Cons. Stato Sez. VI, Sent., 20-07-2011, n. 4388 Addizionali Commissioni tributarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con quattordici ricorsi proposti dinanzi al T.A.R. per la Lombardia, numerose società operanti nel settore della produzione e distribuzione dell’energia elettrica, del gas e dei prodotti petroliferi impugnavano le delibere con cui l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (d’ora in poi: "l’A.E.E.G.’, oppure: "l’autorità’) aveva dato concreta attuazione alle previsioni di cui all’art. 81 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, istitutivo di un’addizionale straordinaria all’aliquota dell’imposta sul reddito delle società per la tipologia di imprese in parola (in particolare, le delibere venivano impugnate dalle società E. s.r.l., T. I. s.p.a., R. D. R. s.p.a., SET s.p.a., S. I. s.p.a., S. I. E&P s.p.a., Aquila s.p.a., S. I. aviazione s.p.a., Aico Uno s.r.l. Dilca Due s.r.l., L. E. s.r.l., D. s.p.a., Assoelettrica, T. P. s.p.a., P. P. s.p.a., E. s.r.l., A. V. s.r.l., S. s.r.l. e B. Gas s.p.a.).

Ai fini del corretto inquadramento della vicenda, si ritiene in primo luogo di richiamare la pertinente disciplina.

Il comma 16 dell’articolo 81 del d.l. 112 del 2008 (convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008) ha stabilito, in considerazione "dell’andamento dell’economia e dell’impatto sociale dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico", che l’aliquota dell’imposta sul reddito delle società (I.R.E.S.), di cui all’articolo 75 del d.p.r. 1986, n. 917, sia applicata con un’addizionale di 5,5 punti percentuali per i soggetti che abbiano conseguito nel periodo di imposta precedente un volume di ricavi superiore a 25 milioni di euro e che operino nei settori della ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, della raffinazione del petrolio, della produzione o commercializzazione di benzine, petroli, gasoli per usi vari, oli lubrificanti e residuati, gas di petrolio liquefatto e gas naturale, nonché della produzione o commercializzazione di energia elettrica (l’importo della maggiore aliquota è stato aumentato sino al 6,5 per cento dal comma 15 dell’articolo 27 della l. 23 luglio 2009, n. 99).

Il comma 18 dell’art. 81 del d.l. 2008 n. 112 – come modificato dalla legge di conversione – ha introdotto il divieto di traslazione dell’addizionale, prevedendo che "è fatto divieto agli operatori economici cui si applica l’ulteriore aliquota di traslare l’onere della maggiorazione d’imposta sui prezzi al consumo. L’Autorità per l’Energia elettrica e il gas vigila sulla puntuale osservanza della disposizione di cui al precedente periodo. L’Autorità per l’Energia elettrica e il gas presenta, entro il 31 dicembre 2008, una relazione al Parlamento relativa agli effetti delle disposizioni di cui al comma 16".

In applicazione della disciplina in parola, l’Autorità per l’Energia elettrica ed il gas ha adottato alcune delibere, e in particolare:

– la delibera n. 91 del 4 luglio 2008, con cui è stato stabilito che, per assicurare che gli operatori economici assoggettati alla maggiorazione di imposta non traslino il predetto onere sui prezzi al consumo, è necessario che essi non aumentino i propri margini operativi lordi unitari con riferimento ai prodotti relativi ai settori individuati dall’art. 81, comma 16, del d.l. 2008 n. 112, "salvo i casi in cui tali aumenti siano giustificati da variazioni nella struttura dei costi o da situazioni particolari adeguatamente motivate".

Al fine di rendere effettiva la base conoscitiva a supporto della delibera in parola, l’Autorità ha introdotto alcuni obblighi nei confronti degli operatori interessati, fra cui: a) l’obbligo di trasmissione del bilancio, delle relazioni trimestrali e dei documenti di budget; b) una dichiarazione relativa al margine operativo lordo (MOL) nei settori oggetto di disciplina per il biennio 2007/2008;

– la delibera n. 109 del 25 settembre 2008, con cui l’Autorità ha fissato i criteri e le modalità di verifica del rispetto del divieto di traslazione basato sull’individuazione di un sistema di indicatori basati su diversi livelli di approfondimento.

Con la delibera in questione l’Autorità ha altresì introdotto un sistema di obblighi informativi in capo alle imprese interessate, nonché l’obbligo per i rappresentanti legali di rendere una dichiarazione in cui si attesti di aver adottato ed attuato decisioni e disposizioni gestionali dirette ad escludere la possibilità di traslazione sui prezzi al consumo della maggiorazione di imposta;

– la delibera n. 111 del 15 dicembre 2008, con cui è stato approvato un programma di verifiche ispettive nei confronti degli operatori che non hanno trasmesso la documentazione richiesta con la deliberazione 4 luglio 2008 ARG/com 91/08.

Le tre delibere in questione venivano impugnate da numerosi operatori del settore con i quattordici ricorsi dinanzi richiamati.

Con le sentenze oggetto del presente gravame, il Tribunale adìto così decideva:

– dichiarava improcedibili i ricorsi originariamente proposti avverso la delibera dell’Autorità n. 91/08, ritenendo che il suo contenuto dispositivo fosse stato integralmente trasfuso e sostituito da quello della successiva delibera n. 109/08;

– accoglieva i motivi aggiunti proposti avverso la delibera n. 111/08 e, conseguentemente, annullava la delibera in parola per la parte in cui estendeva le indagini ispettive ai dati relativi alla determinazione del margine operativo lordo (MOL);

– accoglieva i motivi aggiunti proposti avverso la delibera n. 109/08 e, per l’effetto, annullava l’articolo 2 di tale delibera per la parte in cui introduceva l’obbligo per le imprese interessate di dichiarare di aver adottato ogni misura necessaria ad escludere la possibilità di procedere alla traslazione della sovraimposta sui prezzi al consumo;

– respingeva sotto ogni altro aspetto i richiamati ricorsi.

