Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 12-07-2011) 15-07-2011, n. 28030

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. B.A. ricorre per cassazione avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Lecce in data 8.2-28.3.2011 ha confermata la misura custodiale carceraria emessa il 18.1.2011 dal locale GIP nei suoi confronti, per partecipazione ad associazione per delinquere di tipo mafioso, con unico articolato motivo redatto dal proprio difensore avv. Lodeserto denunciando inosservanza ed erronea applicazione, nonchè mancanza ed illogicità della motivazione, in relazione agli artt. 192 e 273 c.p.p..

Il ricorrente premette che l’originaria ordinanza cautelare era stata emessa anche nei confronti della madre, C.A., e del cugino, N.C., destinatari in precedenza di un decreto di fermo del pubblico ministero, emesso anche nei confronti di tale P.E., decreto non convalidato dal GIP; proposta da tutti e tre richiesta di Riesame, narra il ricorrente, i ricorsi venivano trattati in udienze differenti i primi due da questo, con esiti differenti.

Il motivo denuncia l’apparenza della motivazione: il Tribunale si sarebbe limitato a riprodurre le dichiarazioni del collaborante Pe., già presenti nell’originaria ordinanza cautelare, quindi quelle del collaborante Pa., in ordine alla comune posizione di B., C. e N., presentando dopo tre risultati di accertamenti di polizia giudiziaria e "lapidariamente" concludendo per il ruolo attivo svolto da B.A. per conto del padre Salvatore, detenuto. L’ "attenta" lettura dei verbali delle dichiarazioni, afferma il ricorrente, attesterebbe anche l’illogicità della conclusione del Riesame, perchè i due collaboratori sempre farebbero riferimento congiunto anche alla madre ed al cugino, con una perfetta sovrapponibilità delle tre posizioni.

Sicchè il Tribunale non avrebbe spiegato le ragioni della differenziazione della posizione di B.A. da quella dei congiunti, mentre, in ogni caso, le dichiarazioni di Pa. a lui specificamente relative – limitate a consegne di denaro – non costituirebbero riscontro di quelle di Pe..

2. Il ricorso è inammissibile. Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, equa al caso, di Euro 1000 alla Cassa delle ammende. il Riesame ha ritenuto provato, dalle dichiarazioni dei due collaboratori, che B.A. era tra coloro che ricevevano il provento delle attività illecite in essere per conto del detenuto B.S. (il Pa. avendo anche personalmente assistito ad uno di tali episodi). da tale condotta argomentando il ruolo attivo del medesimo nell’organizzatone.

Si tratta di un apprezzamento di stretto merito, non incongruo ai dati richiamati, immune dai vizi di motivazione apparente, intrinsecamente contraddittoria o manifestamente illogicità.

Il fatto che altro collegio del medesimo Tribunale abbia deliberato diversamente per la madre ed il cugino, da un lato è affermato in termini del tutto generici (nessun atto essendo stato allegato al ricorso) e, soprattutto, è per sè non immediatamente rilevante, atteso che la diversità, in ipotesi, di apprezzamento del medesimo materiale probatorio è evento fisiologico, quando avvenga da parte di giudici diversi, il punto potendo eventualmente essere approfondito nel contesto proprio della fase di merito.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 alla Cassa delle ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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