Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-03-2011) 14-07-2011, n. 27699 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte di Appello di Genova, con sentenza del 7 aprile 2010, confermava la sentenza del Tribunale di La Spezia pronunciata in data 1 aprile 2009, con la quale – tra gli altri – S.F. (imputata di numerosi episodi di illecita detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti) era stata condannata per le condotte di cui ai capi 1), 2) 3) e 4) alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione ed Euro 30.000,00 di multa oltre le pene accessorie di legge e prosciolta dai rimanenti reati per ostacolo da precedente giudicato.

In risposta alle doglianze mosse con l’atto di appello con le quali era stata dedotta con riferimento alla condotta di cui al capo 1), l’inutilizzabilità delle s.i.t. rese da G.S. in relazione al suo altalenante contegno processuale tenuto in dibattimento che la aveva indotta – dopo una iniziale ritrattazione – a ritornare sulle originarie dichiarazioni di accusa a seguito delle contestazioni mossele dal P.M.; richiesta in via principale l’assoluzione dagli episodi sub 1), 3) e 4) con la formula liberatoria ritenuta di giustizia; gradatamente una riduzione della pena in relazione al minimo apporto concorsuale con riferimento all’episodio di cui al capo 2) ed in estremo subordine il riconoscimento della circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità, la Corte territoriale manteneva ferma la originaria decisione su tutti i punti contestati.

In particolare, con riguardo alla dedotta inutilizzabilità delle sommane informazioni testimoniali rese da G.S. (acquirente della sostanza cedutale dall’odierna ricorrente), ha ricordato che le dette dichiarazioni erano state utilizzate proprio per le contestazioni ex art. 500 c.p.p. mosse le quali il teste aveva ritrattato.

Quanto alla principale richiesta di assoluzione per carenza della prova la Corte argomentava la sussistenza degli elementi a carico sulla base del materiale probatorio esaminato. Quanto, poi alle doglianze subordinate afferenti alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed alla entità della pena inflitta la Corte aveva ritenuto di escludere le invocate circostanze di cui all’art. 62 bis c.p. in relazione alle modalità del fatto, alla tenuità della droga commerciata ed al ruolo rivestito dall’imputata e, proprio per tali ragioni, aveva ritenuto adeguata la pena inflitta dal primo giudice.

Ricorre avverso la detta sentenza l’imputata a mezzo del proprio difensore fiduciario deducendo vizio di omessa motivazione per essersi la Corte richiamata per relationem alla sentenza del Tribunale mancando di fornire risposte adeguate alle articolate censure difensive.

Con un secondo motivo reiterativo di analoga doglianza proposta con l’atto di appello, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione della legge processuale penale ( art. 500 c.p.p.) per non avere la Corte dato rilievo alla ritrattazione del teste G. S. (che, in seguito alle contestazioni mosse dal P.M., era ritornata sulle dichiarazioni iniziali di tenore accusatorio nei riguardi dell’imputata, riconoscendola in aula – anche se in termini molto probabilistici – ed aggiungendo altri particolari sul nome).

Il ricorso è infondato.

Invertendo l’ordine dei motivi esposti a sostegno del ricorso, osserva la Corte che correttamente il giudice di appello ha ritenuto utilizzabili le iniziali dichiarazioni accusatorie rese nel corso delle indagini al P.M. da parte del teste G.S., sia pure al limitato fine di attestarne la credibilità.

La Corte territoriale, così operando, ha fatto corretto uso delle disposizioni dettate dall’art. 500 c.p.p., in quanto, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, lo speciale meccanismo delle contestazioni previsto dall’art. 500 c.p.p. consente al giudice di valutare complessivamente l’attendibilità del teste anche alla luce di altri elementi che servano a validare il giudizio di attendibilità complessivo.

E’ certamente inibita al giudice l’utilizzazione delle dichiarazioni rese dal teste nel corso delle indagini preliminari laddove quelle dichiarazioni non siano state confermate in dibattimento (salvo che le parti consentano alla acquisizione) mentre è consentito di acquisire al dibattimento le dichiarazioni difformi originarie, ai limitati fini delle contestazioni che valgono per saggiare la credibilità complessiva del teste (in termini, tra le tante, Cass. Sez. 1A 9.12.2009 n. 3470, Gargiulo, Rv. 246311; Cass. Sez. 3A 4.11.2009 n. 49759, Preka, Rv. 245864; Cass. Sez. 5A 21.9.2005 n. 45311, Gilardi, Rv. 232734).

Tale operazione di verifica complessiva può e deve essere compiuta dal giudice attraverso un esame comparativo di tutti gli altri elementi di prova che possono valere, pur in presenza di eventuali contegni reticenti, a misurare l’attendibilità del teste.

Ovviamente, affinchè il giudice possa far uso legittimo delle precedenti dichiarazioni è necessaria una motivazione che dia conto anche di tutti gli altri elementi di prova che valgano a confermare l’attendibilità di quelle dichiarazioni: elementi che possono essere di eterogenea natura e persine riferibili alla sola logica, purchè univocamente incidenti sulla attendibilità del teste. Ne deriva chela attendibilità della ritrattazione può essere ragionevolmente esclusa laddove caratterizzata da incertezze e/o contraddizioni sospette. (Cass. Sez. 6A 9.6.1997 n. 8402, Satanassi, Rv. 209102).

Peraltro laddove il teste reticente, a seguito delle contestazioni mossegli sulla base delle precedenti dichiarazioni rese nel corso delle indagini – come si verificato per l’appunto nel caso in esame – muti nuovamente versione ritornando alle dichiarazioni originarie, quelle rese in dibattimento a seguito delle contestazioni sono direttamente utilizzabili quale prova.

Alla stregua di tali regole interpretative, nel caso in esame la Corte territoriale ha ritenuto, anzitutto, di valorizzare come prova le dichiarazioni rese dalla teste in dibattimento a seguito delle contestazioni (dichiarazioni a seguito delle quali è ritornata alla versione originaria con la quale indicava proprio nella imputata odierna colei che le aveva ceduto l’eroina); ancora, ha correttamente tenuto conto delle iniziali dichiarazioni ai fini del complessivo giudizio sull’attendibilità della teste, misurata alla stregua di ulteriori elementi oggettivi (esiti delle indagini di P.G. che avevano individuato un contatto diretto tra la G. e l’odierna imputata cui la prima si era rivolta alla ricerca di eroina):

elementi che, unitariamente e globalmente considerati oltre che contestualizzati rispetto all’evento, conferivano complessiva attendibilità alle dichiarazioni della teste così come esattamente argomentato dalla Corte territoriale. Quanto, poi, al secondo vizio denunciato riferito ad una motivazione assolutamente inadeguata a fronte delle specifiche doglianze mosse con l’atto di appello in quanto limitata ad un mero richiamo alla sentenza di primo grado, si tratta di censura non fondata.

E’ noto il principio secondo il quale nel giudizio di appello, è permessa la motivazione "per relationem", rispetto alla pronuncia di primo grado, laddove le censure formulate nei riguardi di quest’ultima decisione non contengano elementi di novità rispetto a quelli già esaminati e disattesi dallo stesso (in tal senso, tra le tante, Cass. Sez. 4A 17.9.2008 n. 38824, Raso ed altri, Rv. 241062;

Cass. Sez. 6A 14.6.2004 n. 31080., Cerrone, Rv. 229299).

Con la conseguenza che laddove le censure dell’appellante contengano argomentazioni specifiche sussiste uno specifico obbligo modvazionale da parte del giudice di appello non più circoscrivibile ad un mero richiamo alla sentenza impugnata (in termini Cass. Sez. 6A 12.6.2008 n. 35346, Bonarrigo ed altri, Rv. 241188; Cass. Sez. 6 20.4.2005, n. 6221, Agliai ed altri, Rv. 233082). Ora nel caso in esame, pur avendo la sentenza impugnata fatto riferimento alle motivazioni esplicitate dal primo giudice, si tratta di richiami del tutto parziali e superficiali posto che il tessuto motivazionale della intera sentenza di appello, con riferimento alle specifiche doglianze mosse in relazione alle ipotesi delittuose sub 1), 2), 3) e 4), si regge su considerazioni del tutto autonome con le quali la Corte ha compiutamente analizzato gli elementi di riscontro, passando in rassegna alcune prove specifiche quali gli esiti delle intercettazioni ed il significato di determinate parole pronunciate dall’imputata cui la Corte ha attribuito una specifica portata accusatoria ovvero le stesse "ammissioni telefoniche" con le quali l’imputata indicava al cliente il luogo ove dirigersi per il reperimento della sostanza stupefacente della quale mostrava di avere piena contezza circa la sua localizzazione.

La Corte ha quindi dato prova di aver valutato in piena autonomia di giudizio e soprattutto in risposta alle singole doglianze difensive non solo il materiale probatorio della quale la difesa contestava la valenza, ma anche i profili riguardanti il trattamento sanzionatorio, avendoli ancorati alla ritenuta gravità della condotta: indiretta riprova di ciò è dato cogliere nello stesso ricorso non avendo la difesa espresso riserve sui punti riguardanti la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ovvero la gravità della pena inflitta ed avendo circoscritto le proprie doglianze ad una carenza di motivazione in punto di conferma della penale responsabilità.

Segue al rigetto del ricorso, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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