Le pronunce in questione venivano gravate in sede di appello dall’A.E.E.G. la quale, rilevando in via pregiudiziale la carenza di giurisdizione del Giudice amministrativo, chiedeva nel merito la riforma di tali decisioni per la parte in cui avevano disposto l’annullamento parziale delle delibere numm. 109/08 e 111/08.

Al riguardo, l’autorità proponeva i seguenti motivi di appello:

1) difetto di giurisdizione del giudice amministrativo;

2) carenza di interesse (all’impugnativa della delibera n. 109/08);

3) sulla natura della funzione di vigilanza attribuita all’Autorità;

4) sui poteri necessari per l’esercizio della funzione di vigilanza;

5) sulla legittimità dell’art. 2 della delibera VIS 109/08.

Le società S. I. s.p.a., S. I. E&P s.p.a., Aquila s.p.a., S. I. Aviazione s.p.a., Aico Uno s.r.l. e Dilca Due s.r.l. proponevano altresì appello incidentale nell’ambito del ricorso n. 528/2010, a tal fine articolando plurimi motivi di doglianza.

In particolare, tali società chiedevano la riforma della pronuncia del T.A.R. n. 4474/09 per le parti di rispettiva soccombenza.

Le sentenze numm. 4477/09, 4476/09 e 4475/09 venivano, altresì, appellate dalle società interessate (E. s.r.l., T. I. s.r.l. e R. D. R. s.p.a.), le quali ne chiedevano la riforma per la parte in cui il Tribunale aveva disposto la reiezione dei rispettivi ricorsi.

Le società in questione proponevano i seguenti motivi di appello:

1) Violazione ed erronea applicazione di norme di legge – violaizone degli articoli 24 e 113, Cost., nonché artt. 99 e 112 c.p.c. in relazione alla dichiarazione di improcedibilità del ricorso principale – eccesso di potere per illogicità manifesta – contraddittorietà;

2) Violazione di legge – eccesso di potere sotto il profilo della manifesta irragionevolezza quanto ai profili di incompatibilità delle delibere 91/08 e 109/08 con i principi di libertà economica, con la disciplina di liberalizzazione dei prezzi e con la disciplina antitrust;

3) Illegittimità delle delibere 91/08 e 109/08 per violazione delle normativa comunitaria e nazionale di "liberalizzazionè del settore del gas – alterazione delle dinamiche concorrenziali previste e discriminazione fra operatori;

4) Eccesso di potere – sviamento – violazione e falsa applicazione dell’art. 81 del decretolegge sotto il profilo della ragionevolezza e della proporzionalità del meccanismo di fissazione dei margini e controllo dei prezzi – violazione del principio di parità e non discriminazione fra gli operatori economici -violazione degli articoli 3, 41 e 97 della Costituzione;

5) Violazione di legge, eccesso di potere, contraddittorietà manifesta della delibera 109/08 per aver imposto agli operatori di giustificare ogni variazione positiva del margine di contribuzione – Contrarietà con l’art. 23 della Costituzione – Violazione art. 1, l. 689/1981 e art. 25 Cost.;

6) Violazione di legge e incompetenza: mancato rispetto della riserva di legge e della tassatività dei poteri attribuiti all’A.E.E.G. – violazione dell’art. 97, Cost. – violazione della l. 481 del 1995, art. 2, co. 12, 20 e 22 – eccesso di potere per sviamento – eccesso di potere sotto il profilo della violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa – illogicità manifesta – violazione dell’art. 1, l. 241 del 1990;

7) Violazione e falsa applicazione di norme di legge – violazione dell’art. 23, l. 87 del 1953 quanto alla dichiarazione di irrilevanza delle q.l.c. prospettate avverso il d.l. 112 del 1008 – in subordine: richiesta di valutare direttamente la illegittimità costituzionale delle delibere n. 91/08 e 109/08;

8) Violazione di legge – violazione dell’art. 87, n. 1 del TCE in relazione alla compatibilità dei provvedimenti impugnati con la disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato – violazione dell’art. 88, par. 3 in relazione alla istituzione di aiuti non autorizzati dalla Commissione europea – Effetti diretti sulla suddetta disposizione, con conseguente obbligo di disapplicazione – richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle Comunità europee ai sensi dell’art. 234 TCE;

9) Eccesso di potere per carenza di motivazione – illogicità manifesta – contraddittorietà relativamente all’accertamento della mancanza di concorrenzialità nei settori interessati – violazione dell’art. 2, co. 33, l. 481 del 1985 – violazione di legge – violazione degli articoli 81 e 82 del TCE e del regolamento della Commissione n. 1/2003.

Ai fini della presente decisione, mette conto osservare che le sentenze numm. 4477/09, 4476/09 e 4475/09 sono state altresì impugnate dall’A.E.E.G. per la parte di rispettiva soccombenza con i ricorsi numm. 534/2010, 526/2010 e 537/2010.

Si costituivano in giudizio, oltre all’Autorità e alle società ricorrenti, l’Acquirente unico s.p.a., il G. D. S. E. – GSE s.p.a., nonché le associazioni Movimento per la Difesa del Cittadino (MDC), Federconsumatori e Adiconsum, i quali concludevano nel senso dell’accoglimento dei ricorsi in appello proposti dall’A.E.E.G. e della reiezione dei ricorsi proposti in via principale ed incidentale dalle società ricorrenti in primo grado.

All’udienza pubblica del 29 aprile 2011 i procuratori delle parti costituite rassegnavano le proprie conclusioni e la causa veniva trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. Giungono alla decisione del Collegio tre ricorsi in appello proposti da altrettante società operanti nel settore della produzione e distribuzione dell’energia elettrica, del gas e dei prodotti petroliferi avverso altrettante sentenze con cui il T.A.R. della Lombardia ha accolto in parte (e respinto o dichiarato improcedibili per il resto) i ricorsi proposti avverso le delibere con cui l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (d’ora in poi: "l’A.E.E.G.’, ovvero: "l’autorità’) aveva dato concreta attuazione alle previsioni di cui all’art. 81 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, istitutivo di un’addizionale straordinaria sull’aliquota dell’imposta sul reddito delle società per la tipologia di imprese in parola.

Giungono, altresì, alla decisione del Collegio quattordici ricorsi in appello con cui l’A.E.E.G. ha chiesto la riforma delle tre sentenze già richiamate al capoverso precedente (nonché di altre undici di analogo contenuto) per la parte in cui il Tribunale adìto ha disposto l’annullamento della delibera n. 111/2008, nonché l’annullamento parziale della delibera n. 109/2008.

2. In primo luogo, il Collegio ritiene di disporre la riunione dei ricorsi in epigrafe ai sensi dell’art. 70, c.p.a., sussistendo evidenti ragioni di connessione di carattere oggettivo e soggettivo (oltretutto, i ricorsi numm. 514/2010 e 534/2010 da un lato; i ricorsi 515/2010 e 526/2010 dall’altro, nonché i ricorsi 516/2010 e 537/2010 dall’altro ancora dovrebbero comunque essere riuniti in quanto concernenti – a coppie di due – l’impugnazione delle medesime sentenze di primo grado).

3. In via del tutto preliminare il Collegio ritiene di esaminare la questione relativa al presunto difetto di giurisdizione dell’adìto Giudice amministrativo già sollevata in primo grado dall’Avvocatura dello Stato e nella presente sede puntualmente riproposta quale specifico motivo di gravame.

Il difetto di giurisdizione del G.A. è stato parimenti dedotto (con argomenti in parte assimilabili a quelli articolati dall’Autorità appellante) dall’Acquirente Unico s.p.a. e dal G. D. S. E. – GSE s.p.a.

Al riguardo, l’Amministrazione appellante ritiene che la pronuncia in epigrafe sia meritevole di riforma per non aver considerato che le controverse in esame ricadono nell’ambito della giurisdizione del Giudice tributario ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. 546 del 1992, vertendo in tema di imposta sul reddito delle società di cui all’art. 75 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.

Secondo l’appellante, la questione del divieto di traslazione dell’imposta sugli utenti finali riguarderebbe pur sempre l’esercizio del potere impositivo, trattandosi di questione che attiene la distribuzione finale dell’onere fiscale.

3.1. Il motivo non può trovare accoglimento.

3.2. Al riguardo, si ritiene che le pronunce oggetto di gravame siano del tutto condivisibili e meritevoli di conferma laddove hanno osservato:

– che il pertinente quadro normativo (e, in primis, l’art. 2 del d.lgs. 546, cit.) esclude dall’ambito della giurisdizione tributaria le controversie in cui, pur venendo in rilievo disposizioni di carattere impositivo, il thema decidendum non attiene alla configurazione in se del rapporto giuridico di imposta, bensì ad una diversa fase della complessiva fattispecie nel cui ambito viene in rilievo la spendita di un autonomo potere amministrativo;

– che le disposizioni della cui applicazione si discute (si tratta, in particolare, dei commi 16 e 18 dell’art. 81 del d.l. 112 del 2008) recano, a ben vedere, due distinte tipologie di norme: le une determinative dell’obbligo impositivo in quanto tale; le altre regolative della funzione di vigilanza sul complessivo sistema in tal modo delineato in capo all’Autorità indipendente di settore. Ebbene, mentre il primo novero di norme (attenendo al rapporto giuridico di imposta fra l’amministrazione finanziaria e singoli soggetti obbligati) può ricadere nell’ambito della giurisdizione tributaria, al contrario il secondo (attenendo alle modalità di esercizio di tipici poteri di regolazione, vigilanza e controllo esercitati da autorità amministrative indipendenti su determinati ambiti di attività) non può che ricadere nell’ambito della giurisdizione del G.A.;

– che, secondo la giurisprudenza della S.C., non può dirsi sussistente la giurisdizione del giudice tributario se non nei casi in cui si faccia questione di un rapporto giuridico di matrice tributaria, ovvero venga in rilevo l’an o il quantum di un determinato tributo (arg. ex Cass., Sez. Un., 15 maggio 2007, n. 11077; id., Sez. Un., 10 agosto 2005, n. 16776);

– che gli atti impugnati in primo grado non attengono in alcun modo alla cognitio in ordine al rapporto giuridico tributario in quanto tale (ovvero un giudizio in ordine alla sua sussistenza o validità), bensì alla diversa questione dell’esercizio da parte dell’Autorità di settore di autonomi poteri di vigilanza e controllo. Si tratta di una tipologia di poteri i quali – pur rientrando pleno jure nella sfera dell’autoritatività – presuppongono la sussistenza del rapporto giuridico di imposta, ma in nessun modo condividono (neppure mediatamente) l’esercizio di una potestà di tipo impositivo

4. Il Collegio ritiene ora di esaminare l’eccezione di improcedibilità dell’appello dell’Autorità sollevata dall’associazione Assoelettrica e dalla soc. T. P. s.p.a., le quali sottolineano che le delibere dell’A.E.E.G. fatte oggetto di impugnativa in prime cure sono state annullate (non solo dalle sentenze oggetto degli odierni gravami, ma anche) da altra sentenza del T.A.R. Lombardia, n. 4047/2009, non fatta oggetto di tempestivo gravame e passata in cosa giudicata (sul passaggio in giudicato della sentenza in parola non vi è contestazione da parte della Difesa erariale e il dato può considerarsi acquisito).

4.1. Ebbene, al riguardo deve essere richiamato il condiviso orientamento di questo Giudice di appello secondo cui l’annullamento con pronuncia passata in giudicato di un atto regolatorio adottato da un’Autorità amministrativa indipendente rende improcedibile il gravame avverso le ulteriori pronunce con le quali si sia statuito in ordine alla illegittimità del medesimo atto regolatorio.

Si è osservato al riguardo che gli atti di carattere regolatorio adottati dalle Autorità amministrative indipendenti, dettando prescrizioni rivolte unitariamente alla platea degli operatori economici e dei clienti vincolati del settore, non determinati e non preventivamente determinabili, costituisce atto amministrativo generale a contenuto inscindibile (Cons. Stato, VI, 24 settembre 2007, n. 4904).

Ne consegue l’improcedibilità degli appelli proposti dall’A.E.E.G. nella parte in cui mirano alla riaffermazione della legittimità delle prescrizioni precettive dettate da un atto definitivamente annullato erga omnes.

Né può essere condiviso l’argomento secondo cui gli atti impugnati in primo grado presenterebbero un carattere scindibile, essendo suscettibili (al di là del loro accorpamento materiale uno actu) di essere frazionati in tanti comandi/prescrizioni quanti sono gli operatori di mercato destinatari delle relative prescrizioni.

Al riguardo si osserva che gli atti con cui un’autorità amministrativa indipendente disciplina le modalità di esercizio di poteri di vigilanza e controllo sul settore di attività oggetto di regolazione presentano un carattere ontologicamente inscindibile, rappresentando l’espressione di una volontà unitaria da parte dell’autorità, la quale provvede in modo funzionalmente non frazionabile nei confronti di un complesso di interessi considerati non singolarmente, bensì come componenti di una platea unitaria ed indivisibile.

Sotto tale aspetto, il carattere unitario dell’attività svolta e degli interessi oggetto dell’attività di vigilanza e controllo non perdono il proprio carattere neppure laddove il comando incida, con contenuto conformativo, sull’attività di una pluralità di soggetti.

Tale circostanza, infatti, lungi dal revocare in dubbio il carattere unitario dell’attività svolta dall’autorità di settore, costituisce un mero corollario del tipico carattere erga omnes degli atti di regolazione.

4.2. Per le ragioni sin qui esposte, gli appelli proposti dall’Autorità avverso i capi delle sentenze in epigrafe che hanno annullato in parte le delibere numm. 109/08 (art. 2) e 111/08 devono essere dichiarati improcedibili.

5. A questo punto, il Collegio ritiene di esaminare i motivi di appello proposti (con argomenti, invero, in larga parte coincidenti) dalle società E., Totalgas e R. D. R. avverso le sentenze 4477/09, 4476/09 e 4475/09 per la parte in cui esse hanno dichiarato improcedibile il ricorso avverso la delibera n. 91/08 ed hanno respinto il ricorso avverso le delibere numm. 109/08 e 111/08 per ogni profilo diverso da quelli richiamati retro, sub 3.

5.1. In primo luogo, tuttavia, deve essere affrontata l’eccezione di carenza di interesse sollevata dalla difesa erariale, la quale ritiene che la delibera dell’Autorità n. 109/08 non fosse immediatamente impugnabile per non aver determinato alcun effetto pregiudizievole nella sfera giuridica delle imprese destinatarie (e, in particolare, per non aver comportato la spendita di un potere di stampo sanzionatorio).

Al contrario, la delibera in parola si sarebbe limitata ad imporre ai suoi destinatari meri obblighi di carattere notiziale in quanto tali inidonei di determinare compressioni dell’altrui sfera giuridica e, conseguentemente, insuscettibili di autonoma impugnativa.

5.1.2. L’argomento è infondato.

Al riguardo si osserva che le pronunce oggetto di gravame sono meritevoli di puntuale conferma, considerato che l’esercizio degli speciali poteri di vigilanza innestati in capo all’autorità ai sensi dell’art. 81, cit., se pure non concretante l’adozione di misure sanzionatorie, postula nondimeno l’esercizio di poteri autoritativi, in quanto tali suscettibili di incidere in modo pregiudizievole sulla sfera giuridica dei destinatari.

5.2. Una volta superata l’eccezione di inammissibilità del gravame, possono essere esaminati puntualmente i motivi di gravame proposti dalle società E., Totalgas e R. D. R..

5.2.1. Con un primo motivo, le società appellanti chiedono la riforma delle richiamate sentenze per la parte in cui hanno ritenuto che l’adozione delle delibere numm. 109/08 e 111/08 avesse determinato l’improcedibilità dei ricorsi proposti avverso la delibera n. 91/08, il cui contenuto dispositivo sarebbe stato interamente sostituito dalle prime.

Secondo le appellanti, il Tribunale non avrebbe adeguatamente considerato:

– che la stessa Autorità aveva manifestato (pur dopo l’adozione delle delibere numm. 109/08 e 111/08) l’intenzione di mantenere in vita la precedente delibera n. 91/08;

– che la delibera n. 91/08 era comunque rimasta in vigore per il periodo lugliodicembre 2008, sortendo effetti diretti nella sfera giuridica delle società appellanti, le quali vanterebbero comunque l’interesse alla rimozione di tali effetti, ovvero di sentir dichiarare l’illegittimità di tale delibera anche ai soli fini risarcitori;

– che non era neppure chiara l’intenzione dell’Autorità di sostituire e superare integralmente il sistema di controlli istituito con la delibera n. 91/08 all’indomani dell’entrata in vigore delle delibere numm. 109/08 e 111/08.

5.2.1.1. Il motivo non può essere condiviso.

Contrariamente a quanto dedotto dalle odierne appellanti, infatti, il T.A.R. ha correttamente rilevato che l’adozione della delibera n. 109/08 ha determinato l’intergale superamento dei criteri di indagine che erano stati sottesi all’adozione della delibera n. 91/08 e che non sussistesse alcun interesse ulteriore alla coltivazione dell’impugnativa avverso la delibera da ultimo richiamata, anche perché i dati acquisiti all’esito delle rilevazioni disposte in base a tale delibera non erano in alcun modo stati utilizzati ai fini dell’esercizio del potere di vigilanza.

