Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 07-04-2011) 14-07-2011, n. 27765

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

-1- Con ordinanza del 12 novembre 2009, la Corte d’Appello di Napoli ha respinto l’istanza di riparazione dell’ingiusta detenzione sofferta da G.A. per circa due anni ed otto mesi, a partire dal 12 giugno 1993 e fino al febbraio 1996.

Secondo quanto riportato nell’ordinanza impugnata, l’istante era stato sottoposto a custodia cautelare in carcere in relazione al delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. in quanto indicato quale responsabile, nell’esercizio delle funzioni di agente di custodia presso la casa circondariale di Avellino, di trattamenti preferenziali dei confronti di detenuti appartenenti ad associazioni camorristiche. Il relativo procedimento penale – si legge ancora nella stessa ordinanza – è stato definito con sentenza del Tribunale di Napoli del 23 febbraio 2005, passata in giudicato, con la quale nei confronti dell’istante è stato dichiarato non luogo a procedere, essendo estinto per prescrizione il delitto di favoreggiamento, ex art. 378 cod. pen., in tali termini riqualificati i fatti contestati e modificata l’originaria imputazione.

La corte territoriale, nel rigettare l’istanza riparatoria, ha evidenziato due diversi profili di infondatezza della stessa, in relazione alla inapplicabilità:

a) dell’art. 314 cod. proc. pen., comma 2, data l’assenza del requisito costituito dall’accertamento irrevocabile della illegittimità della detenzione, in realtà non intervenuto nella sede cautelare nè in quella dibattimentale dove, prima che fosse dichiarata la prescrizione, i fatti addebitati erano stati riqualificati;

b) del comma 1, stesso art. – nel cui ambito volesse comunque ricondursi il diritto alla riparazione invocato dall’ A. – in relazione a condotte dolose tenute dal richiedente prima dell’emissione dell’ordinanza custodiate, individuate: – nel rinvenimento, nella camera dell’ A., durante una perquisizione, eseguita l’8.1.93, di una banconota ove era stato annotato il numero di telefono di un’utenza in uso alla moglie del "boss" C.M.; – nella documentazione relativa all’abitazione dell’odierno ricorrente, arredata in maniera particolarmente sfarzosa, – nel comportamento dello stesso richiedente che, in occasione della perquisizione domiciliare, aveva estratto dal portafogli un foglietto, ove si trova annotato un numero di telefono cellulare, che aveva cercato di ingoiare.

-2- Avverso tale decisione propone ricorso, per il tramite del difensore, G.A., che deduce violazione dell’art. 314 cod. proc. pen. e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata.

Sostiene il ricorrente, citando anche talune decisioni di questa Corte, che erroneamente i giudici della riparazione hanno negato l’indennizzo, non avendo essi considerato:

a) con riguardo al primo dei profili esaminati dalla corte territoriale, che nel caso di specie è comunque intervenuta una decisione irrevocabile che ha sancito l’illegittimità del mantenimento in vinculis dell’ A., che ha finito con il patire una misura cautelare per un periodo di gran lunga superiore, rispetto a quello consentito per il reato per il quale è intervenuta la prescrizione, a causa dell’errata qualificazione giuridica dei fatti addebitati all’imputato; pertanto, la pronuncia di prescrizione del reato, riqualificato nei termini sopra specificati, avrebbe in definitiva evidenziato, a giudizio del ricorrente, che erroneamente era stata mantenuta la misura cautelare che, in presenza di una corretta qualificazione dei fatti, sarebbe venuta meno ben prima;

b) con riguardo al secondo dei profili esaminati, che gli elementi probatori indicati nella ordinanza restrittiva, valorizzati nel provvedimento impugnato, avrebbero dovuto essere rapportati alle emergenze dibattimentali, che avevano accertato l’inconsistenza dell’impianto accusatorio come originariamente configurato; gli stessi giudici della riparazione, inoltre, avrebbero considerato solo la condotta del richiedente precedente il provvedimento di custodia cautelare, ignorando del tutto la condotta successiva, in particolare, quella tenuta nel corso delle indagini e durante il processo.

Conclude, quindi, il ricorrente, chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato.

-3- Il ricorso è fondato, non potendosi condividere nessuno dei profili valutativi utilizzati dalla corte territoriale per pervenire al rigetto della domanda in esame.

