad opere.

3. Nel caso di specie, il provvedimento impugnato riguarda (doc. 1 ricorrente, cit.) il l’annullamento di una concessione concernente, come si è detto in narrativa, un nuovo muro spondale nel torrente Nesa e un ampliamento della strada di accesso ad un fondo dei ricorrenti. Tale concessione riguarda quindi in primo luogo un intervento prettamente edilizio, volto a realizzare un nuovo manufatto che si pone al servizio dei beni del ricorrenti e quindi non riguarda affatto in via immediata e diretta il demanio idrico, essendo ispirato anzitutto al riconoscimento dell’interesse privato a realizzare opere per la propria personale utilità e comodità. Che poi i provvedimenti di tal tipo debbano farsi carico anche di interessi di tipo diverso, nella specie dell’interesse alla buona regimazione delle acque, ma anche, ad esempio, di interessi ambientali o paesaggistici, è senz’altro vero; si tratta però, come si è detto, di una considerazione indiretta, non idonea a spostare la giurisdizione, né nel caso in cui sia impugnata la concessione, né nel caso, che qui rileva, in cui sia impugnato il provvedimento che la annulla.

4. A riprova, va sottolineato che la contraria soluzione, ovvero attribuire i provvedimenti di annullamento del genere di quello impugnato alla giurisdizione speciale, comporterebbe conseguenze poco comprensibili anche in termini di chiarezza per il cittadino, e quindi di rispetto del principio costituzionale del giusto processo. In tal caso, infatti, si avrebbe una scissione della tutela che appare artificiosa, perché condurrebbe a far scrutinare da giudici diversi provvedimenti di annullamento della medesima concessione sol perché motivati da ragioni diverse. Sussisterebbe infatti la giurisdizione del Giudice speciale ove l’annullamento facesse centro su ragioni attinenti il regime delle acque, e invece la giurisdizione del Giudice amministrativo ordinario TAR/C.d.S. in ogni altro caso. Siffatto risultato appare non conforme a quanto affermato, ad esempio, nella motivazione di C. cost. 12 marzo 2007 n°77, nel senso che la pluralità di giurisdizioni esistente nell’ordinamento è finalizzata ad una migliore tutela del cittadino e quindi, secondo logica, non può, sin quando possibile, comportare una maggiore incertezza nell’individuare il giudice cui rivolgersi, che tra l’altro il provvedimento impugnato individua espressamente in questo T.A.R. (cfr. sempre doc. 1 ricorrente, cit.).

5. Va parimenti respinta la richiesta preliminare di differimento della decisione per consentire la riunione del presente fascicolo al n°72/2009 R.G. di questo T.A.R., che secondo quanto asserito dalle stesse parti ricorrenti è proposto da un soggetto diverso e riguarda vicende sì relative allo stesso immobile, ma successive ai provvedimenti per i quali è processo in questa sede e quindi a loro volta diverse. La richiesta riunione pertanto è non doverosa; potrebbe in ipotesi rispondere a ragioni di opportunità, che nella specie non si ravvisano, in quanto si tradurrebbero in una ulteriore dilazione nel decidere un contenzioso ormai risalente, cui oltretutto, come si vedrà, è indirettamente, ma non per ciò in misura irrilevante, sotteso un interesse alla incolumità pubblica.

6. Ciò posto, il ricorso principale è infondato e va respinto. Di esso, è infondato anzitutto il primo motivo, poiché, come affermato da C.d.S. sez. VI 2002 n°5441, citata anche dalla difesa del Comune, ove come nella specie l’annullamento di una concessione edilizia si configuri come atto vincolato non è in alcun modo necessario il parere della commissione edilizia.

