Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 06-05-2011) 14-07-2011, n. 27725

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il 30 novembre 2011 la Corte d’Appello di Cagliari ha confermato la sentenza del locale Tribunale che il 6 maggio 2007 aveva condannato alla pena di sei mesi di reclusione ed alla sospensione della patente di guida per due mesi C.F., ritenuto colpevole di omicidio colposo – aggravato dalla violazione delle norme del codice della strada – in danno di D.S., in (OMISSIS).

Quel giudice aveva anche condannato il medesimo al risarcimento dei danni – da liquidarsi in separato giudizio – oltre ad una provvisionale di Euro cinquemila ciascuno, in favore delle parti civili D.E., D.M.G. e D.M.. Il difensore del C. ricorre, deducendo violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione agli artt. 192, 530 e 533 c.p.p., in quanto la sentenza impugnata avrebbe fondato la condanna esclusivamente sull’accertamento peritale senza tenere conto di ulteriori evidenze processuali di segno opposto; ricorda che l’art. 633 c.p.p., stabilisce che la condanna può essere pronunziata soltanto se l’imputato risulta colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio; osserva che nella specie i Carabinieri intervenuti sul luogo subito dopo l’incidente hanno indicato il punto d’urto nella corsia di marcia del C.; precisa che uno dei due militari (redattori del rapporto), autore in particolare dei rilievi e dello schizzo planimetrico, ha affermato che erano perplessi sul punto d’impatto e lamenta che lo stesso è purtroppo deceduto prima di essere esaminato; si duole della scarsa onestà intellettuale del perito, il quale – pur a distanza di molti anni e sulla base dei soli rilievi fotografici – ha individuato senza incertezze il predetto punto "utilizzando il teorema del baricentro tutt’altro che scientifico" ed applicandolo "a corpi modificabili e senza potere accertare le condizioni del manto stradale e delle autovetture"; ad avviso del ricorrente, il perito non avrebbe considerato circostanze quali stato dell’asfalto (se netto o coperto da terriccio) e/o lo stato delle "gomme": dettagli, questi, che non consentirebbero conclusioni sicure; aggiunge che il punto d’urto indicato dai carabinieri e quello precisato dal perito sono tra loro molto vicini;

assume che se i carabinieri subito intervenuti in loco erano perplessi, le conclusioni dei periti d’accusa sarebbero apodittiche, mentre sarebbero corrette quelle dell’ing. M. consulente dell’imputato. A sostegno delle censure dedotte, con il ricorso vengono evidenziati i seguenti elementi: 1) D. usciva da una curva ed il C. era in un rettilineo e viaggiava su una vettura di classe superiore e, quindi, più stabile; 2) C. è stato interamente risarcito con Euro 110.000,00 ed ha dichiarato in dibattimento che la controparte ha invaso la corsia; 3) il perito ed il consulente del P.M. avrebbero posizionato le vetture in un punto diverso da quello reale (al riguardo, risultano allegati al ricorso il disegno dei Carabinieri e le planimetrie di perito e consulente).

Il ricorrente afferma che mentre nelle planimetrie l’auto del C. rivolge la parte anteriore verso l’aiuola spartitraffico, nel disegno dei Carabinieri la stessa parte è rivolta verso lo svincolo (OMISSIS); inoltre, nelle planimetrie le auto sono alla stessa altezza, mentre nel citato schizzo sono "molto più distanti". Il ricorrente conclude quindi sostenendo che tali documenti non legittimerebbero la condanna.

Motivi della decisione

Preliminarmente, mette conto sottolineare che con apposita ordinanza letta in udienza, e su conforme parere del Procuratore Generale, è stata rigettata la richiesta di rinvio presentata dal difensore del ricorrente, per adesione all’astensione dalle udienze proclamata dalle Camere penali, avuto riguardo all’imminente scadenza del termine di prescrizione del reato (11 maggio 2011) tenuto conto della data del commesso reato ((OMISSIS)) e della concessione delle attenuanti generiche valutate con giudizio di prevalenza sull’aggravante. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito indicate. Il ricorrente, invero, ha prospettato esclusivamente censure tendenti ad accreditare una diversa ricostruzione della dinamica dell’incidente, in quanto tali non deducibili in sede di legittimità. Giova sottolineare che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, o – a seguito della modifica apportata all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 – da "altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame"; il che vuoi dire – quanto al vizio di manifesta illogicità – per un verso, che il ricorrente deve dimostrare, con il ricorso, che l’iter argomentativo seguito dal giudice del merito è assolutamente carente sul piano logico e che, per altro verso, questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter, quand’anche in tesi egualmente corretti sul piano logico: ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano ad una diversa lettura o interpretazione, ancorchè munite di eguale crisma di logicità (cfr: Sez. U, n. 30 del 27/09/1995 Cc. – dep. 14/12/1995 – Rv. 202903; Sez. Un., N.6402/97, imp. Dessimone ed altri, RV. 207944; Sez. Un., ric. Spina, 24/11/1999, RV. 214793). Con riguardo alla specifica materia della circolazione stradale, nella giurisprudenza di legittimità è stato altresì enunciato, e più volte ribadito, il principio secondo cui "la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia – valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle relative responsabilità, determinazione dell’efficienza causale di ciascuna colpa concorrente – è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione" (in tal senso, tra le tante, Sez.4, N. 87/90, imp. Bianchesi, RV. 182960).

Nella concreta fattispecie, la valutazione delle risultanze processuali effettuata dalla Corte d’appello, in secondo grado, appare tutt’altro che illogica e la sentenza si presenta sul punto adeguatamente motivata, anche tenendo conto della conforme ed integrativa pronuncia di primo grado. La Corte d’Appello ha ancorato il suo convincimento – circa la ritenuta colpevolezza dell’imputato – a risultanze probatorie specificamente indicate, coordinandole con argomentazioni logicamente concatenate, con particolare riferimento alle consulenze della parte civile e del P.M., nonchè all’esito della perizia disposta a dibattimento, muovendo dai dati obiettivi – rilevati dai Carabinieri intervenuti sul luogo del sinistro, ritenuti riscontrati nelle fotografie effettuate in quel contesto ed in quanto tali valutati come prevalenti, dal punto di vista probatorio, sulle dichiarazioni dell’imputato – e dalla natura e dal’entità dei danni riportati dalle vetture coinvolte nell’incidente. Nè la Corte distrettuale ha mancato di prendere in esame le deduzioni dell’appellante, confutandole specificamente anche in base a considerazioni tecniche e scientifiche sulla scorta della concorde valutazione di tre tecnici (cfr. pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata); quanto all’avvenuto risarcimento dei danni in favore del C., la Corte stessa ha ricondotto tale circostanza ad una libera scelta della compagnia assicuratrice della controparte, considerandola quindi, con valutazione priva di qualsiasi connotazione di illogicità, del tutto irrilevante sul piano probatorio. Se la denuncia del ricorrente va poi letta alla stregua dei contenuti concettuali dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. n. 46 del 2006, occorre allora tener conto che: 1) la legge citata non ha normativamente riconosciuto il travisamento del fatto, anzi lo ha escluso: semmai, può parlarsi di "travisamento della prova", che, nel rinnovato indirizzo interpretativo di questa Corte, ha un duplice contenuto, con riguardo a motivazione del Giudice di merito o difettosa per commissione o difettosa per omissione, a seconda che il Giudice di merito, cioè, incorra in una utilizzazione di un’informazione inesistente, ovvero in una omissione decisiva della valutazione di una prova (Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, Rv. 233460, P.M. in proc. Napoli). In sostanza, la riforma della L. n. 46 del 2006 ha introdotto un onere rafforzato di specificità per il ricorrente in punto di denuncia del vizio di motivazione. Infatti, il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) – nel far riferimento ad atti del processo che devono essere dal ricorrente "specificamente indicati" – detta una previsione aggiuntiva ed ulteriore rispetto a quella contenuta nell’art. 581 c.p.p., lett. c) (secondo cui i motivi di impugnazione devono contenere "l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta"). Con la conseguenza che sussiste a carico del ricorrente – accanto all’onere di formulare motivi di impugnazione specifici e conformi alla previsione dell’art. 581 c.p.p. – anche un peculiare onere di inequivoca "individuazione" e di specifica "rappresentazione" degli atti processuali ritenuti rilevanti in relazione alla doglianza dedotta, onere da assolvere nelle forme di volta in volta più adeguate alla natura degli atti stessi, e cioè integrale esposizione e riproduzione nel testo del ricorso, allegazione in copia, precisa identificazione della collocazione dell’atto nel fascicolo del giudice et similia (cfr.

Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Rv. 233778, imp. Simonetti ed altri). In forza di tale principio (cosiddetta autosufficienza del ricorso) si impone, inoltre, che in ricorso vengano puntualmente ed adeguatamente illustrate le risultanze processuali considerate rilevanti e che dalla stessa esposizione del ricorso emerga effettivamente una manifesta illogicità del provvedimento, pena altrimenti l’impossibilità, per la Corte di Cassazione, di procedere all’esame diretto degli atti (in tal senso, "ex plurimis", Sez. 1 n. 16223 del 02/05/2006, Rv. 233781 imp. Scognamiglio): manifesta illogicità motivazionale assolutamente insussistente nel caso in esame, se si tiene conto delle argomentate risposte fornite dalle integrative pronunce di primo e secondo grado alle questioni poste dalla difesa dell’imputato. Ma v’è di più, posto che, sempre con riferimento alla portata delle innovazioni della L. n. 46 del 2006 relativamente allo specifico caso di ricorso per cassazione di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), non è sufficiente: a) che gli atti del processo evocati con il ricorso siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e/o valutazioni del giudicante, o con la sua ricostruzione complessiva (e finale) dei fatti e delle responsabilità; b) nè che tali atti possano essere astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Occorre invece che gli "atti del processo", presi in considerazione per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione, siano "decisivi", ossia autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione. In definitiva: la nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, nella parte in cui consente la deduzione, in sede di legittimità, del vizio di motivazione sulla base, oltre che del "testo del provvedimento impugnato", anche di "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, per cui gli atti in questione non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati (non solo singolarmente, ma in relazione all’intero contesto probatorio), avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo comunque esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione (cui deve limitarsi la corte di cassazione) possa essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Rv. 233775, imp. Capri ed altri).

Tenendo conto di tutti i principi testè ricordati, deve dunque concludersi che, nel caso di specie, le argomentazioni poste a base delle censure appena esaminate non valgono a scalfire la congruenza logica del complesso motivazionale impugnato, alla quale il ricorrente ha inteso piuttosto sostituire una sua perplessa visione alternativa del fatto facendo riferimento all’art. 606 c.p.p., lett. e): pur asserendo di volere contestare l’omessa o errata ricostruzione di risultanze della prova dimostrativa, il ricorrente, in realtà, ha piuttosto richiesto a questa Corte un inammissibile intervento in sovrapposizione argomentativa rispetto alla decisione impugnata, e ciò ai fini di una lettura della prova alternativa rispetto a quella, congrua e logica, fornita dalla Corte di merito.

Le allegazioni difensive non valgono dunque a disarticolare l’apparato argomentativo delle integrative pronunce di primo e secondo grado (trattasi di doppia conforme): è principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (in termini, "ex plurimis", Sez, 3, n. 4700 del 14/02/1994 Ud. – dep. 23/04/1994 – Rv.

197497; conf. Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 Ud. – dep. 05/12/1997 – Rv. 209145). Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00 (mille).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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