L’art. 314 cod. proc. pen., al comma 1 riconosce a chi sia stato, con sentenza irrevocabile, prosciolto perchè il fatto non sussiste, per non avere commesso il fatto o perchè il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il diritto ad un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, salvo che, per dolo o colpa grave, abbia dato o concorso a dar causa al provvedimento restrittivo. La stessa disposizione di legge, al comma 2, riconosce lo stesso diritto al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare quando, con decisione irrevocabile, sia stato accertato che il provvedimento restrittivo sia stato adottato o mantenuto senza che sussistessero le condizioni previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p..

Nel comma 3, infine, è previsto che dette disposizioni si applichino, alle medesime condizioni, a favore di chi abbia ottenuto un provvedimento di archiviazione.

Tanto premesso, occorre rilevare che questa Corte ha elaborato, con riguardo alla citata normativa, precisi principi interpretativi inerenti ambedue i profili esaminati dai giudici della riparazione ed è giunta a conclusioni del tutto diverse rispetto a quelle alle quali gli stessi sono pervenuti.

In particolare, sotto il primo dei profili esaminati, questo giudice di legittimità (Cass. nn. 8869/07, 36907/07, 23896/08, 44596/09) ha già avuto modo di affermare che la decisione adottata nella sede cautelare non esaurisce il concetto di "decisione irrevocabile", di cui all’art. 314 cod. proc. pen., comma 2, tale dovendosi considerare anche quella emessa in esito del giudizio di merito, laddove da essa possa evincersi l’originaria assenza delle condizioni di applicabilità della misura. In tale contesto, è stato affermato che: "Non è causa ostativa alla riparazione per ingiusta detenzione la circostanza che la ridefinizione dell’imputazione in altra sia avvenuta in sede di merito, per effetto di elementi emersi soltanto nell’istruzione dibattimentale, e non già nel corso del giudizio cautelare". Principio che, riferito, nella fattispecie colà considerata, ad un caso di derubricazione del reato originariamente contestato in altro per il quale, in ragione della pena edittale massima, non era consentita l’adozione della misura custodiate, può certamente applicarsi al caso dell’ A., nei cui confronti è stata erroneamente, non adottata, bensì mantenuta una misura cautelare che, ove fosse stata correttamente qualificata la condotta dell’imputato, sarebbe venuta meno ben prima.

Tali principi, che la Corte condivide, e che non sono smentiti dalle sentenze richiamate nel provvedimento impugnato, si pongono in piena armonia rispetto al fondamento solidaristico che ispira la normativa riparatoria, più volte evidenziato dalla Corte Costituzionale (sentenze nn. 231 e 413 del 2004), che impone l’intervento dello Stato in favore del cittadino che abbia subito una detenzione rivelatasi, con accertamento ex post, comunque ingiusta.

Neanche sotto il secondo profilo le osservazioni della corte territoriale, seppur poste "ad abundantiam" ed in termini residuali, sono condivisibili, laddove i giudici della riparazione hanno preso quali punti di riferimento, al fine di evidenziare una condotta dolosa del richiedente, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, il contesto indiziario descritto nel provvedimento cautelare, senza confrontarlo, come pure sarebbe stato necessario, con le emergenze dibattimentali e senza accertare la sussistenza di un rapporto causale tra le descritte condotte ed il mantenimento del provvedimento restrittivo.

Il provvedimento impugnato deve essere, in conclusione, annullato con rinvio, per nuovo esame, alla Corte d’Appello di Napoli che si atterrà ai principi sopra richiamati e terrà conto, nell’individuare il periodo di detenzione "riparabile", ove dovesse ritenere che ricorrano i presupposti per il riconoscimento del diritto all’indennizzo, dei termini massimi di custodia cautelare previsti per il delitto di favoreggiamento ritenuto dal giudice della cognizione, e procederà al relativo calcolo solo sul periodo eccedente detti termini.

Il giudice del rinvio terrà conto, altresì, ai fini dell’accertamento della sussistenza dei predetti presupposti, di quanto affermato dalle SU di questa Corte, con sentenza del 27.5.10, rv 247663, in tema di operatività della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dalla condotta dolosa o gravemente colposa del richiedente, anche in relazione alle ipotesi previste dall’art. 314 cod. proc. pen., comma 2.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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