La pronuncia in esame risulta, altresì meritevole di conferma laddove ha rilevato che l’impostazione concettuale su cui si fonda l’impianto della delibera n. 109/08 (esame circa il margine di contribuzione ovvero – per le imprese rientranti nel c.d. "campione prezzo Italià – esame circa il c.d. "staccò del prezzo) risultava integralmente alternativo e sostitutivo – con affetto retroattivo – rispetto a quello sulla cui base era stata impostata la delibera n. 91/08 (la quale fondava l’indagine sui margini operatovi lordi per unità di prodotto).

Né può affermarsi che residui in capo alle appellanti un interesse all’impugnativa della delibera n. 91/08 neppure sotto la specie dell’interesse strumentale alla futura proposizione di un’azione risarcitoria.

Sotto tale aspetto, se per un verso è vero che il comma 3 dell’art. 34 del c.p.a. statuisce (con disposizione di carattere processuale da ritenersi applicabile anche ai processi in corso alla data del 16 settembre 2010) che "quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori"; per altro verso deve ritenersi che gravi sul soggetto istante quanto meno un onere di allegazione di elementi concreti i quali depongano nel senso del’effettiva sussistenza di un interesse ai fini risarcitori.

E’ evidente che non sarà necessaria in siffatte ipotesi la prova piena del fatto illecito generatore di danno; ma neppure può ammettersi (in base a una sorta di "errore pendolare’) che la mera e indimostrata allegazione di un generico interesse ai fini risarcitori possa rappresentare un vero e proprio passepartout attraverso il quale scardinare (rectius: aggirare) il dato oggettivo costituito dall’insussistenza di un interesse all’ulteriore coltivazione del ricorso e attraverso cui far surrettiziamente rientrare nel giudizio un interesse all’impugnativa di cui si sia in concreto accertata l’insussistenza.

Ebbene, riconducendo i principi appena delineati alle peculiarità del caso di specie, non è dato comprendere per quali ragioni un’attività di carattere meramente notiziale possa aver sortito la lamentata " (interferenza) irragionevole e sproporzionata con l’esercizio delle proprie libertà economiche", atteso che i dati così acquisiti non sono stati utilizzati.

5.2.2. Con un secondo motivo, le società appellanti chiedono la riforma delle richiamate sentenze per la parte in cui non hanno rilevato che le delibere numm. 91/08 e 109/08 hanno introdotto, nei fatti, un generalizzato sistema di controllo sui prezzi, con preclusione di qualsiasi variazione di prezzo dei prodotti petroliferi che non fosse giustificata dall’andamento dei costi.

In definitiva, le delibere in questione sarebbero illegittime per violazione del principio di libertà di iniziativa economica ( art. 41, Cost.), nonché del principio di ragionevolezza di cui all’art. 2, Cost.

In via subordinata alla declaratoria di illegittimità costituzionale delle più volte menzionate delibere, le società appellanti chiedono che venga sollevata questione di legittimità costituzionale in relazione al complesso meccanismo delineato dai commi 16 e 18 dell’art. 81, d.l. 112 del 2008, per avere essi superato il regime di liberalizzazione dei prezzi nei settori interessati, istituendo al contempo un meccanismo di prezzi massimi determinati in relazione al MOL, ovvero al margine di contribuzione.

5.2.2.1. Il motivo non può trovare accoglimento.

Si deve precisare in via preliminare che le osservazioni che qui di seguito si svolgeranno restano limitate all’ambito di operatività della delibera n. 109/08, mentre (per le ragioni dinanzi esposte sub 5.2.1.1.) esse non incidono sulla delibera n. 91/08 avverso la quale è stato proposto un ricorso dichiarato improcedibile con decisione nelle presente sede puntualmente confermata.

Nel merito il motivo di gravame è infondato in quanto non appare in alcun modo possibile affermare che le delibere impugnate in primo grado abbiano determinato il superamento del sistema di libertà dei prezzi nei settori oggetto dell’intervento normativo del 2008, ovvero che lo abbiano sostituito con un sistema spurio di prezzi amministrati.

D’altronde, le stesse appellanti ammettono che il sistema delineato dall’A.E.E.G. non imponesse in modo diretto un determinato livello di prezzi, lamentando – piuttosto – che il sistema di indicatori fondato sul margine contributivo e sul c.d. "staccò del prezzo rappresentasse una sorta di vincolo indiretto tale da orientare in modo sostanzialmente coattivo le scelte imprenditoriali degli operatori del settore.

L’argomento non può essere condiviso, atteso che: a) il richiamato sistema di indicatori non imponeva né direttamente, né indirettamente la fissazione di un determinato livello di prezzo; b) tale sistema risultava ragionevolmente incentrato sull’analisi di alcuni dati contabili i quali forniscono un’attendibile indicazione (sia pure, soltanto di primo livello) circa la possibilità che un certo operatore abbia operato in violazione del divieto di traslazione dell’imposta; c) il superamento dei valori indicativi rinvenienti dai predetti indicatori di primo livello non costituiva in alcun modo la "prova reginà circa l’avvenuta violazione del divieto, costituendo – piuttosto – un mero indice dell’opportunità di approfondire le attività di verifica nei confronti di una più ristretta cerchia di operatori. Ebbene, questo modus procedendi risultava ancora una volta limitato entro il quid minimum necessario a dare pratica attuazione a una scelta normativa improntata a evidenti finalità redistributive e non era in alcun modo idoneo a costituire in danno degli operatori una sorta di presunzione di violazione, sol che fossero stati superati i parametri di riferimento in tal modo congruamente individuati.

Per le ragioni appena individuate, deve concludersi nel senso che né l’art. 81 del d.l. 112 del 2008, né le delibere dell’A.E.E.G. oggetto di impugnativa avessero introdotto un sistema di prezzi amministrati, ovvero avessero violato (sia pure, in via soltanto indiretta) il principio di libertà di iniziativa economica sotto la specie della piena libertà nella fissazione dei prezzi e nella determinazione della struttura dei costi.

Conseguentemente, devono essere dichiarate manifestamente infondate le dedotte questioni di legittimità costituzionale relative a presunte violazioni degli articoli 2 e 41, Cost.

5.2.3. Per le ragioni dinanzi richiamate sub 5.2.2.1 risulta infondato anche il terzo motivo di gravame, con cui le società appellanti lamentano che le richiamate delibere abbiano violato il principio di liberalizzazione delle attività di importazione, esportazione, trasporto, dispacciamento e distribuzione del gas naturale (direttive 98/30/CE e 2003/55/CE; art. 1, l. 239 del 2004).

Ed infatti, per le ragioni appena esposte (e per le ulteriori che fra breve si esporranno):

– non può in alcun modo affermarsi che le delibere dell’A.E.E.G. abbiano limitato l’accesso o l’esercizio alle attività di cui sopra (oltretutto, il motivo in questione risulta limitato alle sole attività relative al gas naturale e non agli ulteriori prodotti energetici coinvolti dalla presente decisione);

– anche a voler limitare l’esame della questione ai soli profili relativi alla libertà nella determinazione dei prezzi, deve confermarsi che il complessivo sistema delineato dal legislatore del 2008 e tradotto nella pratica ad opera dell’Autorità non era finalizzato al controllo/calmieramento dei prezzi, bensì a rendere effettiva una scelta di politica fiscale e a monitorarne le possibili violazioni attraverso un’indagine sulle scelte economiche rilevanti;

– se la scelta normativa sottesa alla previsione di cui all’art. 81, cit. (e alle conseguenti delibere attuative) era volta al perseguimento di scopi di natura fiscale e se (come si è osservato infra, sub 5.2.2.1.) le autorità italiane hanno a tal fine utilizzato strumenti non eccedentari rispetto allo scopo perseguito, non può rilevarsi nel caso di specie alcuna violazione delle pertinenti disposizioni comunitarie in tema di liberalizzazione dei mercati energetici. Al contrario, gli atti contestati ricadono nel campo di applicazione dell’imposizione diretta la quale, nell’attuale stadio di evoluzione dell’ordinamento comunitario non risulta interessata da disposizioni di armonizzazione ovvero da interventi di riavvicinamento delle legislazioni, se non in settori marginali che nella specie non vengono in rilievo (TFUE, Parte III, Tit. VII).

5.2.4. Con un quarto motivo, le società appellanti chiedono la riforma delle richiamate sentenze per la parte in cui non hanno rilevato:

– che le delibere oggetto di impugnativa hanno introdotto un pervasivo divieto di aumento del margine operativo lordo esistente in un certo momento storico, imponendo alle stesse di lasciare inalterato nel corso del tempo il rapporto differenziale fra costi e ricavi;

– che, in tal modo operando, l’Autorità avrebbe limitato in modo irragionevole la libertà dell’imprenditore di determinare le proprie strategie commerciali e di penetrazione sul mercato, determinando un’illegittima e forzosa cristallizzazione delle stesse (di tanto, sarebbe prova puntuale nell’ambito della Relazione al parlamento predisposta dalla stessa Autorità ai sensi del comma 18 dell’art. 81, d.l. 112, cit.);

– che le richiamate delibere avrebbero determinato (fra gli altri) il paradossale effetto di svantaggiare oltremodo le imprese le quali, per mero accidente, al momento di entrata in vigore del d.l. 112, cit. avessero impostato un basso differenziale fra prezzi al consumo e costi: a carico di tali imprese il richiamato sistema di cristallizzazione delle scelte pregresse avrebbe operato in modo doppiamente svantaggioso.

Anche in questo caso, in via subordinata alla declaratoria di illegittimità delle più volte menzionate delibere, le società appellanti chiedono che venga sollevata questione di legittimità costituzionale in relazione al complesso meccanismo delineato dai commi 16 e 18 dell’art. 81, d.l. 112 del 2008, per avere essi instaurato un regìme violativo del principio di libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41, Cost.

5.2.4.1. Il motivo è infondato.

Per le ragioni già in precedenza evidenziate (in particolare, sub 5.2.2.1) deve escludersi che l’effetto determinato dalle delibere impugnate sia stato quello di vietare in assoluto un qualunque aumento del margine operativo lordo esistente in un certo momento storico, ovvero di imporre alle imprese operanti nel settore energetico di lasciare inalterato nel corso del tempo il rapporto differenziale fra costi e ricavi esistente a una certa data.

Per le medesime ragioni, nessuno svantaggio comparativo è stato sortito nei confronti delle imprese le quali, in un certo momento storico, avessero optato per un basso differenziale fra prezzi al consumo e costi. Anche nei confronti di tali imprese, infatti, il meccanismo delineato dall’Autorità non imponeva (come, pure, lamentato dalle appellanti) il mantenimento dei pregressi prezzi di vendita.

Inoltre, si osserva che anche in questo caso risulta manifestamente infondata la dedotta questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 41, Cost., dal momento che il complessivo sistema delineato dall’art. 81, d.l. 112, cit. (e declinato in pratica dalle delibere oggetto di impugnativa) non ha né immediatamente né mediatamente limitato la libertà degli imprenditori del settore di stabilire il livello dei prezzi ritenuto più adeguato al fine di perseguire le proprie strategie di impresa.

5.2.5. Con il quinto motivo, le società appellanti chiedono la riforma delle richiamate sentenze per la parte in cui non hanno rilevato:

– che le delibere oggetto di impugnativa hanno irragionevolmente imposto alle società operanti nei settori energetici di fornire una "adeguata motivazionè a fronte di qualunque variazione dei margini operativi, ritenendo nei fatti giustificabili solo le variazioni riconducibili alla struttura dei costi ovvero a "situazioni particolari adeguatamente motivate";

– che, in tal modo operando, l’Autorità avrebbe delineato un’ipotesi di inversione dell’onere della prova, addossando all’operatore la prova circa la mancata traslazione sui consumatori dell’onere impositivo addizionale;

– che i fattori che possono indurre alla formazione dei prezzi "sono innumerevoli e che il regime liberoconcorrenziale ha proprio lo scopo di consentire che il prezzo si possa formare (…) sulla base di strategie imprenditoriali liberamente determinate dagli imprenditori" (ricorso in appello, pag. 44);

– che l’onere in tal modo imposto agli operatori del settore, oltre che essere ispirato a "logiche dirigiste" (ivi, pag. 45), risulterebbe oltretutto privo di un effettivo fondamento normativo, non potendosi invocate a tal fine la previsione di cui all’articolo 2, comma 20, lettera a) della l. 481 del 1995.

5.2.5.1. Il motivo, che è in gran parte ripetitivo, è infondato.

Nella presente sede, basti precisare che la richiesta di fornire "adeguata motivazionè nei casi di variazione positiva del margine contributivo o dello "staccò di prezzo, non costituisce in alcun modo una violazione dei richiamati princìpi.

In particolare, il meccanismo delineato dalle delibere in questione non determina alcuna inversione dell’onere della prova in senso proprio, dal momento che l’attività conoscitiva demandata all’A.E.E.G. non risulta incentrata sul rapporto giuridico di imposta in quanto tale. Al contrario, il meccanismo in questione risulta finalizzato al ben diverso scopo di fornire elementi conoscitivi strumentali all’esercizio di un generalizzato potere di vigilanza. In tale ambito, il criterio parametrato all’entità dei margini operativi risulta ragionevole e coerente con le finalità perseguite e non determina a carico dell’operatore un’inversione dell’onere della prova in senso proprio, atteso che la circostanza oggetto di indagine non viene direttamente utilizzata nell’ambito delle attività relative al rapporto giuridico di imposta in senso proprio.

Del tutto legittimamente, poi, nel richiedere le richiamate informazioni, l’autorità ha invocato la previsione generale di cui alla lettera a) del comma 20 della l. 481 del 1995, secondo cui "per lo svolgimento delle proprie funzioni (l’Autorità) richiede, ai soggetti esercenti il servizio, informazioni e documenti sulla loro attività". Si tratta di un tipico corollario dei poteri di acquisizione documentale ordinariamente spettanti all’Autorità nelle ipotesi in cui alla stessa sia demandato il potere di vigilanza su un certo settore di attività.

5.2.6. Il sesto motivo, nella parte in cui non è ripetitivo, prospetta la tesi secondo cui "in un mercato liberalizzato non (è) possibile individuare metodologie atte a controllare l’osservanza di un divieto di traslazione di oneri impositivi sui prezzi" (ricorso in appello, pag. 50).

L’affermazione in questione, a ben vedere, non si limita a contestare il quomodo dell’attività di vigilanza demandata all’Autorità di settore, ma ne contesta in radice l’utilità o possibilità, censurando in sostanza la stessa legge.

Si osserva, tuttavia, incontrario che la difficoltà e la complessità proprie dell’esercizio di un potere di vigilanza su settori particolarmente sensibili e densi di implicazioni deve indurre a dotare le Autorità di settore di strumenti conoscitivi adeguati e proporzionati allo scopo (quali quelli nella specie individuati) e non può certo – come auspicato dalle appellanti – indurre a un atteggiamento desistente, il quale faccia derivare dalle difficoltà operative un limite insuperabile all’esercizio stesso dell’attività di vigilanza.

5.2.7. Con il settimo motivo, le società appellanti chiedono la riforma delle richiamate sentenze per la parte in cui: a) hanno omesso di esaminare le q.l.c. relative al d.l. 112 del 2008 sollevate in relazione all’impugnativa della delibera n. 91/08 (impugnativa dichiarata improcedibile); b) hanno dichiarato irrilevanti le dedotte q.l.c. sollevate in relazione all’impugnativa della delibera n. 109/08.

5.2.7.1. Il motivo non può trovare accoglimento poiché è pienamente condivisibile la tesi dell’irrilevanza ai fini del decidere delle questioni di legittimità costituzionale proposte avverso il d.l. 112 del 2008 per la parte in cui esso impone una maggiorazione del’IRES a carico di alcune società operanti nei settori energetici.

A tacer d’altro (e rinviando sul punto a quanto esposto retro, sub 3), si osserva che la cognitio in ordine ai presupposti soggettivi e oggettivi dell’imposizione del tributo in parola esula in radice dallo stesso ambito di giurisdizione del G.A. il quale, pertanto, non potrebbe comunque conoscere dell’ambito materiale della disciplina della cui legittimità costituzionale si discute.

Né può giungersi a conclusioni diverse in relazione al fatto che la platea dei soggetti sottoposti al potere straordinario di vigilanza fosse determinata per relationem in relazione ai soggetti sottoposti alla maggiorazione di imposta.

Si osserva al riguardo che, siccome nella specie viene in rilievo l’esercizio del potere di vigilanza disciplinato dal d.l. 112 del 2008 e non di quello impositivo (peraltro, demandato alla giurisdizione di altro plesso giudiziario), anche la questione della legittimità delle regole determinative della platea dei soggetti interessati deve essere riguardata in relazione alla consistenza degli obblighi in concreto imposti e non in relazione alla diversa questione della legittimità o meno del potere impositivo in quanto tale.

5.2.8. Con l’ottavo motivo, le società appellanti chiedono la riforma delle richiamate sentenze per la parte in cui hanno ritenuto infondata la questione di legittimità de jure communitario della disciplina di cui all’art. 81 del d.l. 112 del 2008 sotto la specie del rispetto della disciplina comunitaria in tema di aiuti di Stato alle imprese.

5.2.8.1. Il motivo è infondato.

Al riguardo si ritiene che del tutto correttamente il T.A.R. abbia escluso che l’art. 81 del d.l. 112 del 2008 (nell’assoggettare a maggiore imposta le imprese energetiche di maggiori dimensioni) abbia contestualmente istituito un regime di aiuti di Stato in favore delle imprese minori operanti nel medesimo settore.

In particolare, si osserva che il meccanismo in questione, lungi dal concretare il tipico meccanismo di selettività "in bonam partem" tipico delle misure di aiuti di Stato ai sensi degli articoli 107 e 108 del TFUE (già: artt. 87 e 88 del TCE), determina un meccanismo di maggior rigore fiscale a carico di talune imprese, la cui operatività resta estranea alla disciplina tipica degli aiuti di Stato alle imprese.

Appare dirimente osservare, poi, che ai sensi dell’art. 107 TFUE, perché si configuri un’ipotesi di aiuto di Stato (anche nella forma dell’incentivo di carattere fiscale) è indefettibile la circostanza per cui si faccia ricorso a "risorse statalì (in particolare, attraverso la rinunzia al maggior gettito che sarebbe possibile conseguire non applicando la misura fiscale di favore), laddove il sistema nel suo complesso è idoneo – al contrario – a determinare un maggiore gettito per l’Erario (si veda sul punto il punto 8 della Comunicazione della Commissione europea sull’applicazione delle norme relative agli aiuti di Stato alle misure di tassazione diretta delle imprese – in GUCE C384 del 10 dicembre 1998).

Per le ragioni appena esaminate deve escludersi che nel caso di specie la fissazione del particolare regime normativo di cui ai commi 16 e 18 dell’art. 81, d.l. 112 del 2008 abbia istituito un regime configurabile quale aiuto di Stato ai sensi degli articoli 107 e 108 del TFUE, con la conseguenza che non sussistano i presupposti per sollevare una questione per rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia in relazione alla compatibilità con il Trattato istitutivo di tali misure, non venendo nella specie in rilievo una questione relativa all’interpretazione e all’applicazione del diritto comunitario primario e derivato (art. 267 TFUE; già art. 234 TCE).

La questione, sulla base delle considerazioni dinanzi svolte, deve essere risolta alla luce della c.d. "teoria dell’atto chiaro’, sulla scorta della quale non si fa luogo a sollevare una questione per rinvio pregiudiziale quante volte (come nel caso di specie) l’interpretazione del diritto comunitario si imponga "con tale evidenza da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata" (in tal senso: Corte di giustizia, sent. 6 ottobre 1982 in causa C283/81 -CILFIT -).

5.2.9. Le argomentazioni dinanzi svolte sub 5.2.1.1. (con cui si sono respinti i motivi di appello avverso le sentenze in epigrafe per la parte in cui avevano dichiarato improcedibile l’impugnativa avverso la delibera dell’Autorità n. 91/08) esimono il Collegio dall’esame del nono motivo di appello, la cui articolazione presuppone l’accoglimento dei richiamati motivi.

5.3. In base a quanto esposto infra, sub 5.2, i ricorsi in appello numm. 514/09, 515/09 e 516/09 devono essere respinti.

6. Deve, altresì, essere respinto l’appello incidentale proposto dalle società S. I. s.p.a., S. I. E&P s.p.a., Aquila s.p.a., S. I. Aviazione s.p.a., Aico Uno s.r.l. e Dilca Due s.r.l. nell’ambito del ricorso n. 528/2010, dal momento che le ragioni di tale gravame sono in larga parte similari a quelle articolate nell’ambito dei ricorsi numm. 514/09, 515/09 e 516/09 (pur variando l’ordine di articolazione dei motivi di appello).

Pertanto, in relazione ai singoli motivi dell’appello incidentale, deve farsi espresso rinvio alle argomentazioni ostative dinanzi esposte sub 5.2.

7. Per le ragioni sin qui esposte i ricorsi in epigrafe, che devono essere decisi in modo congiunto, devono essere così definiti:

– i ricorsi numm. 514/2010 (E.), 515/2010 (T.) e 516/2010 (Raffinerie di Roma) devono essere respinti;

– i ricorsi numm. 521/2010, 526/2010, 528/2010, 530/2010, 531/2010, 532/2010, 534/2010, 536/2010, 537/2010, 722/2010, 724/2010, 726/2010, 728/2010 e 731/201, proposti dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas devono essere dichiarati improcedibili;

– l’appello incidentale proposto dalle società S. I. s.p.a., S. I. E&P s.p.a., Aquila s.p.a., S. I. Aviazione s.p.a., Aico Uno s.r.l. e Dilca Due s.r.l. nell’ambito del ricorso n. 528/2010 deve essere respinto.

La complessità e parziale novità delle questioni coinvolte dal presente giudizio giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, così decide:

– respinge i ricorsi numm. 514/2010, 515/2010 e 516/2010;

– dichiara improcedibili i ricorsi numm. numm. 521/2010, 526/2010, 528/2010, 530/2010, 531/2010, 532/2010, 534/2010, 536/2010, 537/2010, 722/2010, 724/2010, 726/2010, 728/2010 e 731/2010;

– respinge l’appello incidentale proposto dalle società S. I. s.p.a., S. I. E&P s.p.a., Aquila s.p.a., S. I. Aviazione s.p.a., Aico Uno s.r.l. e Dilca Due s.r.l. nell’ambito del ricorso n. 528/2010.

Dispone l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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