Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-03-2011) 14-07-2011, n. 27698 Omicidio colposo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Milano con sentenza del 2 dicembre 2009, in sede di rinvio, ha condannato Ta.Lu. alla pena di mesi quattro di reclusione, sospensione e non menzione, per il delitto di omicidio colposo, perchè per Imprudenza e con violazione delle norme sulla circolazione stradale, e, segnatamente, omettendo di regolare la velocità del veicolo in relazione alle caratteristiche ed alle condizioni della strada, cagionava la morte di P.A., fatto avvenuto in (OMISSIS).

E’ bene premettere che, con sentenza del 13/7/2004, il Tribunale di Monza aveva dapprima assolto il Ta. perchè il fatto non costituisce reato e la Corte di appello di Milano, con decisione del 4/4/2006, in parziale riforma, aveva ugualmente assolto l’imputato, ma con la formula di cui all’art. 530 c.p.p., comma 2. Entrambi i giudici avevano ritenuto che l’Incidente stradale si fosse verificato per l’assoluta imprevedibllità del comportamento della vittima:

l’incidente stradale aveva avuto luogo, verso le ore 1,45, nel (OMISSIS) sulla carreggiata con direzione (OMISSIS), in un tratto di strada in cui vigeva il limite di velocità di 90 km/h, a circa 200 metri dall’intersezione con (OMISSIS) andando In direzione di (OMISSIS), nella terza corsia di marcia adiacente ad uno spartitraffico erboso, in condizioni di scarsa visibilità per mancanza di illuminazione. Secondo tale ricostruzione l’autovettura guidata dal Ta. che procedeva in direzione (OMISSIS) aveva urtato con la parte laterale sinistra il corpo di P.A. che si trovava a piedi avendo accanto, alla sua destra, il proprio motoveicolo che spingeva con le mani su (OMISSIS) in direzione (OMISSIS). A seguito dell’urto subito dal P., la vespa era caduta a terra. Il punto di urto era stato localizzato all’incirca in prossimità del luogo di ritrovamento del motoveicolo, mentre la vettura era stata rinvenuta all’incirca 20 metri più avanti rispetto al corpo delle vittima ed al motociclo: tali posizioni erano, per i giudici, compatibili con la posizione parallela tra il corpo della vittima e l’auto investitrice.

Sull’asfalto non erano state rilevate tracce di frenata della vettura, la cui velocità era stata fissata tra i 75 ed gli 85 km/h, inferiore quindi ai limite massimo di 90 Km/h. Dato che alcuni automobilisti, tre o quattro, avevano segnalato telefonicamente, pochi minuti prima, la presenza di un mezzo che stava percorrendo (OMISSIS) contro mano, si era ritenuto che il P., prima dell’incidente, avesse percorso contromano a bordo della Vespa un tratto di strada, dopo essersi immesso contromano, provenendo dall’Intersezione con la (OMISSIS), e che si fosse poi fermato, avvedutosi dell’errore. L’assoluzione era stata motivata dal fatto che erano rimasti assai incerti i profili di colpa e vi erano serie riserve anche sulla stessa sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e l’evento come verificatosi.

2. A seguito del ricorso del Procuratore generale e delle parti civili la Corte di Cassazione, sez. 4, con sentenza 22317 del 9/1/2009, aveva annullato la decisione di appello, ritenendo che, tenuto conto della dinamica dell’incidente quale ricostruita, le ragioni di dubbio dei giudici di merito fossero prive di giustificazione e che i dati oggettivi certi, correttamente apprezzati, fossero idonei ad evidenziare profili di colpa nella condotta dell’imputato e l’efficienza causale della stessa nella produzione dell’evento, sia con riguardo all’inosservanza di norme prudenziali, sia con riferimento alla violazione di specifiche norme della circolazione stradale, in particolare dell’art. 141 C.d.S.. In particolare, era stato osservato che l’obbligo di regolare la velocità in relazione alle condizioni esistenti è assoluto, attesa la possibile insorgenza di un pericolo concreto per le persone o per le cose, il quale deve essere previsto ed evitato e di conseguenza il Ta., anche se aveva mantenuto ia velocità del veicolo entro il limite consentito, avrebbe dovuto procedere ad una andatura ancora più ridotta, data l’ora notturna, l’assenza di illuminazione, la vicinanza di un incrocio in zona abitata. Inoltre i giudici del rinvio avrebbero dovuto verificare l’incidenza nel determinismo causale del fatto che il Ta. non tenesse la propria destra sulla strada.

La sentenza della Corte di appello, quale giudice di rinvio, qui impugnata, ha stabilito la responsabilità di Ta.Lu. a titolo di colpa, nella percentuale del 20%, ricostruendo il fatto sulla base dei dati oggettivi acquisiti e sulle risultanze delle consulenze tecniche, concordando con la prospettazione dei precedenti giudici, quanto alla posizione del P. ed al fatto che lo stesso non indossasse il casco, perchè stava conducendo a mano la Vespa, sul margine sinistro della carreggiata (per lui il destro), essendosi avveduto di avere imboccato il viale contornano, circostanza confermata proprio dalle segnalazioni di altri automobilisti. La Corte milanese ha quindi escluso che tale condotta potesse avere avuto efficacia causale tale da essere stata, da sola, idonea a produrre l’evento, in quanto tale condotta non risulta completamente anomala ed Imprevedibile, proprio perchè la strada interessata è una strada extraurbana secondaria che presenta molti incroci e non è provvista di accesso protetto come le tangenziali (seppure vige il divieto di accesso per pedoni e biciclette). Su questa base la Corte di appello ha ritenuto che il comportamento del P., seppure scorretto, fosse prevedibile. Il Ta. avrebbe dovuto avvistare per tempo la Vespa, ma procedendo con gli anabbaglianti avrebbe dovuto moderare ancora la propria velocità in relazione ai campo visivo illuminato prodotto dagli stessi e, comunque, avrebbe dovuto prestare debita attenzione in previsione di eventuali ostacoli, di qui la sua responsabilità a titolo di colpa. Di contro la Corte di appello non ha ritenuto che costituisse elemento di rimprovero l’aver percorso la terza corsia di marcia, visto che la vicinanza dell’incrocio poteva giustificare la posizione dell’Imputato, in vista di una manovra di svolta a sinistra.

3. L’imputato, per mezzo del proprio difensore ha proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:

1. Violazione ex art. 606 sub b) e sub e) con riferimento alle norme di cui agli artt. 140 e 141 C.d.S. nonchè con riferimento agli artt. 42 e 43 c.p.. La Corte di Appello avrebbe affermato che furto tra la Vespa del P. e la Polo del Ta. è stato frontale ed in posizione "parallela rispetto all’asse stradale", rilevando che se la Polo avesse sterzato a destra avrebbe evitato l’incidente, senza tener conto che nella corsia di destra sarebbero potute sopraggiungere delle auto. In verità la Corte di appello non avrebbe saputo valutare in che cosa sia consistita la parte di colpa ritenuta in capo al Ta., avendo nel contempo dato atto che lo stesso conduceva l’auto ad una velocità al di sotto della soglia limite consentita;

2. Violazione dell’art. 606 sub b) In riferimento all’art. 43 c.p., comma 3, art. 140 e art. 141, n. 2 e delle norme che prevedono i limiti di velocità generali e particolari del Codice della Strada.

Il C.d.S. disciplina con estrema accuratezza le modalità di adozione delle segnalazioni luminose ed in particolare dei fari (artt. 151 e ss.) da parte del conducente, ma non pone l’obbligo – di notte – di adeguare la velocità massima al campo di visibilità determinato dai fari; quindi al Ta. non può essere addebitato – a titolo di colpa normativa – un’andatura di marcia superiore ai 60 km/h.

Contraddittoriamente i giudici di appello hanno cercato di costruire una colpa normativa e si sono richiamati alla genericità del disposto di cui all’art. 141, n. 2: il ricorrente andava troppo veloce per poter avere una pronta reazione all’ostacolo, oppure era disattento. Insomma l’imputato avrebbe dovuto tenere una velocità tale da permettergli, prestando la dovuta attenzione, di avvistare tempestivamente eventuali ostacoli che si fossero presentati. Ma come correttamente recita l’art. 141 C.d.S., comma 2, tali ostacoli dovevano essere prevedibili. La Corte di appello avrebbe ritenuto non imprevedibile il comportamento del P., il quale percorreva, a piedi a fianco del proprio motociclo, contro mano, nella notte, la terza corsia del viale (OMISSIS), nella direzione da (OMISSIS), a 200 metri da un Incrocio: pertanto il Ta. si era trovato addosso un ostacolo inevitabile e non prevedibile;

3. Violazione ex art. 606, lett. b) ed e) con riferimento all’art. 40 c.p., art. 41 c.p., n. 2, artt. 42 e 43 c.p. e art. 140 C.d.S., art. 141 C.d.S., nn. 2 e 6, artt. 144, 148, 151, 152, 153 e 154 C.d.S.. Il giudice del rinvio avrebbe Illogicamente ricostruito i fatti introducendo il concetto di "tempestivo avvistamento" ed avrebbe sostenuto che la Vespa avesse il faro acceso, mentre non poteva averlo, visto che era condotta a mano dal P. che percorreva contro mano il lato sinistro della carreggiata. Inoltre non ha preso in considerazione le ragioni per cui la terza marcia era innestata sulla Vespa del P. al momento dell’urto;

4. Violazione ex art. 606, lett. b). Se anche la Vespa era immaginata con il suo guidatore a bordo, secondo la Corte essa non era imprevedibile, ma poichè il P. si trovava invece alla sinistra del veicolo con il casco allacciato al braccio sinistro, era lui a non poter essere prevedibile, poichè la sua sagoma era nascosta dal buio; dalla motivazione della sentenza si desume con assoluta chiarezza che l’impatto tra la Polo ed il P. è stato determinato a cagione della manovra, attuata dal Ta. e perfettamente riuscita, di evitare l’unico ostacolo visualizzato e visualizzabile costituito dalla Vespa. Quindi è illegittima la attribuzione al Ta. del 20% di colpa;

5. Violazione ex art. 606, sub e). La Corte di Appello ha sostenuto che l’urto è stato frontale, e in situazione parallela all’asse della strada desumendo dal punto di quiete raggiunto dalla Polo del Ta., ma avrebbe dimenticato altri elementi emersi dagli atti, quali, ad esempio il fatto che l’urto ha sospinto a sinistra sia la Vespa sia il corpo del P., finiti al centro dell’aiuola spartitraffico e non invece proiettati in avanti come avrebbe voluto la collisione parallela all’asse stradale sia della Polo e sia della Vespa.

4. Anche le parti civili T.A.M. e P.D. hanno proposto ricorso per cassazione per inosservanza di norme sostanziali e processuali e mancanza e manifesta illogicità della motivazione. Nonostante la condanna di Ta.Lu. da parte della Corte di appello di Milano in sede di rinvio, per l’omicidio colposo di P.A., nel capo relativo alle statuizioni civili, è stato stabilito che deve essere attribuito alla persona offesa un concorso di colpa preponderante, da quantificare nella misura dell’80%, avendo il P. contravvenuto in modo grave alle disposizioni del Codice della Strada (In particolare l’art. 143) circolando contro mano ed avendo violato regole di elementare prudenza occupando, sia pure al margine, la terza corsia di una strada a scorrimento veloce". Il percorso motivazionale risulterebbe a tal proposito illogico, perchè i giudici non avrebbero tenuto conto del fatto che, pochi minuti prima dell’incidente, giunsero alla Polizia Municipale di Milano ed ai Carabinieri due diverse segnalazioni relative ad un veicolo che procedeva contromano su viale (OMISSIS). La Corte ha erroneamente legato due distinti momenti, quello del sinistro e la condotta precedente del P.. Infatti quando il giovane è stato travolto non stava affatto "circolando contro meno" a bordo dei proprio motociclo, ma da diverso tempo lo stava spingendo all’estremo margine della carreggiata, nelle vesti di un comune pedone. Invero, nello svolgimento delle censurate valutazioni la Corte ha completamente trascurato di considerare il disposto dell’art. 190 C.d.S., comma 1. Il quale, nelle circostanze date, consente di ritenere che il comportamento di P.A. al momento dell’investimento non solo non fosse affatto colposo, bensì fosse addirittura normativamente Imposto. Difatti, dall’insieme dei dati emersi dall’esame dibattimentale reso dall’imputato e dalla testimonianza del teste D., è pacificamente emerso In sede istruttoria che, negli attimi immediatamente precedenti il momento del sinistro, Ta.Lu. percorreva la terza corsia di viale (OMISSIS) tenendosi praticamente a ridosso del margine sinistro della medesima corsia. La decisione ha dato conto che nessuna manovra di emergenza è stata compiuta dal Ta., di qui l’assoluta Insufficienza del passaggio motivazionale a sostegno della quantificazione del concorso di colpa a carico di P.A.: si tratta di valutazione in contraddizione con la ricostruzione fattuale accolta in sentenza.

5. Il difensore del ricorrente ha poi proposto, in prossimità dell’udienza, dei nuovi motivi, e, premettendo l’Intervenuta prescrizione del reato, ha chiesto l’annullamento della sentenza per la valutazione di cui all’art. 129 c.p.p. e riproponendo alcune delle argomentazioni già indicate con il ricorso. Ha inoltre depositato memoria contenente controdeduzioni ai motivi proposti dalle parti civili.

Motivi della decisione

1. La Corte osserva che il reato ascritto al Ta. deve essere dichiarato estinto per prescrizione, in quanto non si ravvisano ragioni d’inammissibilità dei motivi di doglianza proposti dal ricorrente, atteso che le valutazioni espresse hanno condotto, nei primi due gradi di giudizio, ad altrettante pronunce assolutorie.

Considerato, invero, che la morte del giovane P. avvenne il 23 giugno 2002 e che, avuto riguardo alla pena prevista per il delitto contestato, il termine massimo di prescrizione è, ai sensi dell’art. 157 c.p. (sia nella formulazione vigente che in quella precedente) di sette anni e sei mesi, considerati i periodi di sospensione del decorso del termine per impedimento dell’imputato e a richiesta dei difensori (per un totale di sessantatre giorni), deve prendersi atto del fatto che tale termine è interamente decorso fin dal 24 febbraio 2010. 2. Le coerenti argomentazioni svolte dalla corte territoriale escludono qualsiasi possibilità di proscioglimento nel merito, ex art. 129 c.p.p., comma 2, possibile in questa sede posto che, dal combinato disposto dell’art. 624 c.p.p., comma 1, art. 627 c.p.p., comma 4, art. 628 c.p.p., comma 2 e art. 609 c.p.p., comma 2, si evince il principio di diritto per cui nel giudizio di cassazione che segue il giudizio di rinvio trovano applicazione, anche d’ufficio, le "cause di non punibilità" considerate dall’art. 129 c.p.p. e che non siano precluse dal concreto contenuto dell’annullamento con rinvio.

La Corte di appello di Milano, infatti, nello svolgimento del giudizio di rinvio, si è attenuta al principio di diritto indicato dalla Sez. 4 di questa Corte di Cassazione con la sentenza del 9 gennaio 2009, che aveva stabilito che "di regola, ogni conducente si deve rappresentare come probabili le altrui imprudenze e negligenze ed uniformare la propria condotta di guida al rispetto delle comuni norme di cautela".

In tema di applicazione del cd. principio di affidamento nell’ambito dei reati commessi con violazione delle norme sulla circolazione stradale, la giurisprudenza di legittimità ha infatti precisato che "costituisce di per sè condotta negligente l’aver riposto fiducia nel fatto che gli altri utenti della strada si attengano alla prescrizioni del legislatore, poichè le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza proprio per far fronte a situazioni di pericolo, determinate anche da comportamenti irresponsabili altrui, se prevedibili" (Cfr. Sez. 4, n. 32202 del 15/7/2010, Filippi, Rv. 248354). Riesaminando il merito alla luce di tali principi, i giudici milanesi hanno concluso che nonostante l’ora notturna ed il fatto che l’incidente fosse avvenuto in una strada a scorrimento veloce, la presenza della vittima nel punto dell’investimento non rappresentava un fatto di tale imprevedibilltà da determinare l’Interruzione del nesso causale ed anzi avevano ritenuto che, poichè anche il conducente dell’auto che seguiva aveva percepito una sagoma, sulla sinistra della carreggiata di marcia, quattro o cinque secondi prima dell’investimento, anche l’imputato, il quale conduceva l’auto che precedeva nella marcia quella del testimone, avrebbe dovuto avvedersi di ciò.

La decisione impugnata ha quindi correttamente tenuto conto degli elementi che integrano la responsabilità penale a titolo di colpa, la quale si configura non solo quando una condotta diligente avrebbe sicuramente evitato l’evento, ma anche quando una condotta rispettosa dei canoni di diligenza e prudenza avrebbe potuto rappresentare un’apprezzabile chance per evitare l’evento lesivo, in quanto tale condotta, secondo quanto osservato in dottrina, avrebbe diminuito in maniera consistente il rischio del verificarsi di esso e quindi avrebbe potuto salvare il bene-vita tutelato dalla fattispecie con significativa probabilità. In tale prospettiva, infatti, la precedente sentenza di questa Corte aveva già evidenziato, con chiarezza, che il giudice di rinvio avrebbe dovuto esaminare la condotta del conducente dell’auto, verificando "se una andatura più moderata non solo avrebbe permesso di avvistare in tempo l’ostacolo e di frenare tempestivamente ma anche avrebbe potuto attenuare la violenza dell’urto con conseguenze meno gravi di quelle verificatesi".

Alla luce di tali principi, pertanto, i giudici del rinvio hanno ritenuto che una condotta di guida prudente da parte del Ta. avrebbe avuto significative probabilità di scongiurare l’esito letale del sinistro stradale e lo hanno condannato per il reato di omicidio colposo come contestatogli. Dall’esame di detta decisione non emergono elementi di valutazione idonei a riconoscere la prova evidente dell’insussistenza del fatto contestato al Ta. o della sua estraneità allo stesso, ma sono rilevabili valutazioni di segno opposto, che conducono ad affermarne la responsabilità, seppure con il preponderante concorso di colpa della vittima, individuata nella misura dell’80%, attesa la condotta gravemente violatrice delle regole stabilite dal codice della strada e di generica prudenza.

La sentenza impugnata deve essere, quindi, annullata senza rinvio, essendo rimasto estinto per prescrizione il reato ascritto all’imputato.

3. Tuttavia deve essere richiamato il disposto di cui all’art. 578 c.p.p., il quale, in tema di declaratoria di estinzione del reato, prevede che la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato per il quale sia intervenuta "condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati", è tenuto a decidere sull’impugnazione agli effetti civili; a tale fine, quindi, secondo quanto stabilito dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, occorre procedere all’esame dei motivi di ricorso, non potendo questo Collegio fondare la conferma della condanna al risarcimento del danno sulla mera mancanza di prova dell’innocenza dell’imputato, secondo quanto previsto dall’art. 129 c.p.p., comma 2.

Orbene, ritiene la Corte che, anche sotto lo specifico profilo appena menzionato, le censure mosse alla sentenza Impugnata dall’imputato sono infondate. I motivi di ricorso, pur lamentando aspetti di contraddittorietà della motivazione e violazione di legge, sono in realtà volti a mettere in discussione la ricostruzione dei fatti come accertati nel corso del giudizio di merito (si vedano i motivi nn. 3 e 5), proponendo una lettura delle risultanze processuali diversa (e più favorevole dall’imputato), operazione non consentita in sede di legittimità, attesa la corretta applicazione dei principi di diritto in materia di accertamento della responsabilità colposa, già poc’anzi indicati, che risulta compiuta dai giudici di appello.

La Corte di appello, quale giudice del rinvio, ha ben individuato la condotta colposa della quale il Ta. si è reso responsabile, e a nulla valgono gli sforzi della difesa di presentare la presenza della Vespa con il P., contromano, sulla strada a scorrimento veloce di tre corsie come un fatto del tutto imprevedibile, visto che è stato accertato che un testimone notò la sagoma sul lato sinistro e che alcuni automobilisti avevano segnalato poco prima la presenza di un ciclomotore che percorreva quel tratto di strada contromano (motivi nn. 2 e 4). Nè risponde al vero – atteso quanto sopra illustrato – che la Corte di appello non abbia fornito motivazione in ordine agli elementi della colpa riconosciuta in capo al Ta. (motivo n. 1).

4. Peraltro le modalità dell’incidente, come ricostruite alla luce delle risultanze del processo, hanno condotto i giudici del giudizio di rinvio – con una valutazione che risulta coerente con le risultanze processuali e rispettosa dei principi di diritto – a dichiarare il concorso di colpa della vittima nella misura dell’80%, attesa l’evidente violazione delle norme sulla circolazione stradale posta in essere dal giovane P., il quale non solo contravvenne alle disposizioni del codice della strada (in particolare quella di cui all’art. 143) impegnando contromano la strada dell’incidente, ma ebbe, sfortunatamente, a trascurare le regole di elementare prudenza, restando ad occupare, di notte, il margine della terza corsia della strada a scorrimento veloce, peraltro anche non lontano da un incrocio.

Per tali motivi anche il ricorso proposto dalle parti civili risulta infondato, con la conseguenza che il capo della sentenza concernente le statuizioni civili deve essere confermato, con rigetto dei motivi proposti dalle parti civili e conseguente condanna delle stesse al pagamento delle spese processuali. Si ritiene equo compensare integralmente le spese del grado tra le parti.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione e conferma le statuizioni civili della sentenza. Rigetta il ricorso delle parti civili che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara compensate le spese del grado tra le parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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