Cass. civ. Sez. II, Sent., 02-12-2011, n. 25823

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.F.G. propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo che gli intimava di pagare a C.G. la somma di L. 5.777.182 a titolo di saldo del corrispettivo per l’esecuzione di opere edilizie, assumendo che il prezzo dovuto era inferiore a quello preteso dalla controparte e che, a causa del ritardo nell’esecuzione dei lavori, egli aveva subito un danno, di cui chiedeva il risarcimento.

Il Tribunale di Benevento accolse l’opposizione, revocò il decreto ingiuntivo e condannò l’opponente al pagamento del minor importo di Euro 77,37, rigettando la sua domanda di risarcimento dei danni.

Interposto appello principale da parte del C. ed incidentale da parte del D.F., con sentenza n. 2916 del 18 ottobre 2005 la Corte di appello di Napoli riformò in parte la decisione impugnata, confermando il rigetto della domanda risarcitoria dell’opponente e la revoca del decreto ingiuntivo, ma condannando il D.F. al pagamento della somma di Euro 2.029,36, oltre interessi legali. Il giudice di secondo grado motivò tale conclusione osservando che il corrispettivo pattuito in favore dell’appaltatore, pari a L. 19.892.590, doveva essere maggiorato dell’iva, per l’importo corrispondente a Euro 3.779,67, e che dai documenti di causa, in particolare dalle fatture in atti, risultava che il committente aveva pagato la somma di L. 19.742.790, per cui il suo debito ammontava ad Euro 2.029,36.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 17 febbraio 2006, ricorre C.G., affidandosi a quattro motivi. Resiste con controricorso D.F.G.. Il ricorrente ha depositato atto di nomina di nuovo difensore e memoria.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso, che denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., censura la sentenza impugnata per avere affermato che dai documenti in atti e, in particolare, dalla fattura n. (OMISSIS) gli acconti versati dal D. F. ammontassero alla complessiva somma di L. 19.742.790. Tale conclusione, ad avviso del ricorrente, è errata, avendo il giudicante male interpretato il testo delle fatture, da cui non risultava alcuna quietanza in favore del committente e per avere ignorato altresì i foglietti pro memoria depositati agli atti, da cui risultava che la somma versata dal D.F. ammontava al minor importo di L. 17.895.000. La Corte di merito non ha inoltre considerato il comportamento successivo del C., il quale aveva emesso le fatture per riscuotere il prezzo a lui dovuto, ma non le aveva sottoscritte e quietanzate, nè le aveva inviate alla controparte. La dicitura acconto apposta nelle fatture non autorizzava pertanto a ritenere che gli importi ivi indicati fossero stati effettivamente pagati.

Il secondo motivo di ricorso denunzia omessa applicazione dell’art. 364 c.p.c., comma 2, e dell’art. 2214 cod. civ., lamentando che la Corte di merito abbia erroneamente attribuito alle fatture in atti valore di documenti di pagamento, nonostante esse non contenessero alcuna esplicita dichiarazione di pagamento o quietanza.

Il terzo motivo lamenta violazione dell’art. 2697 cod. civ. assumendo che la decisione impugnata, laddove ha male interpretato le fatture come quietanza, ha finito anche per violare le regole dell’onere della prova, che imponevano al convenuto l’onere di provare l’ammontare esatto dei pagamenti effettuati. Il quarto motivo di ricorso denunzia omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, lamentando che la Corte di merito abbia omesso di esaminare gli argomento addotti dal C. a sostegno della propria pretesa e le dichiarazioni della stessa controparte, che ammetteva di non avere mai pagato la fattura (OMISSIS), nonchè abbia trascurato, nella valutazione dei fatti, i fogli pro memoria scritti e prodotti dall’opponente, da cui risultava che questi aveva corrisposto una somma inferiore.

I motivi, che vanno trattati congiuntamente in ragione della loro connessione obiettiva, non meritano accoglimento.

La Corte di appello ha motivato la propria conclusione in ordine all’ammontare della somma complessiva versata dal D.F. richiamando espressamente il contenuto della dichiarazione presente nella terza e ultima fattura n. (OMISSIS) emessa per L. 150.000, osservando che in essa l’appaltatore aveva precisato che dall’importo complessivo dei lavori, pari a L. 19.892.590, occorreva detrarre gli acconti pari alla somma complessiva delle due precedenti fatture n. (OMISSIS), emesse per gli importi, rispettivamente, di L. 18.000.000 e di L. 1.742.790. Da tale dichiarazione, proveniente dallo stesso creditore, il giudicante ha quindi tratto la convinzione che gli importi indicati nelle due fatture precedenti fossero stati integralmente corrisposti dal committente, sicchè il corrispettivo dovuto, quanto a capitale, ammontava a L. 150.000, pari alla differenza tra il prezzo totale dei lavori e gli importi indicati nelle due prime fatture.

Parte ricorrente contesta tale valutazione, sostenendo che le fatture sopra menzionate non contenevano alcuna dichiarazione di quietanza, sicchè da esse non poteva trarsi alcuna conclusione in ordine al loro effettivo pagamento. Questa critica non coglie però nel segno, atteso che, come si è rilevato, il convincimento del giudicante appare fondato sulla dichiarazione apposta nella terza fattura, interpretata e valutata come riconoscimento dell’avvenuto pagamento da parte del committente delle due fatture precedenti. Sotto altro profilo, si osserva, da un lato, che il ragionamento svolto dalla sentenza impugnata non presenta alcuna intrinseca contraddizione o illogicità, apparendo la conclusione accolta coerente ed adeguata rispetto alle indicazioni o dati di fatto che il giudice ha ritenuto di poter cogliere dalla dichiarazione apposta sulla richiamata fattura n. (OMISSIS); dall’altro che, per aggredire in modo efficace tale ratio decidendi, il ricorrente avrebbe dovuto trascrivere il contenuto della menzionata fattura, al fine di dimostrare che la valutazione condotta dal giudicante si basava su dati inesistenti o comunque era il risultato di una loro erronea considerazione.

Costituisce diritto vivente di questa Corte l’affermazione che, per il principio di autosufficienza, il ricorrente per cassazione che deduca l’omessa considerazione o erronea valutazione da parte del giudice di merito di risultanze istruttorie ha l’onere di riprodurre esattamente il contenuto dei documenti e delle prove che si assumono non esaminate, al fine di consentire alla Corte di valutare la sussistenza e decisività delle stesse, senza necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 17915 del 2010; Cass. n. 18506 del 2006; Cass. n. 3004 del 2004). Nel caso di specie, la mancata riproduzione dell’atto che si assume erroneamente valutato, impedisce pertanto a questa Corte di apprezzare la sussistenza e decisività delle critiche che il ricorrente muove alla decisione impugnata.

Allo stesso modo, in quanto non sostenuta dal requisito di autosufficienza, deve ritenersi inammissibile anche la doglianza con cui il ricorrente lamenta la mancata considerazione da parte del giudice territoriale dei c.d. fogli pro memoria relativi al rapporto contrattuale, il cui contenuto non viene riprodotto.

In tali considerazioni debbono ritenersi superate ed assorbite anche le censure sollevate dal ricorso di violazione di norme di diritto, con riferimento tanto all’art. 2214 cod. civ. che all’art. 2697 c.c., atteso che la Corte di merito ha tratto il proprio convincimento sulla base degli atti e documenti prodotti in causa, senza alterare o eludere la regola dell’onere della prova. Il rigetto del ricorso, con conseguente conferma della decisione impugnata, porta infine a ritenere assorbita anche la richiesta del ricorrente, che, non essendo sostenuta da censure, non integra un autonomo motivo di ricorso, di una nuova e diversa regolamentazione delle spese del pregresso giudizio di merito.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *