Cass. pen., sez. III 27-03-2008 (07-03-2008), n. 12942 Ricorso per cassazione del P.M. successivamente proposto contro la sentenza di non luogo a procedere – Inammissibilità.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza dell’8 aprile 2005 il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Foggia dichiarava non luogo a procedere nei confronti di B.A., S.A., M. V., C.R. e F.S. perchè estinto per prescrizione il reato loro contestato, quale previsto dagli artt. 41 e 110 c.p., L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 18 e art. 20, lett. c), perchè, in concorso tra loro, ed in particolare il M. quale amministratore unico della ditta assuntrice delle opere di lottizzazione, senza la prescritta autorizzazione e in violazione delle prescrizioni del P.R.G. vigente, che destinava la zona interessata a verde agricolo con indice di fabbricabilità fondiaria di 0,03 mc/mq, iniziavano le opere di lottizzazione che comportavano la trasformazione urbanistica ed edilizia di un terreno della superficie complessiva di mq. 85.470 demolendo le preesistenti e fatiscenti strutture edilizie e costruendo ex novo un complesso di edifici, da destinare a centro commerciale, uffici ed abitazioni residenziali, serviti da aree di parcheggio e rete stradale, per un volume complessivo dichiarato di mc. 145.527 (indice di densità fondiaria di 1,69 mc/mq, ampiamente superiore a quello consentito di 0,03 mc/mq in base al P.R.G. e al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444).
2. In precedenza con decreto emesso dal medesimo g.u.p. in data 20 giugno 2003 veniva disposto il giudizio nei confronti dei suddetti B.A., S.A., M.V., C.R. e F.S. in ordine al reato di lottizzazione abusiva loro ascritto in rubrica, sul presupposto che, pur essendo esso estinto per prescrizione (come tutti gli altri reati in contestazione, per i quali veniva emessa sentenza di non luogo a procedere), e non ricorrendo i presupposti per il proscioglimento ex art. 129 cpv. c.p.p., occorresse un accertamento nel merito del reato volto a verificare i presupposti utili per decidere sulla richiesta di confisca dell’area interessata alle opere suddette avanzata dal P.M. all’udienza preliminare del 14.3.2003 ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 19, posto che gli atti di indagine già svolti non consentivano di provvedere in tal senso.
Il giudice del dibattimento, però, con ordinanza in data 30 dicembre 2003, disponeva la restituzione degli atti al g.u.p. per incompetenza funzionale, rilevando che l’art. 129 c.p.p. prevede l’immediato proscioglimento allorchè ricorra una causa di estinzione del reato, con ogni conseguenziale decisione accessoria, ove consentita, quale la confisca, senza possibilità di accertamenti ulteriori.
Il medesimo g.u.p., ricevuti gli atti, li ritrasmetteva nuovamente al detto giudice dibattimentale, ritenendo illegittima tale regressione del processo.
Si determinava così una situazione di conflitto tra g.u.p. e giudice del dibattimento, conflitto sollevato da quest’ultimo con ordinanza del 30 gennaio 2004 e deciso da questa Corte con sentenza del 6 luglio – 16 ottobre 2004; la quale attribuiva tale competenza al g.u.p., statuendo che il carattere della immediatezza della declaratoria di proscioglimento, prescritto dall’art. 129 c.p.p., imponeva già al primo giudice, che aveva riconosciuto la ricorrenza della causa di estinzione del reato, di darvi corso adottando subito la pronuncia conseguenziale, mentre il carattere di immediatezza di tale pronuncia precludeva l’espletamento di ulteriori attività di indagine, quand’anche finalizzate alla confisca dell’area oggetto delle opere per coonestarne la qualificabilità come opere di lottizzazione; per cui il decreto pronunciato dal g.u.p. di rinvio a giudizio degli indagati doveva ritenersi abnorme.
Fissata nuovamente l’udienza preliminare, il g.u.p. pronunciava la sentenza suddetta in data 8 aprile 2005 dichiarando l’estinzione del reato per prescrizione e rigettando la richiesta del p.m. di confisca dell’area oggetto della lottizzazione abusiva.
Il g.u.p. – dopo aver rilevato come, a fronte della pacifica decorrenza dei termini previsti per l’estinzione del reato per prescrizione, non risultava affatto quella evidenza richiesta dall’art. 129 cpv. c.p.p. per addivenire ad una delle formule di proscioglimento nel merito ivi contemplate – osservava che per disporre la confisca ex L. n. 47 del 1985, art. 19, era necessaria la accertata, effettiva esistenza della lottizzazione.
Nella specie la consulenza tecnica disposta dal P.M. permetteva sì di individuare profili di illiceità della vicenda, sicchè poteva configurarsi il "fumus" del reato contestato. Ma mancavano gli elementi per un pieno accertamento dell’effettiva esistenza della lottizzazione; quali la predisposizione di un piano di frazionamento o il riscontro della destinazione delle opere edificate ad utilizzare e pianificare il territorio a scopi edilizi in mancanza di piano di lottizzazione.
Inoltre aggiungeva il g.u.p. che, se da una parte la decisione in ordine al reato, in quanto prescritto, precludeva l’espletamento di ulteriori attività di indagine, la decisione in merito alla confisca, seppur accessoria alla prima e quindi anch’essa allo stato degli atti, non poteva non tener conto della evenienza, eccepita dalle parti, che nelle more l’amministrazione comunale aveva adottato un piano di recupero urbanistico dell’area, piano che, se disposta tale confisca, avrebbe imposta la revoca della stessa, in quanto incompatibile con l’esercizio dei poteri di gestione del territorio attribuiti alla pubblica amministrazione.
3. Avverso tale sentenza di non luogo a procedere del g.u.p. dell’8 aprile 2005 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Foggia ha dapprima proposto appello con atto dell’8 giugno 2005.
La Corte di appello di Bari, in applicazione della L. 20 febbraio 2006 n. 46, art. 10, comma 2, ha dichiarato inammissibile l’appello con ordinanza del 9-20 novembre 2006. 4. Successivamente il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Foggia ha proposto ricorso per Cassazione avverso la medesima sentenza del g.u.p. dell’8 aprile 2005 in applicazione della L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10, comma 3.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Deve considerarsi innanzi tutto che il ricorso, all’esame di questa Corte, è stato proposto dal Procuratore della repubblica presso il Tribunale di Foggia – avverso la sentenza di non luogo a procedere del giudice per l’udienza preliminare dello stesso Tribunale dell’8 aprile 2005 e dopo l’iniziale atto d’appello dell’8 giugno 2005, dichiarato inammissibile dalla Corte d’appello con ordinanza del 9-20 novembre 2006 – ai sensi della L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10, commi 2 e 3, che, nel contesto delle modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, ha previsto che l’appello proposto contro una "sentenza di proscioglimento" dal Pubblico Ministero prima della data di entrata in vigore della legge medesima viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile e entro quarantacinque giorni dalla notifica di quest’ultima può essere proposto ricorso per Cassazione contro le sentenze di primo grado.
Su questa normativa (citato art. 10, comma 2) – che costituisci il presupposto che facoltizzerebbe il p.m. a proporre ricorso per Cassazione dopo la dichiarazione di inammissibilità dell’appello inizialmente proposto – la Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi più volte.
3. Dapprima con sentenza 6 febbraio 2007 n. 26 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della citata Legge, art. 10, comma 2, nella parte in cui prevede che l’appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile.
Poi con sentenza 20 luglio 2007 n. 320 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dello stesso comma nella parte in cui prevede che l’appello proposto dal pubblico ministero, prima dell’entrata in vigore della medesima legge, contro una sentenza di proscioglimento emessa a seguito di giudizio abbreviato, è dichiarato inammissibile.
Più recentemente la Corte costituzionale con ordinanza n. 4 del 18 gennaio 2008 ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 428 c.p.p., come sostituito dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 4, nonchè dello stesso art. 10 cit. sollevata, in riferimento agli artt. 3, 111 e 112 Cost. nella parte in cui – in particolare quanto al citato art. 10 – rende applicabile tale nuova disciplina ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore; questione sollevata da due Corti d’appello rimettenti in riferimento a sentenze di non luogo a procedere perchè il fatto non costituisce reato e perchè il fatto non sussiste pronunciate, rispettivamente in due distinti processi, dal giudice dell’udienza preliminare.
4. Tale ultima pronuncia della Corte (C. cost., ord., n. 4 del 2008), ancorchè abbia un unico dispositivo di manifesta inammissibilità, reca in realtà un duplice – e ben distinto – decisum: uno relativo all’art. 428 c.p.p. (disciplina a regime) e l’altro alla L. n. 46 del 2006, art. 10 (disciplina transitoria).
Quanto alla disciplina a regime (art. 428 c.p.p., come sostituito dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 4), che prevede l’inappellabilità da parte del pubblico ministero delle sentenze di non luogo a procedere, la ragione della dichiarata inammissibilità della questione di costituzionalità consiste semplicemente nella sua (manifesta) irrilevanza in ragione dell’inapplicabilità della disposizione censurata dalle Corti d’appello rimettenti nei due giudizi a quibus che riguardavano entrambi appelli del p.m. proposti ben prima dell’entrata in vigore della L. n. 46 del 2006; il cui art. 10, comma 1, prevede l’applicabilità della legge "ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima" e quindi, all’evidenza, non si applica agli appelli già proposti. Tale disposizione – sottolinea la Corte – "si limita, di per sè, a ribadire il principio tempus regit actum, che disciplina in via generale la successione di leggi nel settore processuale penale".
Pertanto la questione di legittimità costituzionale della disciplina a regime è rimasta del tutto impregiudicata perchè nient’affatto esaminata nel merito dalla Corte.
5. L’ordinanza n. 4/2006 cit. contiene poi una seconda pronuncia di manifesta inammissibilità afferente all’art. 10 cit. e riguardante invece la disciplina transitoria che si affianca a quella a regime.
Tale disciplina transitoria prevede – in parallelismo con quella a regime (art. 428 c.p.p. novellato) – la sopravvenuta inammissibilità dell’appello già proposto, in particolare, dal Pubblico Ministero (ciò peraltro vale anche a confermare che, ai sensi del primo comma del medesimo art. 10, la nuova disciplina dell’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento non riguarda gli appelli già proposti prima dell’entrata in vigore della legge medesima). L’intenzione manifesta del legislatore era quella di paralizzare gli appelli già proposti con contestuale facoltà di proporre ricorso per Cassazione ed a tal fine si è introdotto, come regime transitorio, questo insolito meccanismo: sopravvenuta inammissibilità dell’appello già proposto, non impugnabilità dell’ordinanza dichiarativa di tale sopravvenuta inammissibilità, possibilità di proposizione del ricorso per Cassazione avverso la sentenza primo grado. Però, mentre la disciplina a regime riguardava certamente sia le "sentenze di proscioglimento" (art. 593 c.p.p. novellato dalla L. n. 46 del 2006, art. 1), sia le sentenze di non luogo a procedere (art. 428 c.p.p. novellato dalla L. n. 46 del 2006, art. 4), invece il regime transitorio (cit. art. 10, commi 2 e 3) faceva riferimento solo alle "sentenze di proscioglimento". Talchè si poneva il problema interpretativo della riferibilità, o meno, di tale disciplina transitoria anche alle sentenze di non luogo a procedere.
Da una parte infatti poteva rilevarsi che la L. n. 46 del 2006 – introducendo modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle "sentenze di proscioglimento" tout court – si riferiva, secondo l’intenzione del legislatore risultante anche dal titolo della legge, a tutte le sentenze di proscioglimento in senso lato, avendo indubbiamente il legislatore modificato anche il regime dell’appellabilità delle sentenze di non luogo a procedere; sicchè anche la disciplina transitoria dettata dalla citata legge, art. 10, commi 2 e 3, poteva intendersi riferita allo stesso ambito di applicazione in modo da realizzare un perfetto parallelismo tra disciplina a regime e disciplina transitoria.
All’opposto si poteva considerare che la sentenza di non luogo a procedere non è, a stretto rigore, una sentenza di proscioglimento, quali quelle di cui alla sezione 1, capo 2, titolo 3 del libro 7 del codice di procedura penale; sicchè l'(apparente) parallelismo tra disciplina a regime e disciplina transitoria veniva infirmato dalla perdurante applicabilità della precedente disciplina dell’appellabilità delle sentenze di non luogo a procedere (art. 428 c.p.p. prima della L. n. 46 del 2006) cui seguiva, in successione di tempo, la nuova disciplina dettata dalla L. n. 46 del 2006 senza alcuna disciplina transitoria.
Questa seconda opzione interpretativa è quella accolta dalla Corte costituzionale la quale ha osservato che alle sentenze di non luogo a procedere non sono estensibili "le rationes che, sulla base dei lavori preparatori della novella, sono alla base della scelta di rendere inappellabili le sentenze di proscioglimento (rationes consistenti nel garantire all’imputato un doppio grado di merito sulla pronuncia di condanna; nell’impossibilità di escludere ogni ragionevole dubbio sulla colpevolezza, dopo una sentenza di proscioglimento; nell’opportunità di evitare che la decisione di proscioglimento emessa da un giudice che ha assistito alla formazione della prova in contraddittorio – quale quello di primo grado – possa essere ribaltata da altro giudice – quello di appello – che ha una cognizione prevalentemente "cartolare" del materiale probatorio)".
Il fatto che una norma sia contrastante con la ratio della legge che la contiene ridonda in vizio di illegittimità costituzionale per irragionevolezza intrinseca, sicchè può dirsi che la Corte, che già aveva dichiarato – per altre ragioni – l’illegittimità costituzionale del regime transitorio dell’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento da parte del pubblico ministero (C. cost. n. 26 e 320 del 2007, cit.), ha predicato un’interpretazione adeguatrice dell’art. 10, commi 2 e 3, cit. che esclude la sopravvenuta inammissibilità degli appelli già proposti dal p.m. avverso sentenze di non luogo a procedere prima della L. n. 46 del 2006.
In sostanza il "petitum" dei giudici a quibus – entrambi investiti della cognizione di appelli proposti prima delle L. n. 46 del 2006 – che hanno invocato una pronuncia di incostituzionalità che caducasse l'(assunto) regime transitorio di sopravvenuta inammissibilità dell’appello del p.m. proposto prima della L. n. 46 del 2006, come già la Corte costituzionale aveva fatto con le sentenze nn. 26 e 320 del 2007, risulta soddisfatto da un’interpretazione – che può dirsi costituzionalmente orientata – dell’art. 10, commi 2 e 3, che di per sè esclude da tale disciplina le sentenze di non luogo a procedere.
E’ questo il secondo "decisimi" (di manifesta inammissibilità) dell’ordinanza n. 4 del 2008 cit.
Ed allora – proprio seguendo il tracciato motivazionale della pronuncia cit. – deve ritenersi che la disposizione di cui alla L. n. 46 del 2006, art. 10, comma 2, abbia natura di norma eccezionale, in quanto derogatoria del generale principio tempus regit actum, onde essa va interpretata restrittivamente ed è insuscettibile di applicazione analogica. Sicchè in una prospettiva costituzionalmente orientata le "sentenze di proscioglimento", alle quali fa riferimento l’art. 10, comma 2, cit., non comprendono anche le sentenze di non luogo a procedere pronunciate dal giudice dell’udienza preliminare.
Questa interpretazione adeguatrice – può aggiungersi – trova poi riscontro anche nella giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. 1, 2 ottobre 2007 – 31 ottobre 2007, n. 40251) che da ultimo ha affermato che nella nozione di "sentenza di proscioglimento" di cui alla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10, comma 2, non rientra la sentenza di non luogo a procedere pronunciata all’esito dell’udienza preliminare, che, pertanto, non è soggetta alla disciplina prevista da detta disposizione.
6. Per effetto di quanto finora argomentato, viene meno – in diritto – il presupposto legittimante del ricorso per Cassazione, attualmente all’esame di questa Corte, proposto dal p.m. avverso la sentenza di non luogo a procedere del g.u.p. del Tribunale di Foggia dell’8 aprile 2005, presupposto previsto appunto dalla citata legge, art. 10, comma 3, in riferimento alla previa pronuncia di inammissibilità dell’appello ex art. 10, comma 2; ciò perchè – per quanto sopra esposto – l’art. 10, comma 2 e 3, non trova affatto applicazione alle sentenze di non luogo a procedere pronunciate dal giudice dell’udienza preliminare. Agli appelli già proposti prima dell’entrata in vigore della L. n. 46 del 2006 continuava ad applicarsi l’art. 428 c.p.p. nella formulazione precedente alla modifica introdotta da tale ultima legge in ragione del principio tempus regit actum.
Quindi si ha che:
la sentenza di non luogo a procedere emessa dal giudice per l’udienza preliminare l’8 aprile 2005 era appellabile (ai sensi dell’art. 428 c.p.p. all’epoca vigente) e non già ricorribile;
l’appello, proposto dal p.m. con atto dell’8 giugno 2005 prima della L. n. 46 del 2006, non era affetto dalla sopravvenuta inammissibilità prevista dalla L. n. 46 del 2006, art. 10, comma 2;
la pronuncia di inammissibilità dell’appello del p.m., resa dalla Corte d’appello di Foggia con ordinanza del 9-20 novembre 2007 sulla base di una lettura del citato art. 10, commi 2 e 3, rivelatasi erronea, per quanto sopra argomentato, era viziata ed avrebbe potuto essere – questa sì – impugnata dal p.m. con ricorso per Cassazione per far valere la violazione di legge.
Invece il p.m. ha in sostanza prestato acquiescenza a tale ordinanza – che sarebbe stata "non impugnabile", secondo il testuale disposto dell’art. 10, comma 2, solo se tale disposizione fosse stata applicabile anche alle sentenze di non luogo a procedere, ma non lo era per tutte le argomentazioni sopra svolte – ed ha conseguentemente esercitato la facoltà di diretto ricorso per Cassazione avverso l’iniziale sentenza di non luogo a procedere prevista, come eccezionale disciplina transitoria, dal citato art. 10, comma 3;
disposizione questa che invece, al pari del precedente comma 2, non trova applicazione alle sentenze di non luogo a procedere.
7. Consegue l’inammissibilità del ricorso per Cassazione.
Nè può ipotizzarsi una conversione del ricorso per Cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere del g.u.p. in ricorso avverso l’ordinanza della Corte d’appello che ha dichiarato inammissibile l’appello in (ritenuta) applicazione dell’art. 10, comma 2, cit., perchè – a tacere d’altro – l’atto di impugnazione del p.m., all’esame di questa Corte, non contiene alcuna censura nel confronti della pronuncia della Corte d’appello, alla quale anzi il p.m. ricorrente presta acquiescenza.
Non sfugge a questa Corte – può infine aggiungersi marginalmente – la singolarità della vicenda processuale che ha visto l’iniziativa impugnatoria del Procuratore della repubblica presso il Tribunale di Foggia (prima con atto d’appello, poi con ricorso per Cassazione) rimanere di fatto impigliata nell’inviluppo della nuova normativa – transitoria ed a regime – dell’appellabilità da parte del pubblico ministero delle sentenze di proscioglimento e delle sentenze di non luogo a procedere; ma si tratta di un effetto collaterale (di fatto) di un’iniziativa legislativa risultata essere in collisione con principi costituzionali (C. cost. n. 26 e 320 del 2007, cit.).
8. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile dovendo affermarsi il seguente principio di diritto: "hi ipotesi di sentenza di non luogo a procedere appellata dal pubblico ministero con atto di impugnazione proposto prima dell’entrata in vigore della L. 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento) non trova applicazione la disciplina transitoria dettata dalla legge citata, art. 10, commi 2 e 3, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata della stessa (arg. ex C. cost., ord., n. 4 del 2008), bensì si applica l’art. 428 c.p.p. nel testo vigente prima della sua sostituzione ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 4 con la conseguenza che la sentenza stessa rimane appellabile e non ricorre invece la ragione di sopravvenuta inammissibilità dell’appello prevista dal citato art. 10, comma 2. Consegue ulteriormente che è inammissibile il ricorso diretto per Cassazione avverso tale sentenza di non luogo a procedere anche se successivo all’appello già proposto dallo stesso p.m. che sia stato dichiarato inammissibile dal giudice investito dall’appello medesimo in ragione della (erroneamente) ritenuta applicazione del citato art. 10, comma 2, con ordinanza non impugnata dal p.m.".
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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