Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-03-2011) 14-07-2011, n. 27697 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Palermo, in data 6 febbraio 2009, ha confermato la sentenza emessa dal GUP di Palermo del 16 maggio 2007, all’esito di rito abbreviato, che aveva condannato A. C., alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione e pene accessorie, per il reato di cui all’art. 61 c.p., n. 9, art. 81 cpv. c.p., art. 609 quater c.p., comma 1, n. 1, escluso l’elemento della violenza, minaccia o dell’induzione di cui all’art. 609 bis c.p., avendo ritenuto le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata di aver commesso il fatto con abuso dei poteri e con violazione dei doveri inerenti l’esercizio di una pubblica funzione, per aver compiuto atti sessuali con l’alunno P.A., minore infraquattordicenne, consistiti in palpeggiamenti delle zone genitali, in Palermo, fino al 29 ottobre 2002.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato tramite il proprio difensore chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1. Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), d) ed e) per erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 609 quater c.p., comma 1, n. 1 e della legge processuale penale in relazione agli artt. 192 e 195 c.p.p., art. 498 c.p.p., comma 4 e art. 597 c.p.p., comma 1, per difetto ed illogicità della motivazione. Vi sarebbe la certezza che alcune dichiarazioni del minore (quelle rese in data 21 novembre 2002 e in sede di incidente probatorio) siano state frutto di un processo di etero ed auto suggestione, in contrasto con quanto nell’immediatezza accaduto e riferito. Il ragazzo sarebbe stato sottoposto ad una sequela di interrogatori per cui il racconto sarebbe stato alterato dalle diverse versioni, senza possibilità di distinguere quanto realmente raccontato e quanto frutto delle "versioni di rimando". La Corte di appello non ha tenuto conto della possibilità del contagio dichiarativo, verificabile per la suggestionabilità dei minori, tanto che la successiva denuncia del 30 ottobre conterrebbe elementi rivelatisi insussistenti. Molte circostanze non sarebbero state valutate dalla Corte territoriale, come emergerebbe dall’esame della relazione a firma del Prof. P. e diretta al Dirigente Scolastico; inoltre sarebbe stata omessa ogni considerazione della relazione ispettiva del novembre 2002. Risulterebbe del pari illogico il giudizio di capacità di rendere testimonianza attribuito al minore.

2. Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all’art. 609 quater c.p., comma 4 per difetto di motivazione in ordine alla mancata concessione della attenuante della minore gravità del fatto. In sede di incidente probatorio, il minore aveva affermato di non pensare più ai fatti, pertanto non sussiste alcun disagio psicologico direttamente connesso a quanto eventualmente subito, e sarebbe irragionevole il diniego della circostanza di minore gravità del fatto.

Motivi della decisione

1. I motivi di ricorso non sono fondati.

Questa Corte ha affermato il principio di diritto in base al quale, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Così, tra le altre, Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgì, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116).

2. Nel caso di specie, i giudici di appello, che pure hanno fatto riferimento alle esaustive argomentazioni sviluppate nel dettaglio nella sentenza di primo grado, hanno fornito una valutazione autonoma dei motivi di appello sui punti specificamente indicati, verificando sia le ragioni dell’attendibilità intrinseca ed estrinseca del minore, alla luce di principi giurisprudenziali in materia, sia gli altri numerosi elementi probatori.

Come è noto, secondo i principi ormai consolidati affermati da questa Corte, il giudice può trarre il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che la stessa sia stata sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr., per tutte, Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv. 248016). In particolare, nel caso di parte offesa dei reati sessuali di età minore, è stato chiarito che l’esame della credibilità deve essere onnicomprensivo e tener conto di più elementi quali l’attitudine a testimoniare, la capacità a recepire le informazioni, ricordarle e raccordarle, la qualità e natura delle dinamiche familiari e dei processi di rielaborazione delle vicende vissute (Così Sez. 3, n. 29612 del 27/7/2010, G., P.C. in proc. R. e altri, Rv. 247740).

3. Ritiene questa Corte, che i giudici di appello abbiano, dunque, esaustivamente e correttamente motivato le ragioni della piena attendibilità della persona offesa, sia in relazione alle modalità del disvelamento del fatto, avendo il minore con immediatezza e spontaneità raccontato al professore di matematica le molestie subite – una volta rientrato in classe dopo aver accompagnato la compagna di scuola con handicap a seguire una lezione differenziata tenuta dal docente qui imputato – sia per la pronta denuncia del fatto ai genitori, ai quali ebbe a descrivere l’episodio una volta giunto a casa di ritorno da scuola, sia per l’assenza negli atti del processo di qualsivoglia elemento che possa far pensare al verificarsi del contagio dichiarativo; inoltre nessuna eccezione venne sollevata in riferimento allo svolgimento dell’audizione della parte offesa da parte del pubblico ministero ed in sede di incidente probatorio, atti processuali che hanno invece confermato la sicura genuinità e la peculiare autenticità delle dichiarazioni costanti e coerenti del P., nonchè la sua piena capacità a deporre.

4. Per quanto attiene alla censura relativa alla mancata concessione dell’attenuante del fatto di lieve entità, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che la mitigazione della pena corrisponde alla minore lesività del fatto, da rapportare al grado di violazione del bene giuridico della libertà sessuale della vittima (Cfr. Sez. 3, n. 27272 del 14/7/2010, P. Rv. 247931), per cui l’attenuante è applicabile quando, avuto riguardo ai mezzi, alle modalità esecutive ed alle circostanze dell’azione, si possa ritenere che la libertà sessuale della vittima – che è l’interesse tutelato dalla fattispecie – sia stata compressa in maniera lieve (così, per tutte, Sez. 3, n. 40174 del 6/12/2006, Gesmino e altro, Rv. 235576); un orientamento giurisprudenziale minoritario ritiene che possa essere data considerazione anche ad aspetti desunti dai criteri dell’art. 133 c.p., in particolare, alle condizioni soggettive dell’imputato (cfr. Sez. 3, n. 38112 del 21/11/2006, Magni e altro, Rv. 235030).

Nel caso di specie, i giudici di merito, facendo corretto uso di tali principi, hanno ritenuto che la condotta ascritta all’imputato non potesse essere considerata di minore gravità, in particolare per il grado di "compressione psichica" esercitato sulla vittima, non solo a cagione della età, ma anche per le circostanze di tempo e di luogo nelle quali la condotta era stata posta in essere. Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ex art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *