Cass. civ. Sez. II, Sent., 02-12-2011, n. 25827 Servitù coattive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 15.10.2001 il Tribunale di Messina dichiarava costituita in favore della s.p.a. SNAM, in forza dell’atto del 21.4.1995, una servitù di metanodotto(a carico del fondo di proprietà di Z. D. e per la quota spettante allo stesso, con obbligo di detta società al versamento, in favore dello stesso Z., di L. 1.500.000, a titolo di indennità nonchè di L. 5.000.000, a titolo di risarcimento del danno; rigettava le domande riconvenzionali dello Z. dirette all’annullamento del contratto 21.4.95 per vizio del consenso e quella di risarcimento del danno formulata dalla società istante. Avverso tale sentenza proponeva appello la società SNAM sulla base di cinque motivi.

Si costituiva in giudizio lo Z. che dichiarava di non opporsi all’accoglimento del primo motivo con cui la società SNAM lamentava l’errore commesso dal Tribunale nell’individuazione del fondo gravato dalla servitù di metanodotto, posto che, secondo la consulenza tecnica espletata, il fondo servente doveva identificarsi con il terreno sito nel Comune di (OMISSIS), indicato in catasto al fg. 3, part. 85 e non al fg. 3 partt. 849, 80 e 77. La Corte di Appello di Messina, con sentenza 22.11.04, correggeva detto errore relativo alla identificazione catastale del fondo servente ed, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava lo Z. al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede, rigettandone le domande riconvenzionali con condanna dello stesso al pagamento della metà delle spese processuali. La Corte di merito, ritenendo fondati il secondo ed il quarto motivo di appello, osservava che la condanna generica al risarcimento del danno,pronunciata nei confronti dello Z. in quanto lo stesso non si era presentato davanti al Notaio per la stipula dell’atto pubblico, necessario al fine di trascrivere la servitù costituita con l’atto del 21.4.95, era da ritenersi corretta, posto che , ai sensi dell’art. 278 c.p.c., la condanna generica presuppone solo l’accertamento di un fatto potenzialmente dannoso e non la prova dell’esistenza in concreto del danno; il giudice di prime cure aveva duplicato indebitamente l’importo della indennità concordata fra le parti in L. 1.500.000 in quanto tale somma doveva ritenersi comprensiva di ogni eventuale svalutazione della restante parte del fondo in conseguenza della imposizione della servitù.

Tale sentenza è impugnata con ricorso per cassazione dallo Z. sulla base di tre motivi. La controparte resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Il ricorrente deduce:

1) violazione e/o omessa applicazione dell’art. 278 c.p.c.;

erroneamente la Corte di merito aveva riconosciuto il risarcimento del danno in favore della società SNAM, per avere lo Z. omesso di provvedere alla stipula dell’atto pubblico necessario alla trascrizione della servitù di cui all’atto 21.4.1995; non era provato, infatti, nè l’esistenza nè la probabilità del verificarsi di danni risarcibili;

2) violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione alla mancata concessione del risarcimento del danno chiesto dal ricorrente, laddove il giudice di appello aveva ritenuto, diversamente dal giudice di prime cure, che l’indennità concordata di L. 1.500.000 fosse comprensiva della eventuale svalutazione del fondo conseguente alla costituzione della servitù; il riconoscimento dell’indennità per la costituzione della servitù non escludeva il risarcimento del danno relativo alle cose, piantagioni e frutti esistenti sul fondo gravato da servitù, come accertato dal C.T.U.;

3) erroneità della condanna al pagamento di una parte delle spese processuali, considerato il parziale accoglimento dei motivi di appello. Il ricorso è infondato.

In ordine alla prima doglianza si osserva che la Corte di appello, una volta accertato l’inadempimento dello Z. all’obbligo di presentarsi innanzi al Notaio, per la stipula dell’atto pubblico, necessario ai fini di poter trascrivere la servitù costituita con la scrittura privata del 21.4.1995, ha correttamente emesso la condanna generica dello Z. al risarcimento del danno, in applicazione dell’art. 278 c.p.c..

Al riguardo va ribadito che, secondo consolidata giurisprudenza, ai fini della condanna generica al risarcimento del danno, non occorre la prova concreta del danno, ma è sufficiente l’esistenza potenziale dello stesso, che potrà poi essere determinato o anche escluso dal giudice della liquidazione, cui compete l’accertamento dell’entità danno e del nesso causale fra questo ed il fatto illecito( Cass. n. 5817/2001; n. 6690/2000). La secondo doglianza è del pari infondata, avendo la Corte di merito dato conto che l’indennità concordata tra le parti doveva intendersi comprensiva di ogni eventuale svalutazione subita dal fondo servente in conseguenza della imposizione della servitù; il ricorrente, a fronte di detta motivazione, esente da vizi di contraddittorietà o illogicità, si limita a prospettare genericamente ulteriori danni, senza specificare, peraltro, quali norme sarebbero state violate dal giudice di appello. Priva di fondamento è, infine, la terza censura; la compensazione fra le parti della metà delle spese di lite, con addebito della restante metà all’appellato, risulta congruamente motivata "in considerazione dell’esito della lite", avuto riguardo all’accoglimento parziale dei motivi di appello svolti dalla s.p.a. SNAM Rete Gas. Costituisce consolidato principio di questa Corte che la statuizione sulle spese del giudizio è sindacabile, in sede di legittimità, solo nei casi di violazione di legge, quale si verificherebbe nell’ipotesi in cui, in contrasto col disposto dell’art. 91 c.p.c., la parte totalmente vittoriosa fosse condannata al pagamento delle spese del giudizio;

nel sistema previgente la modifica dell’art. 92 c.p.c. ex L. n. 263 del 2005, la valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale delle spese processuali rientra,poi, nei poteri discrezionali del giudice di merito, nel caso di reciproca soccombenza delle parti o della sussistenza di giusti motivi.

Nella specie, in difetto di una totale soccombenza della società appellante, il giudice di appello ben poteva, quindi, disporre la compensazione parziale delle spese suddette, avuto riguardo all’accoglimento di alcuni soltanto dei motivi di gravame(Cfr. Cass. n. 24495/2006; n. 24443/2007).

Il ricorso, alla stregua di quanto osservato, va rigettato. Consegue, secondo il criterio della soccombenza, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 1.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *