Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23-03-2011) 14-07-2011, n. 27703 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Lecce, con sentenza del 11 febbraio 2010 ha confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Lecce, del 26 marzo 2008, con la quale C.P. è stato condannato, in concorso con altri, alla pena di mesi quattro di reclusione, interdizione dai pubblici uffici, con sospensione condizionale della pena e non menzione in ordine il reato di cui agli artt. 1, 323 e 378 c.p., perchè, nella qualità di dirigente dell’ufficio tecnico del Comune di Trepuzzi, aveva rilasciato a P.G. l’autorizzazione in sanatoria, atto illegittimo in quanto non esistente in riferimento ad opere temporanee ed in contrasto con la normativa vigente, in modo da consentire a questi l’ingiusto vantaggio patrimoniale rappresentato dalla permanenza delle opere adibite a deposito della società amministrata dal P., nonchè a garantirgli l’impunità nel procedimento nel quale quest’ultimo era indagato per abuso edilizio, fatto accertato in Trepuzzi l’1 ottobre 2003;

L’imputato, tramite il proprio difensore ha proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:

1. Contraddittorietà ed illogicità della motivazione. I presupposti da cui trae convincimento il Giudice d’appello ai fini della conferma della pronuncia di condanna del C. si baserebbero sulla pretesa "inesistenza del carattere di precarietà dell’immobile", sulla impossibilità per l’Amministrazione di "adozione di un provvedimento in sanatoria di un manufatto precario, il quale non abbisogna di alcun provvedimento abilitativo in sanatoria, e sulla non esistenza della doppia conformità. Per cui l’autorizzazione in sanatoria L. n. 47 del 1985, ex art. 13 delle opere realizzate da P. (un vano in muratura con copertura in ferro, della superficie di circa mq 168), che consentiva il "mantenimento della struttura muraria, nell’intesa che trattasi di opere con carattere precario e provvisorio, da rimuovere a cura e spese del proprietario in caso di future esigenze urbanistiche o anche nell’ipotesi di eventuale assegnazione di lotto PIP su cui trasferire la struttura", sarebbe stata illegittima. Ma invero il manufatto contestato era localizzato nel mezzo di un’area già oggetto di edificazione e di realizzazione delle principali opere di urbanizzazione, per cui sarebbe stato irragionevole negare il titolo edilizio solo perchè non ancora attuato (nè più attuabile) lo specifico strumento urbanistico. La Corte di appello avrebbe pertanto attribuito un significato non corretto al certificato di destinazione urbanistica (datato 10 aprile 2001) che dichiarava l’area di che trattasi come zona C – edificatoria di tipo semi-intensivo, tuttavia non edificabile "perchè subordinata alla redazione e successiva approvazione di piano particolareggiato esecutivo", senza tenere in alcun conto la giurisprudenza amministrativa che ritiene suscettibile di censura la condotta di un’amministrazione che neghi il rilascio di titoli edilizi sulla base della supposta necessità della preventiva adozione di strumenti attuativi del Piano qualora, per le condizioni oggettive che si sono nel tempo determinate nell’area interessata, l’adozione di tale strumento non sia più utile e possibile.

2. Errata interpretazione e applicazione art. 323 c.p. in base ad un consolidato principio in sede amministrativa, "ove sia decorso un notevole lasso di tempo dalla commissione dell’abuso edilizio, l’Amministrazione è tenuta a specificare la sussistenza dell’interesse pubblico alla eliminazione dell’opera realizzata o addirittura ad indicare le ragioni della sua prolungata inerzia".

Tali circostanze sono state considerate dal C., che ha cercato, anche se con strumenti non tipici, di contemperare l’interesse pubblico di governo e pianificazione del territorio e l’interesse del privato al mantenimento dello status quo. Si dovrebbe quindi quanto meno escludere il dolo, anche tenuto conto che lo specifico interesse pubblico non ha subito alcuna illegittima compressione, dal momento che si trattava di permesso edilizio "condizionato", avendo subordinato il mantenimento della struttura ad eventuali future esigenze urbanistiche.

Motivi della decisione

I motivi di ricorso non sono fondati.

1. Innanzitutto correttamente i giudici di merito hanno ritenuto illegittima la concessione in sanatoria rilasciata dall’imputato al P., con la quale gli fu consentito di mantenere la struttura realizzata, definita "di carattere precario e provvisorio" e quindi rimovibile a cura e spese del proprietario in caso di future esigenze urbanistiche. E’ stato infatti chiarito che la cd. "concessione edilizia in precario" – sia pure non "in sanatoria" come quella di cui al presente processo – è non solo extra legem, in quanto non è espressamente prevista da alcuna fonte normativa, ma anche contra legem, in quanto è destinata a consentire una situazione di abuso edilizio (in tal senso Sez. 3, n. 111 del 13/1/2000, La Ganga Ciciritto, Rv. 2160000).

Inoltre i giudici di merito hanno posto in evidenza che l’assunto difensivo, che è stato riproposto anche in questa sede – con il quale è stata richiamata la giurisprudenza amministrativa circa le situazioni di "mutamento delle condizioni oggettive di urbanizzazione della maglia oggetto dell’intervento contestato" – non risultava calzante nel caso di specie, come accertato dagli stessi giudici sulla base anche della rappresentazione grafica dello stato dei luoghi, dalla quale era emerso che il manufatto per cui è processo risultava inserito in una vasta area non edificata, dove era ben possibile che le determinazioni del piano particolareggiato esplicassero i loro effetti. Conseguentemente i giudici di appello, confermando le determinazione del giudizio di primo grado, hanno ritenuto l’attualità del certificato di destinazione urbanistica e, con motivazione esaustiva e priva di smagliature logiche, hanno concluso per la palese illegittimità della concessione in sanatoria.

2. Per quanto attiene al secondo motivo di ricorso, con il quale si è lamentata l’errata applicazione ed interpretazione della fattispecie di abuso di ufficio, è bene ricordare che quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo (cfr. Sez. 4, n. 15227 dell’11/4/2008, Baratti, Rv. 239735; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061) e, proprio in riferimento a questo capo della sentenza, la Corte di appello di Lecce ha fatto riferimento ai convincenti argomenti della sentenza del giudice di prime cure.

Peraltro la censura proposta in sede di legittimità più che attenere, come enunciato, all’elemento soggettivo, sembra proporre una censura di mancata offensività del fatto contestato, per assenza di qualunque compressione dell’interesse pubblico tutelato dalla fattispecie incriminatrice, nel rilascio di un permesso a costruire in sanatoria "condizionato" e quindi revocabile dalla p.a.. Il rilievo è infondato, in quanto il provvedimento concessorio rilasciato, "pur condizionato", ha consentito al P. di mantenere la struttura abusiva, ricavandone quindi un’utilità ed anche di realizzare un incremento del valore economico del proprio lotto di terreno.

A tal proposito la giurisprudenza di legittimità ha infatti affermato che configura un ingiusto vantaggio patrimoniale anche il mero incremento del valore commerciale dell’immobile, per cui ben può essere chiamato a rispondere di abuso di ufficio il responsabile del settore urbanistico del Comune che abbia rilasciato una concessione edilizia in sanatoria per un’opera non conforme agli strumenti urbanistici generali vigenti in quel Comune (Cfr. Sez. 6, n. 35856 del 6/6/2008, Morelli, Rv.241248).

Pertanto il ricorso deve essere rigettato ed al rigetto consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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