Cass. pen., sez. II 26-03-2008 (19-03-2008), n. 12749 Della richiesta condizionata all’integrazione probatoria – Enunciazione – Motivazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza del 26.9.2002, il Tribunale di Monza dichiarò G. N. colpevole dei delitti di riciclaggio continuato ed aggravato dal danno patrimoniale di particolare gravità relativamente a 13 autovetture (capo A), di falso ideologico in atto pubblico attraverso l’induzione in errore dei pubblici ufficiali redigenti le carte di circolazione e le targhe, nonchè l’iscrizione al P.R.A. delle predette autovetture (capo B) e di ricettazione dei moduli per carta di circolazione francesi, utilizzati redigere falsi documenti sulla scorta dei quali ottenere la reimmatricolazione in Italia delle menzionate autovetture (capo D), unificati dal vincolo della continuazione, e – concesse le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti – lo condannò alla pena di anni 4 mesi 2 di reclusione e di Euro 2.700,00 di multa.
G. fu assolto dal delitto di falso per soppressione delle targhe e dei documenti di circolazione delle predette autovetture (capo C) e della contraffazione delle carte di circolazione francesi (capo E) per non aver commesso il fatto.
P.G. ed E.L.M. furono assolti dai reati di cui ai capi A, B e D perchè il fatto non costituisce reato, da quelli di cui ai C ed E per non aver commesso il fatto.
E. fu altresì assolto dal delitto di contraffazione di un sigillo notarile con trasmissione degli atti al P.M. per l’ipotesi di ricettazione del sigillo già contraffatto.
Avverso tale provvedimento proposero impugnazione il difensore dell’imputato G. ed il Procuratore delle Repubblica presso il Tribunale di Monza in relazione a tutte le imputazioni e gli imputati per i quali vi era stata assoluzione.
La Corte di appello di Milano, con sentenza del 22.4.2004, in accoglimento dell’appello del P.M. dichiarò gli imputati colpevoli di tutti i reati loro ascritti e condanno G. e P. alla pena di anni 4 mesi 4 di reclusione ed Euro 2.900,00 di multa, E. alla pena di anni 4 mesi 5 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, tutti all’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni 5, confisca e distruzione di quanto in sequestro, revocando l’ordine di trasmissione degli atti al P.M..
Ricorrono per cassazione i difensori di tutti gli imputati e P. G. personalmente.
Il difensore di E.L.M. deduce:
1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione ai reati di cui ai capi C ed E di imputazione in quanto tutta la parte motiva della sentenza di appello esamina soltanto la posizione di P., senza trattare quella di E., ma anche se fosse stata presa in esame la posizione del ricorrente l’affermazione di colpevolezza sarebbe intervenuta in assenza di responsabilità personale e colpevole, di accertamento di un contributo eziologicamente rilevante (materiale o morale) nella realizzazione del reato, nonchè di sussistenza di effettiva e consapevole volontà criminosa; infatti la Corte territoriale avrebbe affermato che chi realizza l’attività di riciclaggio debba automaticamente rispondere dei reati correlati da altri eventualmente commessi, trascurando che la semplice conoscenza o l’adesione morale non integrano il concorso nel reato; inoltre la sentenza qui impugnata da per scontato che il furto delle Audi fosse avvenuto su commissione, nonostante il tempo trascorso fra il furto e la nuova immatricolazione smentisse tale ipotesi; mancherebbe altresì qualsiasi contributo eziologicamente rilevante di E. alla realizzazione del delitto di riciclaggio;
2. vizio di motivazione con riferimento ai reati di cui ai capi A, B e C di imputazione in quanto la sentenza tratta solo marginalmente la posizione di E. e non si sofferma su elementi che realmente provino che egli abbia avuto contezza di fornire un contributo eziologicamente rilevante ad una attività di riciclaggio, ma si limita a richiamare le sue dichiarazioni ed il ruolo subordinato a quello di P., affermandone la colpevolezza solo per responsabilità collettiva, per posizione o per sensazione soggettiva;
3. vizio di motivazione in relazione all’entità della pena inflitta, determinata utilizzando quale unico indice valutativo della personalità di E. il comportamento processuale definito pessimo.
Il difensore di G.N. lamenta che la Corte d’appello non abbia pronunziato in ordine alla domanda subordinata, svolta nei motivi di gravame, della diminuzione della pena conseguente al rigetto ingiustificato da parte del G.I.P. della richiesta di giudizio abbreviato condizionato. Nel ricorso si precisa che la richiesta di giudizio abbreviato condizionato non era stata reiterata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, ma solo in sede di discussione in primo grado, in quanto la stessa era già avvenuta quando intervennero le pronunzie di questa Corte che consentivano il sindacato del giudice del dibattimento e quando fu pubblicata la sentenza n. 169 del 2003 della Corte costituzionale.
Chiede pertanto la diminuzione della pena di un terzo o, in subordine l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
P.G. ed il suo difensore deducono:
1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione ai reati di cui ai capi C ed E di imputazione in quanto la soppressione delle targhe e dei documenti di circolazione originali sarebbe stata attribuita a P. sul solo presupposto che gli autori del furto non avrebbero avuto interesse al rimpiazzo delle targhe, che sarebbe stata quindi realizzata dai riciclatori, peraltro contraddicendosi con il riferimento ad altri imprecisati complici diversi dagli imputati; inoltre la Corte territoriale avrebbe affermato la sussistenza di una associazione di riciclatori mai contestata e ritenuto che i furti fossero su commissione nonostante la notevole distanza temporale tra i furti e le immatricolazioni e ritenuto che chi realizza l’attività di riciclaggio debba automaticamente rispondere dei reati correlati da altri eventualmente commessi, anche in assenza di materiale partecipazione alle relative attività, trascurando che la semplice conoscenza o l’adesione morale non integrano il concorso nel reato;
2. vizio di motivazione con riferimento ai reati di cui ai capi A, B e C di imputazione in quanto la sentenza non tratta degli elementi a favore dell’imputato evidenziati dalla difesa (legame affettivo di P. con G., la sua provata non ingerenza nella commercializzazione delle auto, la non conoscenza di C., l’accertata ignoranza in merito ai documenti di circolazione, la riconosciuta (dalla stessa Corte territoriale) autonomia con la quale G. operava il commercio di autovetture (elementi evidenziati dal giudice di primo grado); inoltre la Corte d’appello avrebbe ignorato le risultanze dibattimentali che smentirebbero la affermata inesistenza od ineffettività delle sedi sociali, la fittizietà della Redi Finanziaria S.p.A., la non operatività della Germit e l’insussistenza dell’attività di commercio di metalli non ferrosi da parte della General Brokers (la sentenza mostra stupore per il fatto che la difesa avrebbe tentato di provare l’effettiva operatività della General Brokers solo con testimoni ed ignora l’esistenza di un contratto con la Thyssent Krupp Acciai); sarebbero stati trascurati elementi quali la fatturazione da parte della Germit dell’autovettura di cui al capo A n. 10, la documentazione relativa alla sede di via (OMISSIS), la visura camerale della Redi S.p.A.; la Corte territoriale avrebbe desunto che anche le altre autovetture commercializzate dalla Germit sarebbero state di provenienza furtiva, trascurando la deposizione dell’Isp. N. che aveva escluso la circostanza; vi sarebbe incongruenza fra le dichiarazioni riportate in sentenza ed il discorso giustificativo relativo alle stesse, sicchè sarebbe ingiustificato il giudizio di falsità o inaffidabilità della teste B. che, pur essendo segretaria presso la Germit, non avrebbe (secondo la sentenza qui impugnata) potuto conoscere le mansioni di fatto di P. in quanto sarebbero un risvolto riservato della vita d’impresa; del pari ingiustificato sarebbe il giudizio di inattendibilità della B. (e del teste S.) quando affermano che la Finbroker esercitava il commercio di metalli non ferrosi, solo sull’assunto che tale società, per statuto sarebbe una società finanziaria e ritenendo peraltro irrilevante la circostanza di tale commercio; sarebbero state rilevate inesistenti discrasie nel racconto del teste Margotti Giovanni, travisandone il senso (laddove costui riferì di aver messo in contatto Gr. e F. e non Gr. e P.), sovrastimando l’amicizia fra il teste e P., il tutto attribuendo alla difesa di aver pilotato le deposizioni; arbitrario sarebbe il giudizio formulato sull’imputato, fondato su inesistenti contraddizioni sugli asserti dell’imputato e nello svolgimento di incongruenti sillogismi (ad esempio la responsabilità di P. nel commercio delle autovetture di provenienza furtiva sulla scorta del fatto che la carica di amministratore di G. e M. era meramente formale), frutto di malevolenza manifestata dalla Corte territoriale attraverso epiteti inopportuni; le dichiarazioni di P. sarebbero invece lineari e coerenti e prive delle contraddizioni ipotizzate;
3. vizio di motivazione in relazione all’entità della pena inflitta, con richiamo all’unico indice del pessimo comportamento processuale.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso proposti nell’interesse di E., nonchè il primo ed il secondo motivo di ricorso proposti nell’interesse di P. sono inammissibili perchè, sotto il profilo della violazione della legge processuale e del vizio di motivazione tentano di sottoporre a questa Corte un giudizio di merito, non consentito neppure alla luce dei motivi nuovi presentati ai sensi della L. n. 46 del 2006, ed inoltre sono manifestamente infondati.
