Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-07-2011) 15-07-2011, n. 27951 Vendita di prodotti industriali con segni mendaci

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 2 luglio 2010, la Corte di appello di Napoli, confermava la sentenza del Tribunale di Napoli, in data 25/5/2007, che aveva condannato W.G.R. alla pena di mesi dieci di reclusione ed Euro 600,00 di multa per i reati di importazione di prodotti con marchi falsi e ricettazione degli stessi, con riferimento ad una partita di borse e portafogli contraffatti, marca "Alviero Martini" importata dalla Cina.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti, ed equa la pena inflitta.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando due motivi di gravame.

Con il primo deduce violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al reato di cui all’art. 474 c.p..

Al riguardo eccepisce che l’importazione non si sarebbe realizzata in quanto, al momento del sequestro, la merce era ancora in transito, nel porto di (OMISSIS), ed il destinatario, vale a dire la S.n.c. Corsetteria di Roma, non l’aveva ancora accettata, di conseguenza la merce doveva considerarsi non ancora introdotta nel territorio dello Stato italiano. In secondo luogo eccepisce la totale difformità fra i modelli originali "Alviero Martini" e quelli sequestrati, assumendo che trattasi di falso grossolano e quindi di reato impossibile.

Con il secondo motivo eccepisce il vizio della motivazione con riferimento all’art. 648 c.p. In proposito eccepisce che non si è mai verificata alcuna traditio della merce. Deduce, inoltre che, trattandosi di reato istantaneo l’azione di acquistare o ricevere cose provenienti da delitto è iniziata e si è conclusa in Cina, per cui l’azione penale non poteva essere iniziata per mancanza della richiesta del Ministro della Giustizia, ex art. 10 c.p. Infine eccepisce l’inammissibilità del concorso del reato di cui all’art. 474 c.p., con quello di cui all’art. 648 c.p..

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Quanto all’eccezione relativa all’introduzione della merce sul territorio dello Stato, occorre rilevare che la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato da tempo che l’introduzione nel territorio dello Stato si ravvisa per il solo fatto che la merce sia stata introdotta nelle acque territoriali italiane (12 miglia marine verso l’esterno della linea doganale; D.P.R. n. 47 del 1973, art. 29), anche se non abbia superato la barriera doganale perchè scoperta e sequestrata nel corso degli appositi controlli (cfr.

Cass., Sez. 3, n. 9770/78, CED rv. 139744; conf. CED rv. 173984 e 173110, Sez. 6, n. 11739/90, Rv. 185167 e da ultimo, Sez. 5, Sentenza n. 7064 del 29/01/2009 Ud. (dep. 18/02/2009) Rv. 243235).

Non può dubitarsi, pertanto, nel caso di specie, della sussistenza degli estremi della condotta di introduzione nello Stato di prodotti con segni falsi, di cui all’art. 474 c.p..

Quanto all’eccezione di falso grossolano, le questioni sollevate attengono a censure in punto di fatto, come tali inammissibili, non essendo concepibile un intervento di questa Corte in sovrapposizione argomentativa rispetto alle conclusioni assunte dai giudici del merito.

Ugualmente infondate sono le eccezioni sollevate con il secondo motivo di ricorso in ordine al reato di ricettazione.

Al riguardo deve essere respinta l’eccezione di non perfezionamento del reato per la mancata consegna della merce, sequestrata dalla polizia giudiziaria, prima che fosse consegnata al destinatario.

Essendo pacifico che la ricettazione è reato istantaneo, non ritiene questo Collegio che la consegna della cosa sia elemento strutturale della condotta, una volta che sia stato raggiunto l’accordo fra le parti per l’acquisto della merce di provenienza illecita.

Al riguardo si richiama la sentenza n. 17821/2009 di questa Sezione che così si è espressa:

"Nella più recente pronuncia che si registra sul tema della individuazione del momento consumativo del delitto di ricettazione, si è infatti affermato il principio secondo il quale tale momento deve individuarsi in quello nel quale l’agente ottiene il possesso della cosa, non rilevando il mero accordo fra le parti. Più in particolare, si è ritenuto che, "avendo il reato di ricettazione carattere istantaneo, per individuare il momento consumativo occorre fare riferimento al momento in cui l’agente ottiene il possesso della cosa …Ne, ai fini della consumazione – ha puntualizzato la pronuncia che qui si esamina – assume alcun rilievo la nozione civilistica di perfezionamento dell’acquisto con l’incontro dei consensi; ed invero, all’accordo tra le parti può anche non seguire la traditio della ras, ed in tal caso, ricorrendo gli ulteriori presupposti, il soggetto risponderà, proprio in considerazione del principio che solo la consegna della cosa segna il momento consumativo del reato, di delitto tentato e non di delitto consumato" (Cass., Sez. 2A, 8 aprile 2008, Di Gabriele).

A tale orientamento, in linea con precedenti massime, anche se risalenti (Cass., Sez. 2A, 1 ottobre 1981, Borin; Cass., Sez. 2A, 7 luglio 1981, Diana; Cass., sez. 1A, 19 marzo 1979, Demetrio), se ne oppone invece altro, secondo il quale il delitto di ricettazione, nella ipotesi di acquisto, si consuma al momento dell’accordo fra cedente ed acquirente sulla cosa proveniente da delitto e sul prezzo (Cass., Sez. 2A, 6 luglio 1984, Ricardi; Cass., Sez. 6A, 18 gennaio 1982, Carta; Cass., Sez. 2A, 8 ottobre 1976, Messuti; Cass., Sez. 2A, 28 febbraio 1972, Cinturino).

A quest’ultima tesi questo Collegio ritiene di dover aderire. Se, da un lato, è infatti vero che le nozioni civilistiche non possono ritenersi di per sè vincolanti ai fini della ricostruzione degli istituti di diritto penale sostanziale che facciano ricorso a categorie, concetti o termini evocativi di istituti disciplinati da altri settori dell’ordinamento giuridico, dovendosi aver riguardo alle specifiche finalità ed alla positiva struttura delle norme in cui quegli istituti si trovano ad essere collocati, è pur sempre vero che, ove la norma penale non presenti peculiarità che valgano a connotare in termini diversi quella determinata nozione rispetto al significato che ad essa è attribuito da altro settore del diritto, una lettura "diversa" della stessa risulterebbe abritraria, prima ancora che eccentrica. Ove, dunque, l’"acquisto", che integra la condotta materiale del delitto di ricettazione, si sia realizzato, come nella specie, attraverso un contratto con effetti reali, non v’è ragione alcuna per la quale ritenere che, anche agli effetti penali, non debba trovare applicazione la disposizione dettata dall’art. 1376 c.c., in virtù della quale la proprietà o il diritto trasferito o costituito "si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato". Contrariamente all’assunto della pronuncia innanzi citata, dunque, la traditio della res, nella quale può ravvisarsi null’altro che un momento che pertiene all’adempimento del contratto, già perfezionato ed efficace (e che quindi ha già prodotto le sue conseguenze sul pano giuridico, con evidente compromissione degli interessi protetti dall’art. 648 c.p. che vuole impedire la circolazione, non soltanto materiale, ma anche giuridica, della cosa di origine delittuosa), non può ritenersi imposta dalla norma penale come elemento strutturale della fattispecie, al punto da contrassegnarne – sempre e comunque – la consumazione. Ciò è, d’altra parte, svelato, sullo stesso piano testuale, dal raccordo – evidentemente alternativo – che lega fra loro i termini "acquista" e "riceve" che compaiono nell’art. 648 c.p., comma 1, ove il secondo sta appunto a denotare (a differenza del primo) il passaggio materiale del bene proveniente da delitto, a prescindere dal relativo titolo giuridico. D’altra parte, non è senza significato la circostanza che in tema di stupefacenti (ove, a norma del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, è ugualmente punita la condotta di chi "acquista" o "riceve" tali sostanze), la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che per la consumazione del delitto non occorre che la droga sia materialmente consegnata all’acquirente, ma è sufficiente che si sia formato il consenso delle parti contraenti sulla quantità e qualità della sostanza e sul prezzo della stessa (Cass., Sez. 7A, 23 marzo 2007, confr, comp. in proc. Di Liberto; Cass., Sez. 4A, 9 marzo 2006, Sirice; Cass., Sez. 5A, 9 dicembre 2003, Bajtrami)".

Tanto premesso, deve escludersi che si tratti di reato consumato all’estero.

Infatti, ai sensi dell’art. 6 c.p., comma 2 "il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando l’azione o l’omissione che lo costituisce è ivi avvenuta in tutto od in parte, ovvero si è verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione od omissione".

Nel caso di specie la ditta commerciale dell’imputato ha sede in (OMISSIS), quindi è da (OMISSIS) – si deve presumere – che è partito l’ordinativo della merce contraffatta diretto al produttore con sede in Cina. Pertanto è in Italia che si è verificata una parte (quella più significativa) dell’azione rivolta all’acquisto della merce contraffatta.

Può essere affermato, pertanto, il seguente principio di diritto.

"nell’ipotesi di acquisto di merce contraffatta ordinata ad un produttore estero, il reato di ricettazione si considera commesso in Italia qualora l’ordine di acquisto sia partito dal territorio italiano".

Infine non è fondata l’eccezione di incompatibilità fra il reato di importazione di prodotti industriali con marchi falsi e quello di ricettazione, alla luce di quanto statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 23427 del 9.5.01, dep. 7.6.01, rv.

218771.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *