Cass. civ. Sez. VI, Sent., 05-12-2011, n. 26076 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.L. ricorre per cassazione nei confronti del decreto della Corte d’appello che ha rigettato la sua domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al TAR Campania dal 25 novembre 1994 e ancora pendente alla data della domanda (23 maggio 2008).

L’intimata Amministrazione non ha proposto difese.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

Motivi della decisione

Con i plurimi motivi di ricorso si deduce violazione di legge e difetto di motivazione per avere la Corte d’appello rigettato la domanda di riconoscimento dell’equo indennizzo in considerazione della ritenuta assenza di un patema d’animo dovuta alla pendenza del giudizio conseguente alla piena consapevolezza dell’infondatezza della pretesa.

Le censure sono fondate in quanto, se è vero che "In tema di equa riparazione per la violazione del termine ragionevole di durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la piena consapevolezza della infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità – che deve essere desunta sulla base di elementi indiziari precisi e concordanti – è causa di inesistenza del danno non patrimoniale, perchè incompatibile con l’ansia ed il malessere correlati all’incertezza sull’esito del processo" (Sez. 1, Sentenza n. 25519 del 16/12/2010) è anche vero che nella fattispecie di tale consapevolezza non vi è sicura traccia dal momento che non sono elementi che ne possano far presumere la sussistenza quelli evidenziati dal giudice del merito (negligenza processuale consistita nell’omesso utilizzo di strumenti sollecitatori) che al più possono evidenziare la consapevolezza della scarsa probabilità di successo dell’azione intrapresa ma non certo la piena certezza del suo esito negativo.

Il ricorso deve dunque essere accolto e cassato il decreto impugnato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatti, la causa può essere decisa nel merito e quindi, tenuto conto della durata del giudizio presupposto alla data della domanda (più di tredici anni e quindi ben superiore a quella ragionevole secondo i noti parametri) e della giurisprudenza della Corte a mente della quale la liquidazione del danno per l’irragionevole durata del giudizi avanti a giudice amministrativo protrattisi oltre il decennio può essere effettuata anche forfettariamente (sentenza n. 14753/2010), è congrua la quantificazione del danno in Euro 6.500 per ciascuno dei ricorrenti, oltre accessori ed in tale misura deve essere condannata l’Amministrazione resistente.

Le spese di entrambi i gradi seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 6.500, oltre interessi di legge dalla data della domanda, nonchè al pagamento delle spese processuali che, per la fase di merito, liquida in complessivi Euro 1.140, di cui Euro 490 per onorari e Euro 600 per diritti, oltre accessori di legge, e per quella di legittimità in complessivi Euro 1.000, di cui Euro 900 per onorari, oltre accessori di legge; spese di entrambe le fasi distratte in favore del difensore antistatario.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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