Cass. civ. Sez. II, Sent., 02-12-2011, n. 25824

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 1983 S.A. convenne dinanzi al Pretore di Novafeltria Ca.Gu. chiedendone la condanna ad adempiere la scrittura privata sottoscritta dalle parti il 29 maggio 1963, con la quale la controparte, dato atto della realizzazione sul proprio immobile di opere abusive lesive del diritto di veduta dell’attore, si era obbligato a ripristinare lo stato dei luoghi.

Il convenuto, costituitosi in giudizio, eccepì di avere già provveduto ad adempiere.

Il giudice di primo grado, sulla scorta di una consulenza tecnica d’ufficio che aveva accertato l’eliminazione delle opere abusive ad eccezione del terrazzo da cui veniva esercitata la veduta, in parziale accoglimento della domanda, condannò il convenuto a sostituire la struttura costruita sul terrazzo, consistente in un graticcio in ferro, con una parete in laterizio. Interpose gravame lo S. ed il Tribunale, accogliendolo, ordinò al convenuto la demolizione della terrazza.

Proposto ricorso per cassazione da parte del C., con sentenza n. 2930 del 1999 la Corte di Cassazione lo accolse, rilevando che la statuizione di merito imponeva al ricorrente un sacrificio non conforme al semplice obbligo di rispettare la distanza minima per le vedute e che la sentenza di merito era incorsa in un vizio di motivazione per avere escluso la possibilità di altri accorgimenti idonei ad eliminare la veduta, sulla base dell’erroneo presupposto che spettasse al convenuto prospettarli ed in forza di rilievi generici in ordine allo stato dei luoghi, senza adeguatamente motivare circa l’impossibilità di disporre l’arretramento del parapetto da quale si esercitava la veduta.

Riassunta la causa dinanzi al Tribunale di Pesaro, con sentenza n. 13 del 12 gennaio 2005 il giudice di rinvio, dato atto che il consulente tecnico d’ufficio aveva individuato, tra gli accorgimenti idonei a sopprimere la veduta, la sostituzione della vetrata esistente con altra dotata di vetri opacizzati non trasparenti tali da impedire di vedere oltre la vetrata stessa e che tale rimedio era non solo idoneo ad eliminare la veduta, ma anche a realizzare il giusto contemperamento delle contrapposte esigenze delle parti, condannò il convenuto C. a provvedere in tal senso.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 21 febbraio 2006, ricorre S.A., affidandosi ad un solo motivo.

Resistono con controricorso C.N., C.T., C.G. e M.O., quali eredi di Ca.

G..

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

L’unico motivo di ricorso, denunziando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia e violazione del giudicato, censura la sentenza impugnata per avere ritenuto l’accorgimento disposto preferibile all’altro, pure suggerito dal consulente tecnico d’ufficio, consistente nella realizzazione di una struttura in legno autoportante o di un muro in laterizio, sulla base del rilievo che quest’ultimo sarebbe stato condizionato dal rilascio delle necessarie autorizzazioni edilizie, senza considerare che anche la collocazione di una vetrata a chiusura di un terrazzo è soggetta alla medesima disciplina. Con tale statuizione – prosegue il ricorso – il Tribunale ha finito per legittimare la costruzione edificata dal Ca. sul confine, arrecando al ricorrente un danno maggiore di quello derivante dall’esistenza della veduta e, per tale via, ha anche violato il giudicato della Corte di Cassazione, dal momento che ha autorizzato una soluzione che, se elimina la veduta, crea una situazione ancora più sfavorevole per l’onerato e contra legem. In realtà, conclude il ricorso, l’attore aveva diritto alla demolizione del fabbricato del vicino o quanto meno al suo arretramento a distanza di legge. Il motivo non è fondato.

La prima censura, che denunzia vizio di motivazione per avere il giudice a quo, da un lato, escluso quale accorgimento idoneo ad eliminare la veduta abusiva la costruzione di un alto parapetto in legno o di un muro in laterizio sulla base del rilievo che l’esecuzione dell’uno o dell’altro avrebbero richiesto una specifica autorizzazione edilizia e, dall’altro, consentito la chiusura della terrazza mediante una vetrata, senza considerare che anche quest’ultima opera resta soggetta ad autorizzazione da parte del Comune, non ha pregio, tenuto conto che con la statuizione impugnata il giudice di rinvio non ha affatto autorizzato la chiusura della terrazza, ma ha, più esattamente, disposto la sostituzione dei vetri di una struttura già esistente. Il giudice non ha pertanto disposto nè consentito alcun nuovo intervento o nuova opera, ma ordinato una mera modifica, irrilevante sotto il dedotto profilo, di una struttura già esistente. Del tutto sfornita di prova è inoltre rimasta l’affermazione secondo cui la chiusura della terrazza tramite la vetrata sarebbe abusiva, in quanto realizzata priva dei permessi previsti.

Infondata ed in parte inammissibile è invece la censura che denunzia la violazione da parte del giudice di rinvio delle statuizioni stabilite dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 2930 del 1999.

Con tale decisione questa Corte aveva cassato la sentenza di appello, oltre che per difetto di motivazione, sulla base del solo rilievo in diritto che il giudice di merito non si era adeguato al principio secondo cui la tutela spettante al proprietario di opporsi alla veduta abusiva esercitata sul proprio fondo non richiede necessariamente l’abbattimento o l’arretramento del manufatto dal quale essa si esercita, dovendo essere vagliata anche d’ufficio la possibilità di altri accorgimenti idonei allo scopo, atti cioè ad eliminare la situazione illegittima. Ciò precisato, il Tribunale di Pesaro, quale giudice del rinvio, ha deciso la controversia previo esame delle diverse soluzioni prospettate dal consulente tecnico d’ufficio come idonee ad eliminare la veduta e quindi ha adottato quella ritenuta meno gravosa per il convenuto, ispirandosi all’esigenza di un giusto contemperamento dei diversi interessi.

Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, deve quindi ritenersi che il giudice di rinvio, nel caso di specie, si sia pienamente adeguato alla statuizione della sentenza di cassazione, fermo restando che ogni valutazione in ordine alla scelta adottata ed alla sua idoneità in concreto involge un apprezzamento di fatto, sindacabile sotto il profilo della motivazione ma non sotto quello, qui esaminato, di violazione di legge.

Sotto altro aspetto la censura in esame va invece considerata inammissibile laddove critica la decisione impugnata per avere consentito il mantenimento del manufatto della controparte ad una distanza dal proprio immobile inferiore a quella legale. In tal modo infatti parte ricorrente introduce in giudizio una pretesa fondata su un titolo diverso e nuovo rispetto a quello in precedenza fatto valere, atteso che dall’esame degli atti, come esposti dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso, emerge che la parte, con l’azione proposta, aveva inteso tutelare la sua proprietà dalla molestia esercitata dall’esercizio della veduta del vicino, contestando il suo diritto alla veduta, non già far valere il rispetto della distanza legale da parte della costruzione del vicino. Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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