7. E" poi infondato anche il secondo motivo di ricorso principale, incentrato sulla presunta mancata dimostrazione dell’incompatibilità dell’opera con il regime del corso d’acqua, e quindi su un altrettanto presunto vizio di motivazione del provvedimento impugnato. In proposito, è in generale del tutto noto che la motivazione di un qualunque provvedimento amministrativo deve consentire di in modo agevole di ripercorrere il percorso logico seguito nell’emanare il provvedimento stesso: sul principio, si veda per tutte C.d.S. sez. V 11 novembre 2005 n°6347. La regola è intesa in modo ampio, nel senso che la motivazione si considera presente in tutti i casi in cui anche "a prescindere dal tenore letterale dell’atto finale, i documenti dell’istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni… della determinazione assunta", come affermato di recente da C.d.S. sez. IV 10 maggio 2005 n°2231; discende poi dalla comune logica che tale ricostruzione può essere alla portata di chi sia fornito delle conoscenze della persona media, ma anche richiedere conoscenze specifiche: la motivazione sarà validamente espressa in entrambi i casi, se pure nel secondo di essi meno facilmente interpretabile.

8. L’onere di motivazione poi, come previsto in modo espresso dall’art. 3 della l. 7 agosto 1990 n°241, può essere assolto anche con il rinvio esplicito ad uno degli atti del procedimento, cd. motivazione per relationem: come dispone il comma 3 dell’articolo in questione, infatti, "se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l’atto cui essa si richiama". In proposito, come ha chiarito la giurisprudenza, l’atto richiamato deve essere non necessariamente allegato, ma anche semplicemente reso successivamente disponibile in copia o per lo meno in visione.

9. Nel caso di specie, l’atto impugnato, come detto in narrativa, è motivato (cfr. doc. 1 ricorrenti, cit.) con il richiamo alla nota, pure citata in narrativa, 24 dicembre 2002 prot. n° C 146. 2002. 0020495 della Regione Lombardia, Unità operativa tutela del territorio (doc. 2 ricorrenti, cit.), e ciò nella specie è sicuramente legittimo, dato che, come si è detto, tale nota era stata previamente inviata ai ricorrenti stessi, che quindi ben ne conoscevano il contenuto, e addirittura già disponevano della copia relativa; non sono stati quindi in alcun modo lesi nel loro diritto di difesa in merito.

10. La nota regionale 24 dicembre 2002 in questione, come risulta dal contenuto di essa riportato in premesse, argomenta poi la incompatibilità dell’opera così come realizzata, ovvero in calcestruzzo a parete verticale, con riferimento al progetto a suo tempo presentato. Ciò vuol dire, secondo logica, che il semplice esame del progetto stesso, ovviamente da parte di persona dotata delle necessarie competenze, era sufficiente a raggiungere tale conclusione. Tanto è stato concretamente verificato nel presente processo, dato che la verificazione affidata all’Ufficio tecnico della Provincia di Bergamo, di cui sempre in premesse, è giunta al medesimo risultato, che si illustrerà meglio, ma che sin da ora si ritiene di condividere, in quanto ottenuto in base a premesse di fatto non contestate attraverso passaggi logici immuni da contraddizioni. Non rileva poi, all’evidenza, la circostanza evidenziata dai ricorrenti, ovvero che l’Ufficio regionale abbia ritenuto astrattamente realizzabile l’opera in questione con altre modalità costruttive, dato che ciò se mai conferma la sua attuale non conformità.

11. La reiezione del secondo motivo nei termini suddetti comporta poi che vada definitivamente respinta l’istanza di CTU proposta dalle parti, dato che tale mezzo istruttorio non appare suscettibile di offrire alcun apporto conoscitivo ovvero alcuna garanzia difensiva superiori a quelli dati dalla verificazione citata, che è stata eseguita da un ente terzo nel più ampio contraddittorio delle parti.

12. E" infondato anche il terzo motivo del ricorso principale, incentrato sulla mancata dimostrazione di un interesse pubblico superiore a quello privato al mantenimento in vita dell’atto annullato. Questo Giudice non ignora l’orientamento giurisprudenziale, espresso per tutte dalla massima di C.d.S. sez. V 19 marzo 2009 n°1615, per cui per annullare legittimamente una concessione edilizia non sarebbe sufficiente la semplice esigenza di ripristinare la legalità asseritamente violata; si richiederebbero invece anche un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio e la comparazione tra tale interesse e l’entità del sacrificio imposto all’interesse privato, in particolare quando il titolare della concessione, in ragione del tempo decorso, abbia maturato un legittimo affidamento in merito alla realizzazione delle opere. In merito va però osservato che la fattispecie in esame si configura come nella sostanza analoga a quella della repressione di un abuso edilizio, perché in entrambi i casi si tratta, in ultima analisi, di eliminare dal mondo fisico opere incompatibili con il regime dei suoli, e talora, come nella specie, anche pericolose per la sicurezza e incolumità.

13. E" pertanto applicabile alla fattispecie quanto affermato con riguardo alla repressione degli abusi in parola dalla prevalente giurisprudenza – per tutte, C.d.S. sez. IV, 15 settembre 2009 n°5509 e, fra le decisioni della Sezione, TAR Brescia sez. I 22 febbraio 2010 n°860, ovvero che il potere relativo può essere esercitato in ogni tempo, senza necessità di alcuna specifica motivazione in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico. E" poi pertinente anche il rilievo di principio formulato dalla Sezione nella citata sentenza 860/2010: la costruzione incompatibile con il regime dei suoli integra un illecito permanente, ditalché ogni provvedimento repressivo dell’amministrazione non è emanato a distanza di tempo da un illecito ormai esaurito, ma interviene su una situazione antigiuridica che perdura sino a quel momento. L’atto impugnato si configura quindi come nella specie dovuto.

14. Per completezza, si rileva comunque che il suddetto risultato non muterebbe anche seguendo l’indirizzo giurisprudenziale di cui si è detto. L’atto contiene infatti l’espressione di una valida ragione di interesse pubblico prevalente su quello privato a mantenere la costruzione. Annullare una concessione perché il manufatto da essa autorizzato contrasta con la corretta regimazione delle acque implica che lo stesso sia potenzialmente pericoloso, come detto più volte, per l’incolumità pubblica, dato il notorio potenziale dannoso in caso di piena della corrente di un fiume il cui alveo sia irregolarmente ristretto. La tutela di tale interesse, all’evidenza, è prevalente su ogni interesse del privato.

15. Va a questo punto esaminata e respinta l’eccezione preliminare di inammissibilità di entrambi i ricorsi per motivi aggiunti, in quanto, asseritamente, rivolti avverso atti di esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza 1050/2005 di questo Tribunale. In proposito, non si può infatti prescindere dal carattere proprio di tale sentenza, che, come pacifico, è stata pronunciata su ricorso in materia di silenzio inadempimento. Il giudicato in proposito, come è noto, obbliga infatti l’amministrazione a provvedere, ma di regola nulla dice, né nel caso presente nulla ha detto, sulle modalità con le quali deve ciò deve essere fatto. Pertanto, qualora di tali modalità ci si voglia dolere, va proposto, come nella specie, ricorso ordinario avverso i provvedimenti in concreto emanati: sul principio, v. per tutte C.d.S. sez. IV 28 aprile 2008 n°1871.

16. Il primo ricorso per motivi aggiunti va invece dichiarato inammissibile per le ragioni rilevate d’ufficio e fatte presente alle parti nei termini di cui in narrativa: esso è rivolto avverso un atto dichiaratamente non provvedimentale, e quindi privo di attitudine lesiva, in quanto qualificato in modo espresso come preavviso di diniego ai sensi dell’art. 10 bis l. 241/1990 (doc. ricorrenti senza numero allegato al primo ricorso per motivi aggiunti): in proposito, si veda per tutte in termini di principio C.d.S. sez. IV 4 aprile 2008 n°1441.. Non vale obiettare, come ha fatto la difesa dei ricorrenti alla discussione in pubblica udienza, che il diniego preannunciato non si sarebbe mai tradotto nel provvedimento finale, che mancherebbe. Ciò infatti conferma che non si è prodotta alcuna lesione della sfera giuridica del privato, e che un ricorso non è necessario, ma non abilita certo a presentarlo avverso un atto che provvedimento non è.

17. Il secondo ricorso per motivi aggiunti va invece respinto nel merito. Di esso è infondato anzitutto il primo motivo, incentrato ancora su un presunto difetto di motivazione del provvedimento. In proposito, richiamate tutte le considerazioni di carattere generale già esposte in proposito, va rilevato che l’ordinanza di demolizione è motivata anche in questo caso per relationem, ovvero richiamando il parere regionale citato in narrativa (doc. 9 controinteressato, cit.), secondo il quale l’opera in questione avrebbe ristretto la sezione idraulica del fiume. Lo stesso parere afferma che ciò si sarebbe accertato non già, come pretendono i ricorrenti, argomentando da una loro domanda di acquisto di sedime demaniale, ma in base a misurazioni dirette, delle quali nemmeno è allegata la non accuratezza.

18. Ciò posto, le conclusioni di non compatibilità dell’opera espresse dal parere citato vanno ritenute corrette alla luce della verificazione disposta dal Collegio, di cui pure si è detto. La stessa, eseguita previo sopralluogo in contraddittorio con i tecnici di parte, ha accertato, come detto in premesse, che l’opera ha di fatto comportato una "strozzatura" che ha "ridotto i meccanismi di dissipazione naturale dell’energia durante gli eventi di piena" (elaborato, p. 21, cit): le possibili conseguenze sono del tutto evidenti anche alla luce del senso comune.

19. In tal senso, non ha quindi pregio l’ulteriore argomento di censura delle parti, secondo il quale l’amministrazione non avrebbe tenuto in adeguato conto la perizia di parte da loro prodotta, redatta da certo T.. In proposito, è sufficiente osservare come il giudizio espresso nella stessa, per cui il muro "appare correttamente dimensionato e non ha impatto idraulico negativo" (doc. 4 ricorrenti allegato al primo ricorso per motivi aggiunti, copia perizia T.), sia apodittico ed espresso con riferimento dichiarato al "progetto", non già, come gli atti dell’amministrazione, in base allo stato dei luoghi. Né lo stesso T., il quale ha partecipato alla verificazione come tecnico di parte (v. elaborato p. 10 e passim) ha saputo meglio giustificare tale sua opinione.

20. Da ultimo, è infondato anche il secondo motivo, in quanto per pacifica giurisprudenza, l’individuazione dell’area da acquisire al patrimonio del Comune non è requisito di legittimità dell’ordinanza di demolizione, potendo essere eseguita anche in un secondo tempo: per tutte, v. la recente TAR Piemonte sez. I 24 marzo 2010 n°1577.

21. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, in misura che appare adeguata alla non minima complessità della causa.

22. Da ultimo, il Collegio deve rilevare che -pur in presenza di un’ordinanza di demolizione non sospesa, come da ordinanza cautelare n°1692/2005 e di un’istruttoria che ne ha confermato la potenziale pericolosità- il muro per il quale è causa dopo più di cinque anni dai provvedimenti citati non è stato ad oggi demolito. Poiché ciò potrebbe integrare gli estremi di reati, in ispecie di quello p.e.p. dall’art. 450 c.p., va disposta trasmissione degli atti, precisamente di copia della presente sentenza, dell’ordinanza cautelare n°1692/2005 e della relazione di verificazione dell’Ufficio tecnico della Provincia di Bergamo alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo per quanto di eventuale competenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, così provvede:

a) respinge il ricorso principale;

b) dichiara inammissibile il primo ricorso per motivi aggiunti;

c) respinge il secondo ricorso per motivi aggiunti;

d) condanna in solido i ricorrenti F.R. e N.G. a rifondere le spese del giudizio alle amministrazioni convenute Comune di Alzano Lombardo e Regione Lombardia e al controinteressato G.M., spese che liquida in Euro 3.000 (tremila/00) per ciascuna di dette parti;

e) dispone la trasmissione di copia degli atti indicati in motivazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo per quanto di eventuale competenza.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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