Va premesso che la modifica normativa dell’art. 606 c.p.p., lett. e), di cui alla L. 20 febbraio 2006, n. 46 lascia inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, il cui vizio di mancanza, illogicità o contraddittorietà può ora essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati. E’ perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorchè si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia. Attraverso l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa si consente nel giudizio di cassazione di verificare la correttezza della motivazione.
Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice.
Infine il dato probatorio che si assume travisato od omesso deve avere carattere di decisività non essendo possibile da parte della Corte di cassazione una rivalutazione complessiva delle prove che sconfinerebbe nel merito.
Nel caso in esame la Corte territoriale, richiamando la sentenza di primo grado, ha dato atto della provenienza delittuosa delle autovetture, della alterazione dei numeri di telaio, dell’applicazione di targhe e della dotazione di documenti di circolazione ottenuti mediante utilizzo di carte di circolazioni francesi contraffatte, siccome redatte su moduli sottratti in bianco.
Il certificato di origine era intestato a tale sedicente C. C. (che il Tribunale aveva ritenuto inesistente o comunque irreperibile). Le autovetture riciclate erano state commercializzate dalle società General Brokers S.r.l. e Germit S.r.l., che avevano effettuate le relative fatturazioni. Le predette società avevano sedi "fatiscenti, inesistenti, inutilizzate od inutilizzabili. Le sedi indicate della General Brokers erano insesistenti, mentre la Germit aveva sede presso l’abitazione di G.N., genero di P.G.. Amministratore unico di tali società era Gr.Fr.Cl.He., cittadino francese nato il (OMISSIS), il quale aveva conferito procura generale quanto alla Generale Brokers a P.G. ed E.L.M. e quanto alla Germit a P. ( A. (figlio di G.) ed E..
Dopo aver riassunto i motivi di appello, la sentenza qui impugnata rileva che il Tribunale non si era reso conto che il nucleo fondamentale della struttura organizzativa era l’apparato esterno, visibile a terzi, che doveva dare parvenza di regolarità al commercio dei veicoli e che tale struttura era costituita da General Brokers e Germit, schermo dietro le quali operavano G., P. G. ed E., oltre ad altri soggetti non individuati.
Rispetto a tali società Gasparri era estraneo e tuttavia operava usando le lineee telefoniche ed utilizzando E. col consenso di P., che già secondo il Tribunale era il vero dominus (come evidenziato dal fatto che sceglieva gli amministratori e che impartiva ordine a E.), facendo emettere dalle società le fatture relative ai veicoli riciclati.
A fronte della copertura data all’illecito commercio di G. ed altresì all’essersi E. procurato i falsi sigilli, la Corte territoriale ha ravvisato la responsabilità di P. ed E. per il delitto di riciclaggio e per i reati satelliti.
La attribuzione di responsabilità anche per la soppressione (od occultamento) degli originari documenti di circolazione e targhe è stato inquadrato nell’ambito dell’unitario disegno criminoso e quindi ravvisando un necessario previo concerto.
L’esistenza o meno di un’organizzazione ipotizzata dalla Corte territoriale (peraltro già supposta dal Tribunale), ma non contestata poco aggiunge alla vicenda giacchè non necessariamente la sola organizzazione integra il delitto associativo, potendosi altresì riferire ad ipotesi di concorso organizzato di persone nel reato continuato (art. 81 e 112 c.p.).
Rispetto a questo nucleo centrale di prove, che appare privo di manifeste illogicità, scarso rilievo hanno le considerazioni sulla effettività o meno di altre attività, le valutazioni sulla attendibilità dei testimoni, la conoscenza o meno di C. (della cui reale esistenza o identità i giudici di merito dubitano), ed il fatto che i furti fossero o meno su commissione (peraltro sarebbe invero singolare ed in contrasto con ogni criterio probabilistico che fossero rubate soltanto autovetture Audi solo per pura causalità) sicchè appare superfluo richiamare le argomentazioni diffusamente svolte dalla Corte d’appello.
Le doglianze prospettate nei menzionati primi due motivi di ricorso nell’interesse di P. ed E. finiscono pertanto per censurare proprio il merito della pronunzia di condanna e non sono come tali deducibili in questa sede.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 5^ sent. n. 1004 del 30/11/1999 dep. 31/1/2000 rv 215745, Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436 del 21/12/1993 dep. 25/2/1994, rv 196955).
Il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di E. ed il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di P. sono manifestamente infondati.
La Corte territoriale ha determinato la pena per i predetti ricorrenti concedendo le attenuanti generiche "solo per ragioni di equità (essendo state concesse le stesse attenuanti a G. responsabile in misura pregante)", così attestando la pena negli stessi termini per i quali era stata determinata per il predetto coimputato, vale a dire in misura prossima al minimo edittale sia quanto alla pena detentiva (anni 4 mesi 6 di reclusione ridotti ad anni 3 per le attenuanti generiche) con modesti aumenti di continuazione (un anno per la continuazione interna al capo A relativa al riciclaggio di ulteriori 12 autovetture ed un mese per ciascun reato satellite), che quanto alla pena pecuniaria, così mostrando di aver effettuato una complessiva valutazione.
In ogni caso si deve ricordare che "in tema di determinazione della misura della pena, il giudice di merito, con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 c.p., assolve adeguatamente all’obbligo della motivazione; infatti, tale valutazione rientra nella sua discrezionalità e non postula un’analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto" (Cass. Sez. 4^, sent. n. 56 del 16 novembre 1988, dep. 5/1/1989 rv 180075).
I ricorsi di proposti nell’interesse di E. e P. devono pertanto essere dichiarati inammissibili.
Da ultimo il Collegio osserva che non possono trovare applicazione le norme sulla prescrizione del reato, pur essendo maturati i relativi termini, dal momento che – secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte – l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla mancanza, nell’atto di impugnazione, dei requisiti prescritti dall’art. 581 c.p.p., ovvero alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. (cfr.: Cass. Sez. Un., sent. n. 21 del 11.11.1994 dep. 11.2.1995 rv 199903; Cass. Sez. Un., sent. n. 32 del 22.11. 2000 dep. 21.12.2000 rv 217266).
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati in solido al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Il ricorso proposto nell’interesse di G.N. è invece fondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che "il rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinata dall’imputato all’assunzione di prove integrative, quando deliberato sull’erroneo presupposto che si tratti di prove non necessarie ai fini della decisione, inficia la legalità del procedimento di quantificazione della pena da infliggere qualora si pervenga, in esito al dibattimento, ad una sentenza di condanna. Ne consegue che nei casi in cui l’interesse dell’imputato alla riduzione della pena, essendo già intervenuta la dichiarazione di apertura del dibattimento alla data di pubblicazione della sentenza costituzionale 23 maggio 2003 n. 169, non abbia potuto trovare tutela attraverso il meccanismo di rinnovazione della richiesta avanti al giudice dibattimentale, il giudice procedente, su esplicita sollecitazione dell’interessato, quando ritiene che il giudizio abbreviato si sarebbe dovuto invece celebrare, è tenuto ad applicare la diminuente di cui all’art. 442 c.p.p.". (Cass. Sez. Un. Sent. n. 44711 del 27.10.2004 dep. 18.11.2004 rv 229174).
Nel caso in esame, invece, pur essendo stato richiesto nei motivi di appello ed in sede di conclusione la riforma della sentenza di primo grado sul punto specifico, la Corte territoriale ha omesso di pronunziare.
E’ necessario perciò annullare con rinvio la sentenza impugnata limitatamente a tale mancata pronunzia, in modo da consentire al giudice di rinvio di verificare se fosse giustificata o meno la decisione di non ammettere il giudizio abbreviato condizionato.
Divengono peraltro irrevocabili in relazione a G.N. l’affermazione di responsabilità e la misura della pena inflitta, salva l’eventuale diminuzione di un terzo ove il giudice di rinvio ritenga illegittimo il rigetto di abbreviato condizionato ed il mancato recupero da parte del Tribunale della diminuzione di pena conseguente al rito. Ciò in quanto tali punti non erano oggetto di impugnazione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di G.N. limitatamente all’omessa pronunzia sulla chiesta riduzione di pena prevista per il giudizio abbreviato, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano. Dichiara inammissibili i ricorsi di E.L.M. e P.G. che condanna in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno di essi al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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