Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 14-04-2011) 14-07-2011, n. 27772

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale del Riesame di Bologna, con ordinanza del 31-12-2010, rigettava l’istanza di riesame avanzata da T.F. avverso il provvedimento in data 15-12-2010 della Corte di Appello di Bologna con cui veniva applicata nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di furto aggravato in abitazione, in ordine al quale il predetto era stato condannato dalla Corte di Bologna in data 9-12-2010 alla pena di anni tre mesi dieci di reclusione ed Euro 550,00 di multa.

2. In fatto, in data 26-3-2009 il T. veniva sottoposto a misura di custodia in carcere, con provvedimento emesso dal GIP del Tribunale di Forlì, perchè Indagato per i reati di tentato omicidio plurimo e di furto aggravato in abitazione (art. 624 bis c.p. e art. 61 c.p., n. 5) a danno dei vicini di casa B. – A.. Il Tribunale in sede di Riesame confermava l’ordinanza per l’ipotesi di furto e non per il tentato omicidio. Nel corso dell’applicazione della misura cautelare, il GIP del Tribunale di Rimini, il quale procedeva a sua volta per il reato ex art. 612 bis a carico del T. a danno delle medesime parti offese del procedimento pendente presso il Tribunale di Forlì, applicava ripetutamente in via provvisoria la misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, di cui veniva poi disposta la cessazione.

Il Tribunale di Forlì, con sentenza del 23-12-2009, dichiarava l’imputato colpevole per i reati di furto e tentato omicidio, in continuazione con altri fatti di danneggiamento e di minaccia e, con il riconoscimento del vizio parziale di mente, lo condannava alla pena di anni sette mesi sei di reclusione con l’applicazione della misura di sicurezza dell’assegnazione a casa di cura e custodia per anni uno. La pena detentiva relativa al furto non veniva quantificata in modo autonomo ma fissata in mesi quattro di reclusione a titolo di aumento sulla pena base fissata per il tentato omicidio. Di conseguenza, nel corso del procedimento di appello, la Corte di Bologna dichiarava estinta la misura cautelare in ordine al reato di furto, ai sensi dell’art. 300 c.p.p., comma 4, perchè la durata della custodia già subita era superiore all’entità della pena irrogata;peraltro, contemporaneamente emetteva altra misura coercitiva in carcere per il delitto di tentato omicidio ritenuto dal Tribunale in primo grado. Successivamente, al termine del dibattimento, la Corte, con sentenza in data 9-12-2010, assolveva T.F. dal reato ex artt. 56-575 cod. pen. confermando la condanna per i reati di furto, di danneggiamento e minaccia. Irrogava la pena complessiva di anni quattro di reclusione ed Euro 600,00 di multa, di cui anni tre mesi dieci di reclusione ed Euro 550,00 di multa per il delitto più grave di furto; revocava la misura cautelare disposta per il delitto di tentato omicidio.

3. Su richiesta del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bologna, la Corte di Bologna, con ordinanza in data 15-12-2010, ripristinava la misura cautelare nei confronti di T. per il delitto di furto.

4. Il Tribunale del Riesame di Bologna, nel confermare appunto il provvedimento, osservava che sussistevano gravi elementi attestanti il pericolo di ripetersi di fatti di grave aggressività nei confronti della famiglia B. – A., come già avvenuto in precedenza ed attestato dalla recidiva specifica relativa alla commissione di analoghi reati contro il patrimonio (furti aggravati, furti in abitazione,danneggiamenti aggravati) aventi per oggetto i beni appartenenti alle persone prese di mira. In particolare, la misura coercitiva più grave appariva la sola idonea a tutelare le indubbie esigenze cautelari, in considerazione dell’assenza di autocontrollo del T., le sue irrisolte problematiche psicopatologiche, la conclamata avversione per le persone offese.

5. T.F. proponeva ricorso per cassazione deducendo buona parte delle censure già fatte valere in sede di riesame. a) Eccepiva la violazione degli artt. 300 e 307 cod. proc. pen. perchè la misura cautelare, concernente il reato di furto, era stata dichiarata estinta e non erano intervenuti fatti nuovi che ne potevano giustificare il ripristino. b) La durata già intercorsa di 23 mesi di custodia cautelare configurava un chiaro indice di mancanza di proporzionalità della misura in relazione all’entità del fatto ed alla sanzione irrogata, ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 2. c) Eccepiva la violazione dell’art. 297 c.p.p., comma 3 (cd. contestazione a catena) dovendosi fare decorrere la custodia cautelare non dal 26-3-2009 (data di esecuzione dell’ordinanza cautelare emessa dal GIP di Forlì), ma dal 13-3-2009, data di esecuzione del provvedimento cautelare emesso dal GIP di Rimini nel procedimento connesso a suo carico per il reato ex art. 612 bis cod. pen. sempre a danno della famiglia B. – A.. Comunque, ai sensi dell’art. 303, comma 4, lett. a), i termini di custodia cautelare dovevano ritenersi decorsi il 13-3-2011. d) Rilevava che erroneamente il Tribunale del Riesame aveva affermato che l’applicazione provvisoria della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario da parte del GIP del Tribunale di Rimini aveva determinato la sospensione della misura coercitiva disposta dal GIP del Tribunale di Forlì. e) L’ordinanza cautelare della Corte di Appello di Bologna violava ripetutamele il disposto di cui all’art. 292 cod. proc. pen. (contenuto dell’ordinanza applicativa della misura cautelare), mancando della precisa indicazione delle generalità dell’indagato, del luogo dove si trovava costui, della indicazione delle generalità delle parti offese, la specificazione dei fatti (il furto di attrezzi nell’abitazione semiabbandonata del vicino) che dovevano giustificare l’emissione del provvedimento coercitivo, le ragioni per cui non era consentita l’applicazione della misura meno grave degli arresti domiciliari, una corretta considerazione degli elementi sussistenti a favore dell’indagato. f) Evidenziava la violazione dell’art. 309, commi 5 e 10 per la mancata trasmissione di tutti gli atti del procedimento al Tribunale del Riesame, mentre era stata inviata la sola sentenza di appello. g) Censurava, in quanto fondato su elementi fattuali non esistenti, il giudizio prognostico negativo formulato dal Tribunale del Riesame che aveva configurato un concreto pericolo di recidiva da parte di esso istante. Per contro, sottolineava la modesta gravita e rilevanza del reato di furto contestato. Escludeva di essere gravato di precedenti giudiziari per reati contro il patrimonio. Escludeva di essere gravato da precedenti giudiziari per reati contro il patrimonio. h) Eccepiva la violazione dell’art. 291 c.p.p., poichè la richiesta del Procuratore Generale di Bologna di emissione della misura cautelare si presentava del tutto generica anche sotto il profilo delle esigenze cautelari.

Chiedeva l’annullamento della decisione. Il ricorrente presentava ulteriore memoria difensiva.

Motivi della decisione

1. Il ricorso deve essere rigettato perchè infondato.

Si osserva che, in ordine a buona parte del rilievi prospettati, ha già risposto il Tribunale del Riesame con argomentazioni corrette ed esaustive.

Circa il primo motivo di ricorso, va detto che, dopo la declaratoria di estinzione della misura cautelare concernente il reato di furto perchè la durata di essa era superiore all’entità della pena irrogata (v. art. 300 c.p.p., comma 4), non ricorreva alcun impedimento per la emissione di altra misura cautelare, a fronte di una nuova autonoma quantificazione della pena effettuata dal Collegio di cognizione di 2 grado relativa al reato di furto aggravato.

Invero, il provvedimento adottato dalla Corte di Appello di estinzione della misura coercitiva per il reato di furto conseguiva all’applicazione del principio ribadito dalla Corte di Cassazione S.U. (sent. n 25956/2009), secondo cui, ai fini della declaratoria di perdita di efficacia della misura, deve tenersi conto, trattandosi di "reato satellite", del solo aumento stabilito per la continuazione.

Peraltro, una volta divenuto reato più grave quello contro il patrimonio (a seguito dell’assoluzione per il delitto di tentato omicidio), con la determinazione in modo compiuto ed autonomo della pena, correttamente la Corte ha riapplicato il provvedimento coercitivo, come del resto disposto espressamente dall’art. 300 c.p.p., comma 5 nel caso di successiva condanna di imputato in un primo tempo prosciolto, in presenza delle necessarie esigenze cautelari (art. 274, comma 1, lett. b) e c). Ne consegue che non appare conferente il richiamo all’art. 307 cod. proc. pen. che prevede il ripristino della misura custodiale a seguito della scarcerazione per decorrenza dei termini, in presenza di determinate condizioni; mentre, nel caso di specie, ricorre unicamente un nuovo computo della pena, fissato dal Giudice del merito, con riflessi sul calcolo della durata della misura cautelare. Il termine di durata massima della custodia cautelare, nella vicenda in esame, risulta di anni quattro, tenuto conto che la pena edittale per il reato per il quale il T. è stato condannato è superiore a sei anni (art. 624 bis c.p. e art. 61 c.p., n. 5), e ciò ai sensi dell’art. 303 c.p.p., commi 1, lett. c) e art. 4 cod. proc. pen..

2. Fondata, ma non decisiva ai fini della valutazione complessiva delle ragioni del ricorso, si palesa l’eccezione di cui al punto c) dell’impugnazione, nel senso che, secondo il disposto stabilito dall’art. 297 c.p.p., comma 3, l’inizio dell’originaria misura cautelare deve farsi effettivamente risalire all’applicazione (in data 13-3-2009) del provvedimento coercitivo emesso dal GIP del Tribunale di Rimini per il reato connesso ex art. 612 bis cod. pen..

3. Parimenti corretta è l’affermazione del ricorrente secondo cui l’applicazione di misure di sicurezza non comporta la sospensione della durata della misura coercitiva: v. così, il significato letterale e logico dell’art. 297 c.p.p., comma 5. 4. Per contro, in relazione alle doglianze indicate ai punti e)- f) – h), si precisa che si presentano rituali, giusta il disposto degli artt. 291 e 292 cod. proc. pen., il contenuto della richiesta del P.M. e dell’ordinanza cautelare, contrassegnati dagli elementi essenziali idonei a far conoscere all’imputato il tenore delle accuse che gli vengono mosse e a consentirgli l’esercizio del diritto di difesa (v. Cass. S.U. n. 16/1999). Inoltre, questa Corte di legittimità ha ripetutamente affermato che la richiesta di misura cautelare dopo la pronuncia della sentenza di condanna non necessita dell’allegazione di atti ulteriori rispetto alla sentenza stessa (v. da ultimo, Cass. n. 41766/2010).

5. In ordine ai punti b) e g), si osserva che il Collegio del Riesame ha ampiamente ed adeguatamente dato atto delle esigenze cautelari che impongono l’adozione ed il mantenimento della misura restrittiva più grave, anche tenendo conto dell’inapplicabilità della misura degli arresti domiciliari per la ricorrente di precedenti penali ostativi per il reato di evasione (v. art. 284 c.p.p., comma 5 bis).

6. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato, in relazione alla non avvenuta scadenza dei termini di custodia cautelare ed alla ricorrenza di conclamate esigenze cautelari. Ne discende la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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