T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 19-07-2011, n. 1245

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 30 gennaio 2009, L.R., unitamente alle società S.P.M. (di seguito: S.P.M.) e RO.MA., da lui legalmente rappresentate, proponevano impugnazione avverso la determinazione n. 24/AG del 3 dicembre 2008, mediante la quale il Comune di Scarperia aveva ordinato loro di provvedere alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti (terra frammista a inerti derivanti da demolizioni) rinvenuti, a seguito di sopralluogo della Polizia municipale, sul terreno identificato in catasto alla particella 368 del foglio 64, di proprietà della predetta S.P.M.. Sulla scorta di due motivi in diritto, i ricorrenti concludevano per l’annullamento dell’atto impugnato, del quale chiedevano altresì disporsi la sospensione incidentale.

Costituitosi in giudizio il Comune di Scarperia, che resisteva al gravame, con ordinanza del 19 – 20 febbraio 2009 il collegio sospendeva l’efficacia del provvedimento impugnato.

A seguito dell’accoglimento dell’istanza cautelare, l’amministrazione resistente dapprima revocava in via di autotutela la determinazione n. 24/AG del 2008, quindi, con ordinanza sindacale n. 26 del 23 novembre 2009, intimava nuovamente agli odierni ricorrenti, ai sensi dell’art. 192 co. 3 D.Lgs. n. 152/06, di rimuovere e smaltire o avviare al recupero i rifiuti abbandonati sulla particella 368, previa presentazione di uno studio ambientale finalizzato a definire l’ampiezza, la profondità e le caratteristiche dell’area interessata dal deposito abusivo. Tale nuovo provvedimento, insieme alla determinazione del 17 dicembre 2009, che recava l’ordine di rimozione del deposito permanente di rifiuti realizzato senza titolo edilizio abilitativo sulla particella 368, veniva impugnato dai ricorrenti con atto di motivi aggiunti depositato il 4 febbraio 2010. Il tribunale, con ordinanza pronunciata in esito alla camera di consiglio del 18 febbraio 2010, accoglieva la domanda incidentale di sospensione ivi contenuta.

Successivamente, il Comune di Scarperia, con l’ordinanza sindacale n. 9 del 5 luglio 2010, provvedeva alla revoca della precedente ordinanza n. 26/09 ed al contestuale rinnovo, nei confronti dei ricorrenti, dell’ordine di bonifica relativo al terreno in questione. Il provvedimento veniva fatto oggetto di autonoma impugnativa attraverso un secondo atto di motivi aggiunti, depositato il 12 novembre 2010 e recante, ancora una volta, istanza di sospensiva, che veniva tuttavia respinta con l’ordinanza collegiale del 23 – 24 novembre 2010.

Nel merito, la causa veniva discussa e trattenuta per la decisione nella pubblica udienza del 30 marzo 2011, preceduta dal deposito di documenti e dallo scambio di memorie difensive e repliche.

Motivi della decisione

Con la determinazione n. 24/AG del 3 dicembre 2008, il Comune di Scarperia ha ingiunto a L.R., nonché a due società da costui amministrate, la S.P.M. e la RO.MA. (in liquidazione), di provvedere alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti abbandonati su di un terreno di proprietà della predetta S.P.M., identificato catastalmente alla particella 368 del foglio 64. Detto provvedimento, impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio, è stato peraltro revocato in autotutela dal Comune, che, conformandosi a quanto statuito dal tribunale in sede cautelare, lo ha sostituito con l’ordinanza sindacale n. 26 del 23 novembre 2009, avente il medesimo contenuto dispositivo ed impugnata dai ricorrenti mediante il primo atto di motivi aggiunti insieme alla determinazione del 17 dicembre 2009, contenente l’ordine di rimozione del deposito permanente di rifiuti realizzato senza titolo. L’ordinanza n. 26/2009 è stata, a sua volta, revocata con nuovo atto sindacale n. 9 del 15 luglio 2010, recante l’ulteriore rinnovazione dell’ordine di bonifica già impartito ai ricorrenti, e da costoro impugnata mediante il secondo atto di motivi aggiunti al quale, in virtù degli eventi susseguitisi in corso di causa, resta affidato ogni residuo interesse processuale.

Circoscritto, in tal modo, l’ambito di procedibilità della controversia, giova in primo luogo ripercorrere le ragioni salienti poste dal Comune resistente alla base della decisione di adottare, e quindi reiterare, nei confronti dei ricorrenti l’ordine di bonifica della sopra menzionata particella 368. Tali ragioni si ricavano dalla motivazione dell’ ordinanza n. 9/2010, dalla quale emerge che, sulla particella in questione, è stato rinvenuto un deposito incontrollato di rifiuti di vario genere, la cui responsabilità il Comune ascrive ai ricorrenti per non avere la S.P.M. S.r.l., proprietaria del terreno, ubicato a brevissima distanza dalla sua sede amministrativa, esercitato su di esso i controlli che pure sarebbero stati agevolmente praticabili; e per aver avuto la RO.MA. S.r.l., tra il 1999 ed il 2006, la disponibilità del fondo, sul quale gestiva un impianto di recupero di inerti. Quanto al R., amministratore unico di ambedue le società, egli sarebbe responsabile anche personalmente in considerazione della quotidiana presenza sia presso la sede della S.P.M., sia presso l’impianto gestito dalla RO.MA., vale a dire proprio nel luogo ove la discarica abusiva è stata realizzata.

Con il primo motivo, di cui al secondo atto di motivi aggiunti, i ricorrenti censurano l’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato, secondo cui i risultati degli accertamenti eseguiti nei loro confronti potrebbero considerarsi pacifici, perché non contestati, e ribadiscono di aver svolto in seno al procedimento amministrativo – e, parallelamente, anche in sede giurisdizionale, trattandosi di vicenda già sottoposta al giudizio di questo tribunale quando l’ ordinanza n. 9/2010 è stata adottata – numerose e circostanziate contestazioni, che il Comune avrebbe immotivatamente obliterato, in violazione dei principi che governano la partecipazione al procedimento.

Con il secondo motivo, i ricorrenti si dolgono dello sviamento in cui il Comune sarebbe incorso, a partire dalla mancata considerazione della circostanza che l’area ove insiste la particella 368 sarebbe stata interessata da un piano per gli insediamenti produttivi che avrebbe stravolto l’assetto del territorio, reso oggetto di consistenti movimentazioni di terra e di opere di industrializzazione. Dal rilievo altimetrico realizzato nel 1999, si evincerebbe poi che la quota complessiva del terreno in zona mostrerebbe differenze altimetriche insignificanti, e che il solo cumulo di materiali ivi presente sarebbe posto su di un fondo confinante con la particella 368, di talché ci si dovrebbe quantomeno domandare perché l’amministrazione non abbia mai ritenuto di indagare sull’operato delle imprese coinvolte nella realizzazione del P.I.P., che avevano libero accesso ai fondi.

Per altro verso i ricorrenti sottolineano come, svolgendo la RO.MA. proprio attività di trattamento di rifiuti, non avrebbero avuto alcun senso per loro interrare i rifiuti, piuttosto che trattarli per poi rivenderli. Negano, inoltre, di aver avuto il controllo continuo della particella 368, e contestano che la tesi del Comune sia corroborata dalle sommarie informazioni raccolte, ed alle quali il provvedimento impugnato fa rinvio: al contrario, nessuno dei soggetti escussi avrebbe dichiarato di aver assistito all’interramento dei rifiuti ad opera di persone in qualche modo riferibili ai ricorrenti, ed in ogni caso si tratterebbe di informazioni rese da persone inattendibili. Nel complesso, dunque, non vi sarebbe alcuna dimostrazione del coinvolgimento dei ricorrenti nella commissione dell’illecito abbandono di rifiuti, e tantomeno potrebbe considerarsi provata la sussistenza dell’elemento psicologico ai fini dell’imputazione delle condotte contestate.

Le censure, che saranno esaminate congiuntamente, sono infondate.

In tema di abbandono di rifiuti, la giurisprudenza amministrativa, già con riferimento alla misura prevista dall’art. 14 dell’abrogato D.Lgs. n. 22/97, riteneva che il proprietario dell’area fosse tenuto a provvedere allo smaltimento, ma solo a condizione che ne fosse dimostrata la corresponsabilità almeno a titolo di colpa con gli autori dell’illecito, e, conseguentemente, escludeva che la norma configurasse un’ipotesi legale di responsabilità oggettiva, affermando l’illegittimità degli ordini di smaltimento di rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario di un fondo in mancanza di adeguata dimostrazione dell’imputabilità soggettiva della condotta, sulla base di un’istruttoria completa e di un’esauriente motivazione. I medesimi principi si traggono, oggi, dalla previsione di cui all’art. 192 del D.Lgs. n. 152/06, che non soltanto riproduce il tenore dell’art. 14 cit. circa la necessaria imputabilità dell’abbandono a titolo di dolo o colpa, ma integra il precedente precetto, precisando che l’ordine di rimozione può essere adottato esclusivamente in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo (per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. V, 19 marzo 2009, n. 1612); con il corollario secondo cui, anche se si ritenga sufficiente, ad integrare la corresponsabilità del proprietario per lo smaltimento di rifiuti abbandonati su un fondo di sua proprietà, la semplice omissione di cautele suggerite dall’ordinaria diligenza, sono pur sempre necessari indizi concreti che permettano di addebitare una omissione colpevole, non essendo a tal fine sufficiente la mera assenza di comportamenti volti a rimuovere i rifiuti (così Cons. Stato, sez. V, 16 luglio 2010, n. 4614).

Tanto premesso, nel caso in esame deve ritenersi che dall’istruttoria espletata in via amministrativa emergano adeguati indizi a sostegno della determinazione assunta dal Comune di Scarperia. Tali indizi si ricavano innanzitutto – lo si è già accennato in sede cautelare – dalle sommarie informazioni rese alla Polizia Municipale, nell’agosto 2008, da certo Pasquale Iamarino, dipendente fino al febbraio del 2005 della società RO.M.A, per conto della quale egli ha ricordato di aver eseguito lavori di movimentazione di detriti sul terreno identificato dalle particelle 144 e 146 della vecchia ripartizione catastale: in particolare, lo Iamarino ha riferito di aver provveduto a riempire con materiali di demolizione previamente trattati gli scavi che ivi erano stati realizzati per prelevare terra, livellando in tal modo il piano di campagna, e di aver altresì depositato inerti fino in prossimità del Fosso di Pianvallico, che segna il confine ovest della particella 144 in questione e che costituisce un riferimento topografico dal quale si comprende come il dichiarante, a prescindere dagli identificativi catastali, abbia risposto avendo piena consapevolezza dei luoghi materia della sua narrazione. La quantità di materiale movimentato ed utilizzato per i riempimenti, secondo una stima offerta dallo stesso Iamarino, sarebbe pari a circa 200 – 300 metri cubi.

Onde fugare qualsiasi dubbio in merito alla riferibilità delle dichiarazioni rilasciate dallo Iamarino al terreno oggi distinto dalla particella 368, oggetto del provvedimento impugnato, è sufficiente il raffronto fra le numerose planimetrie catastali in atti, da cui si evince che l’attuale particella 368 deriva dalla precedente 144, della quale rappresenta la porzione meridionale. La relazione tecnica redatta dall’ARPAT in data 3 dicembre 2009 e relativa, nell’ambito del procedimento penale a carico del R., ad un’area di indagine pressoché corrispondente a quella già identificata dal mappale 144, chiarisce poi che l’area maggiormente interessata dal movimento di materiali è proprio quella oggi identificata dal mappale 368 che, nel 2005, era l’unica di proprietà della S.P.M. e, pertanto, l’unica sulla quale la RO.MA. aveva titolo ad operare (la porzione nord della pregressa particella 144 appartiene a certo Mario Cecchi, anch’egli escusso a sommarie informazioni). Se, da un lato, questo consente di mettere ulteriormente a fuoco le affermazioni dello Iamarino, le quali non possono che avere riguardo al terreno contraddistinto come particella 368, dall’altro è interessante osservare come tali affermazioni siano pienamente avallate nella loro attendibilità dalla stessa relazione ARPAT, la quale colloca a partire dal 2005 l’inizio dell’attività di accumulo di inerti sul fondo in questione.

In senso contrario, i ricorrenti invocano peraltro le dichiarazioni rilasciate dallo Iamarino medesimo, nonché da certi Gianfranco Marchesini e Mirko Vicino, in asserita applicazione degli artt. 391bis e 391ter c.p.p.. Sul punto, è appena in caso di osservare che, stante la radicale inapplicabilità nel presente giudizio amministrativo della disciplina processualpenalistica sulle indagini difensive, dette dichiarazioni possono al più assumere il valore indiziario della prova documentale atipica (assimilabile in qualche modo allo scritto proveniente dal terzo), il cui ingresso in causa deve reputarsi ammissibile una volta che è stata generalizzata, anche davanti al G.A., l’ammissibilità della prova testimoniale (si veda l’art. 63 co. 3 c.p.a.).

Sul piano sostanziale, si tratta peraltro di dichiarazioni la cui attendibilità è diminuita dall’atteggiarsi come risposte a domande il cui contenuto non risulta trascritto; ma, soprattutto, di dichiarazioni irrilevanti, giacché si riferiscono ad un’area che palesemente non corrisponde alla particella 368, ed il fatto che lo Iamarino qui riferisca di non conoscere con quali estremi catastali siano identificati quei terreni, ed i terreni circostanti, non inficia il contenuto di quanto dichiarato nel 2008 alla Polizia Municipale, laddove, come detto, non era il dato catastale, bensì i riferimenti topografici utilizzati a fornire la certezza che il dichiarante avesse ben presente lo stato dei luoghi su quali era chiamato a rispondere. L’affermazione di non aver mai trasportato e scaricato materiale non precedentemente sottoposto a frantumazione, oltre a coincidere perfettamente con quanto dichiarato dallo Iamarino alla Polizia Municipale, non vale di per sé ad escludere l’illiceità dell’interramento eseguito su disposizione del R. in mancanza delle necessarie autorizzazioni (come risulta dai documenti in atti, è dal 18 febbraio 2004 che nei confronti della RO.MA. S.r.l. la Provincia di Firenze ha disposto il divieto di prosecuzione dell’attività di recupero di rifiuti, che avrebbero dovuto essere trasferiti altrove), il che vale a maggior ragione per l’interramento eseguito all’interno della fascia di rispetto del Fosso di Pianvallico (si veda la relazione ARPAT, cit.).

Del pari irrilevanti sono le dichiarazioni rese dai sopra menzionati Marchesini e Vicino, le quali non contengono elementi incompatibili con quanto riferito dallo Iamarino: che costoro non abbiano effettuato scarichi illeciti al di fuori dell’area a ciò dedicata non significa che altri non possano averlo fatto, mentre l’aver notato rifiuti abbandonati – ma non interrati – nelle vicinanze del Fosso di Pianvallico non libera certo il R. dall’episodio dell’interramento abusivo, né è, del resto, particolarmente significativo, collocandosi in epoca antecedente al momento a partire dal quale l’ARPAT ha accertato essersi formato l’abusivo accumulo di materiali, con conseguente alterazione del piano di campagna e modificazione morfologica del terreno.

Ritiene, dunque, il collegio che le dichiarazioni rese da Pasquale Iamarino, complessivamente considerate, costituiscano la dimostrazione diretta che, tra il gennaio ed il febbraio del 2005, il R., nella veste di amministratore della RO.MA. S.r.l., fece eseguire sulla particella 368 di proprietà della S.P.M. S.r.l. un abusivo interramento di rifiuti provenienti da demolizioni, per un quantitativo di circa 200 – 300 metri cubi di materiali. Perché da questo possa inferirsi la prova logica della imputabilità ai ricorrenti dell’intero riporto di materiale operato su quel terreno, e stimato dall’ARPAT in circa 3.123 metri cubi, occorrono, evidentemente, argomenti aggiuntivi, che si traggono in primo luogo dagli eventi che hanno occasionato, in sede penale, il sequestro probatorio della particella 368.

Nei giorni precedenti a quello stabilito per l’esecuzione del decreto di ispezione adottato e notificato dalla Procura della Repubblica di Firenze nei confronti del R., operatori della Polizia Municipale di Scarperia e dell’ARPAT, recatisi in loco per verifiche d’ufficio, accertavano la presenza sulla particella 368 di due escavatori e l’avvenuta rimozione di uno strato superficiale di terreno mediante escavazione di un carico di 50 tonnellate di materiale, che erano state avviate a discarica con il codice CER 170904 (rifiuti misti dell’attività di costruzione e demolizione), come confermato dal conducente dell’automezzo utilizzato per il trasporto, tornato sul posto – a mezzo scarico – proprio mentre gli ufficiali di P.G. erano intenti al controllo. Essendo il dato oggettivo quello di una condotta intenzionale atta a modificare lo stato dei luoghi, secondo un criterio di normalità esso fa presumere che tali operazioni siano state poste in essere con l’obiettivo di ostacolare il corso delle indagini da parte di chi aveva interesse a rendere più difficoltoso l’accertamento della propria responsabilità; appare invece del tutto inverosimile, secondo il medesimo criterio, che il R. si sia attivato spontaneamente per rimuovere i rifiuti superficiali con l’intenzione di agevolare l’attività ispettiva, come sostenuto dalla difesa dei ricorrenti, ed il fatto che il R. abbia agito in modo maldestro, "alla luce del sole", è di per sé equivoco, ben potendosi spiegare con le difficoltà – innanzitutto, quella di trovare altri soggetti disposti a cooperare – ed i rischi ancora maggiori di eseguire con modalità occulte l’attività di scavo, trasporto e scarico di ingenti quantità di materiali.

In termini più generali, non va poi dimenticato che, come chiarito dalla più volte citata relazione dell’ARPAT, a partire dal 2005 la particella 368 è stata interessata da assai consistenti interramenti di materiali, i quali hanno dato luogo ad un’alterazione morfologica dei luoghi apprezzabile anche visivamente. Ne discende che, se pure si volessero trascurare tutti gli altri indizi a carico dei ricorrenti, resterebbe comunque inspiegato come il movimento di una tale quantità di rifiuti – operato da terzi, stando alla tesi difensiva – possa essere sfuggito all’attenzione del R., nella doppia veste di amministratore delle società che avevano, rispettivamente, la proprietà e la disponibilità materiale del terreno (peraltro, al di là dei rispettivi titoli giuridici, è pacifico che la RO.MA. abbia curato, almeno fino alla fine de 2006, la dismissione dell’impianto di trattamento di rifiuti che sorgeva sul terreno adiacente, mentre è noto che la sede operativa della S.P.M. è situata nelle immediate vicinanze della particella 368): sono infatti le stesse dimensioni del fenomeno a rendere inverosimile che i ricorrenti, operatori professionali del settore, non abbiano avuto contezza di trovarsi in presenza di una continuata ed imponente violazione del divieto stabilito dall’art. 192 D.Lgs. n. 152/06; di modo che ricorrono in concreto le condizioni per addebitare loro quantomeno una responsabilità colposa omissiva per non aver adottato gli accorgimenti e le cautele atti a prevenire la prosecuzione dell’illecito ambientale e l’aggravio delle sue conseguenze pregiudizievoli (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 4614/2010, cit.; Cass. SS.UU., 25 febbraio 2009, n. 4472), concorrendo così nell’illecito medesimo per la violazione degli obblighi di diligenza che scaturiscono dalla posizione qualificata di garanzia contemplata dal terzo comma dell’art. 192, nella parte in cui sancisce la corresponsabilità del proprietario colpevole con l’autore dell’inquinamento, e fondata sul principio di protezione ambientale che, ai sensi dell’art. 3ter dello stesso D.Lgs. n. 152/06, fra gravare su tutti i consociati la garanzia della tutela dell’ambiente.

Le vicende della particella 368 sono, del resto, del tutto indipendenti da quelle che hanno riguardato i terreni vicini, ed è pertanto da escludere che gli obblighi di diligenza gravanti sui ricorrenti possano dirsi assolti in virtù delle segnalazioni da essi indirizzate al Comune circa le eventuali responsabilità degli attuali proprietari per l’inquinamento di terreni diversi dalla particella 368, rimasta estranea all’attuazione del P.I.P., in quanto classificata come agricola. Il riferimento è alle controdeduzioni che i ricorrenti hanno inviato al Comune di Scarperia nell’ambito del procedimento n. 2/07, relativo alla bonifica delle particelle 366, 372 e 378; con la precisazione, ovvia, che il procedimento relativo alla particella 368 di cui qui si discute, ancorché costituisca uno sviluppo – non una prosecuzione – di quel procedimento iniziale, presenta un oggetto autonomo, rispetto al quale i ricorrenti non hanno dimostrato specifiche responsabilità di terzi, ma si sono limitati a far valere circostanze di fatto relative a terreni diversi.

Per inciso, l’accertamento di una eventuale corresponsabilità altrui non farebbe in nessun caso venire meno i profili di responsabilità commissiva ed omissiva accertati a carico dei ricorrenti, in virtù dei quali può concludersi per la piena legittimità dell’impugnata ordinanza sindacale n. 9/2010.

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, dichiarate improcedibili per sopravvenuto difetto di interesse le impugnative promosse con il ricorso introduttivo del giudizio e con il primo atto di motivi aggiunti, quella introdotta con il secondo atto di motivi aggiunti deve essere respinta.

Le spese di lite seguono la soccombenza dei ricorrenti, e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, dichiarate improcedibili le impugnative promosse con il ricorso introduttivo del giudizio e con il primo atto di motivi aggiunti, respinge quella introdotta con il secondo atto di motivi aggiunti.

Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, ad I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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