Cons. Stato Sez. VI, Sent., 20-07-2011, n. 4383 Guardie particolari e istituti di vigilanza privata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel corso del 2003, il sig. C. V. (imprenditore del settore della vigilanza privata) aveva chiesto alla Prefettura di Varese il rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 134 r.d. 18 giugno 1931, n. 773 per la gestione di un istituto di vigilanza privata.

Con un primo provvedimento negativo in data 29 dicembre 2003, il Prefetto aveva respinto l’istanza motivando sul cospicuo numero di guardie private giurate già operanti sul territorio provinciale, nonché sul superamento del c.d. "rapporto tipicò in termini numerici fra forze di polizia e operatori di vigilanza privata che il rilascio di un ulteriore titolo avrebbe determinato.

Il diniego veniva impugnato dal C. al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, il quale, con ordinanza n. 1122/04, sospendeva il diniego osservando, in particolare, che l’organo statale non aveva esplicitato le ragioni per cui si riteneva che il rilascio di un’ulteriore autorizzazione potesse risultare lesiva per le esigenze di ordine pubblico.

All’indomani dell’ordinanza di sospensione, la Prefettura provvedeva a rivalutare l’istanza, ma perveniva nuovamente ad un esito negativo. E infatti, con l’atto in data 22 settembre 2005 (fatto oggetto di impugnativa in primo grado), il Prefetto di Varese riteneva che, avuto riguardo alla popolazione residente, alle caratteristiche produttive dell’area interessata e alle complessive esigenze di sicurezza pubblica ivi esistenti, il numero di istituti già operanti appariva senz’altro sufficiente, ragione per cui non emergeva l’esigenza di autorizzare un ulteriore istituto. Inoltre, l’organo statale riteneva che la sostanziale saturazione del mercato locale comportava che, in caso di rilascio di un’ulteriore autorizzazione, gli operatori del settore avrebbero verosimilmente iniziato una competizione sul prezzo e la qualità dei servizi offerti, con nocumento dei diritti dei lavoratori e pregiudizio per il pubblico interesse.

Il provvedimento veniva impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia il quale, con la sentenza oggetto del presente appello, accoglieva il ricorso e annullava il diniego.

Secondo il Tribunale amministrativo, in particolare, l’atto non risulta ispirato dall’esigenza di salvaguardare l’ordine pubblico, ma è mosso, piuttosto, dalla spuria intenzione di prevenire possibili violazioni in ambito lavoristico, fiscale e tributario, nonché dalla finalità – parimenti spuria – di salvaguardare gli equilibri concorrenziali fra gli operatori già presenti sul mercato locale. Inoltre il provvedimento non dà conto delle ragioni per cui il rilascio di un’ulteriore autorizzazione risulterebbe idonea a recare pregiudizio all’ordine pubblico.

La sentenza veniva impugnata in appello dal Ministero dell’interno, il quale ne lamentava l’erroneità articolando due motivi di gravame:

1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 134 e 136 del T.U. 18 giugno 1931, n. 773;

2) Erroneità ed ingiustizia.

All’udienza pubblica del giorno 15 aprile 2011 il ricorso veniva trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. Giunge alla decisione l’appello del Ministero dell’interno avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia con cui è stato accolto il ricorso di C. V., imprenditore del settore della vigilanza privata ed è stato annullato l’atto del Prefetto di Varese con cui era stato negato il rilascio dell’autorizzazione (licenza) di pubblica sicurezza per la gestione di un nuovo istituto ai sensi dell’art. 134 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (T.U.L.P.S.).

2. L’appello è infondato.

2.1. Il diniego dell’art. 136, secondo comma, T.U.L.P.S. (secondo cui la licenza di P.S. di cui al precedente art. 134 "(può) essere negata in considerazione del numero o della importanza degli istituti già esistenti") non può essere fondato sul mero dato numerico delle licenze già in essere, ma va integrato con considerazioni di contesto, basate sul complesso di circostanze rilevanti nel caso di specie (es.: caratteristiche sociali, economiche e demografiche dell’area interessata, andamento dei fenomeni di criminalità, ecc.).

L’atto di diniego deve valutare se l’interesse pubblico sia in concreto danneggiato dal rilascio di una nuova autorizzazione, atteso che la concorrenza può alimentare le migliori condizioni di fruibilità del servizio e una più idonea e razionale organizzazione e gestione delle risorse (Cons. Stato, VI, 5 dicembre 2005, n. 6948; 20 aprile 2006, n. 2197). Inoltre il diniego va fondato su elementi che, prendendo le mosse dal dato numerico, indichino puntualmente per quali ragioni il rilascio di un’ulteriore licenza risulterebbe idonea a determinare un nocumento per l’ordine e la sicurezza pubblica.

Nondimeno, l’esame dei documenti di causa palesa che il diniego qui risulta fondato su considerazioni avulse rispetto a quelle prese in considerazione dal legislatore.

Invero l’atto impugnato, pur fornendo dati di dettaglio sulle caratteristiche socioeconomiche della zona interessata e all’andamento della delittuosità, si limita a concludere sul punto nel senso della sufficienza delle strutture già in essere al fine del soddisfacimento delle esigenze di vigilanza e custodia dei beni privati. Manca l’indicazione di elementi concreti attestanti che il rilascio di un’ulteriore licenza risulterebbe idonea a determinar nocumento a specifici interessi di matrice pubblicistica.

Vero è che il provvedimento si fa carico di svolgere una disamina su: a) il numero di istituti già autorizzati in ambito provinciale; b) il rischio di eccesso di concorrenza e di pressione al ribasso sulle tariffe che il rilascio di una nuova licenza determinerebbe; c) la consistenza numerica delle forze di polizia esistenti nell’area interessata. Nondimeno, tali considerazioni non concernono la salvaguardia di interessi pubblici, ma appaiono piuttosto ispirate ad una soggettiva percezione della miglior situazione in tema di offerta di servizi di vigilanza ed in tema di assetto organizzativo degli operatori.

Inoltre, il diniego pare poggiare sull’intento di evitare un’indiscriminata proliferazione delle attività di vigilanza privata, che sarebbe idonea a compromettere serietà e regolarità del servizio, frustrando l’esigenza di un puntuale controllo sul funzionamento e determinando un’inammissibile spinta concorrenziale, presunta come negativa per la qualità dei servizi resi, e il rischio di violazioni della normativa lavoristica e tributaria.

Si tratta, osserva il Collegio, di notazioni che non concernono la ponderazione dei prevalenti interessi pubblici nella specie coinvolti, ma risultano piuttosto generiche e presuntive, e sono come tali inidonee alla ratio del richiamato art. 136. Essendo patentemente determinanti il giudizio che è a base del diniego, ne causano l’illegittimità per eccesso di potere.

2.2. Vale nondimeno rammentare che l’art. 4 d.l. 8 aprile 2008, n. 59 (convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2008, n 101) ha abrogato il secondo comma dell’art. 136 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, in ossequio alla sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee 13 dicembre 2007, in causa C465/05 (Commissione europea vs. Italia), la quale ha sancito – fra l’altro – l’illegittimità deiure communitario di quella previsione per violazione dei principi degli articoli 43 e 49 del Trattato CE in tema di diritto di stabilimento e libera circolazione dei servizi.

3. Per le ragioni sin qui esposte l’appello in epigrafe deve essere respinto.

Sussistono giusti motivi onde disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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