Cass. civ. Sez. III, Sent., 05-12-2011, n. 26021 Sentenza di condanna generica Ultra ed extrapetita

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 5-12 aprile 2000 Ma.Ca. assumeva che aveva stipulato con la s.p.a Aurora 2000, preliminare di vendita di una casa sita in (OMISSIS); che aveva ottenuto dal tribunale di Catania sentenza ex art. 2932 c.c.; che aveva intimato alla venditrice, passata in giudicato la sentenza, il rilascio dell’immobile; che in tale occasione aveva appreso che l’immobile era stato venduto con atto del 22.7.1988 a m.l., quanto all’usufrutto, M.G., S.S., M.M.G. ed Ca.Ch.An., quanto alla nuda proprietà, pur avendo trascritto la domanda sin dal 1987.

L’attore chiedeva la condanna dei convenuti al rilascio dell’immobile. I convenuti si costituivano, resistevano alla domanda e chiamavano in garanzia il notaio C.D., essendo a lei addebitale ogni profilo di irregolarità dell’atto, quanto alla mancata visura della trascrizione della domanda. La C. si costituiva ed eccepiva la prescrizione dell’azione e nel merito assumeva che al momento della stipula la trascrizione della domanda giudiziale del Ma. era stata cancellata, come da annotazione in calce.

Il Tribunale di Catania, sez. distaccata di Giarre, con sentenza n. 6/2003 rigettava la domanda, ritenendo che la trascrizione della domanda del Ma. era stata cancellata.

La corte di appello di Catania, con sentenza non definitiva del 20.9.2007, accoglieva l’appello principale del Ma., ritenendo che l’apparente cancellazione della sua trascrizione non risultava sottoscritta da alcuno, mentre tale apparente cancellazione risultava a sua volta eliminata, per cui – come risultava anche da una nota del Conservatore prodotta in appello – la trascrizione della domanda del Ma. non era mai stata cancellata. La corte di merito condannava i convenuti acquirenti a rilasciare l’immobile all’attore Ma.; accoglieva l’appello incidentale dei convenuti acquirenti e condannava il notaio C.D. al pagamento in loro favore "della somma che sarà stabilita, a titolo di risarcimento del danno". Condannava la Ras, assicuratrice chiamata in causa dalla C., a pagare il 55% delle somme da essa pagate in esecuzione di questa pronunzia.

Avverso questa sentenza proponeva ricorso per cassazione C. D..

Nel prosieguo del giudizio di merito la Corte disponeva c.t.u. al fine di accertare il valore di mercato attuale dell’appartamento oggetto dell’atto notarile. Quindi, con sentenza definitiva depositata il 25.5.2010, la Corte di appello di Catania condannava il notaio C.D. al pagamento della somma di Euro.

32.800,00, a titolo di risarcimento del danno, nei confronti di Ca.Ch.An., M.M.G., S. S. e M.G..

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione C. D..

Resistono con controricorso Ca.Ch.An., M. M.G., S.S. e M.G..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la nullità del procedimento per violazione dell’art. 278 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 nonchè il vizio motivazionale a norma dell’art. 360 n. 5 c.p.c. Assume la ricorrente che la sentenza non definitiva della Corte di appello di Catania del 20.9.2007 integrava solo una condanna generica sull’an del danno senza alcuna statuizione in merito all’esistenza di detto danno e che nel giudizio sul quantum non vi era alcun vincolo nè in merito all’effettiva esistenza di detto danno, nè sulla sua entità; che, quindi, erroneamente la sentenza impugnata riteneva che il giudizio di liquidazione doveva solo accertare il valore attuale dell’appartamento; che, in ogni caso erroneamente, era stato accertato il valore attuale dell’immobile e non quello alla data dell’atto notarile; che egualmente erroneamente non era stato tenuto conto del trasferimento coattivo dell’immobile in questione in favore di P.G., nell’ambito di una procedura esecutiva fondata su ipoteca anteriore alla trascrizione della domanda del Ma., con la conseguenza che in ogni caso gli acquirenti avrebbero subito l’evizione del bene.

2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1223 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 ed il vizio motivazionale della sentenza per aver liquidato il danno con riferimento al valore dell’appartamento alla data attuale e non con riferimento alla data dell’atto notarile.

3.1. I due motivi vanno esaminati congiuntamente. Essi sono infondati.

Va, anzitutto, osservato che le statuizioni contenute nella sentenza non definitiva non possono essere modificate o revocate con la sentenza definitiva, in quanto i singoli punti della prima possono essere sottoposti a riesame solo con le impugnazioni, mentre la non definitività concerne soltanto la non integralità della decisione della controversia, ma non anche la mutabilità, da parte dello stesso giudice, di ciò che è stato deciso (Cass. 16/02/2001, n. 2332).

3.2. La sentenza definitiva impugnata ha ritenuto che la sentenza non definitiva della stessa Corte, depositata il 20.9.2007, non si fosse limitata ad una condanna generica al risarcimento del danno, ma avesse anche accertato l’esistenza di tale danno, affermando che esso consisteva nel valore attuale dell’appartamento e che avesse rimesso alla sentenza definitiva solo la liquidazione di tale valore.

Ritiene questa Corte che tale assunto sia esatto.

4.1.E’ corretto in linea di principio che la pronunzia di condanna generica al risarcimento del danno integra solo un accertamento di potenziale idoneità a produrre conseguenze pregiudizievoli a prescindere dalla misura, ma anche dalla stessa concreta esistenza del danno, con la conseguenza che il giudicato formatosi su detta pronunzia non osta a che sul giudizio instaurato per la liquidazione venga negato il fondamento della domanda risarcitoria, alla stregua della constatazione che il danno non si sia in effetti prodotto, senza che ciò costituisca violazione del giudicato sull’an debeatur (Cass. 22.11.2000, n. 15066).

4.2. Tale principio trova applicazione non solo nell’ipotesi, specificamente prevista dall’art. 278 c.p.c., in cui risultando accertata la sussistenza di un diritto, ma essendo controversa la quantità della prestazione dovuta, il giudice su istanza di parte, si limiti a pronunciare con sentenza non definitiva, la condanna generica alla prestazione, disponendo con ordinanza che il processo prosegua per la liquidazione, ma altresì nel caso in cui l’attore proponga ab origine domanda limitata alla sola condanna generica, riservando a separato giudizio la domanda di determinazione della prestazione dovuta. La condanna generica, quindi, non esige alcun accertamento in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, ma postula soltanto l’accertamento di un comportamento almeno colposo imputabile al debitore (salve le ipotesi di cd. responsabilità oggettiva), non altrimenti giustificato dall’ordinamento, della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso, dell’esistenza di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, salva restando nel giudizio di liquidazione del quantum la possibilità di esclusione dell’esistenza stessa di un danno astretto da rapporto eziologico con il fatto illecito.

4.3. Tuttavia, qualora il giudice, per quanto richiesto unicamente di una condanna generica, non si sia limitato a statuire esclusivamente sulla potenzialità dannosa del fatto addebitato al soggetto condannato e sul nesso eziologico, ma abbia accertato in concreto e statuito sull’esistenza di detto danno, e questa statuizione sul punto non risulti impugnata per ultrapetizione, valgono i principi del giudicato anche in merito all’accertata esistenza in concreto del danno (Cass. 11.1.2001, n. 329; Cass. 18.1.2000, n. 495; Cass. 3.8.2002, n. 11651; in motivazione Cass. 11/02/2009, n. 3357).

4.4. Nella fattispecie il dispositivo della sentenza non definitiva statuiva la condanna del notaio al pagamento nei confronti degli acquirenti "della somma che sarà stabilita con sentenza definitiva, a titolo di risarcimento del danno".

Nella motivazione la stessa sentenza (pag. 13) accertava che il danno degli acquirenti ed al cui risarcimento era tenuto il notaio, andava "rapportato al valore dell’abitazione da rilasciare" e che "la reintegrazione non può che avvenire riconoscendo loro la somma necessaria ad acquistare, oggi, un appartamento delle stesse caratteristiche di quello da rilasciare".

Ne consegue che tale sentenza non definitiva costituiva non una condanna generica al risarcimento del danno, ma accertava l’esistenza di questo danno nella evizione dell’appartamento subita dagli acquirenti ed individuava il risarcimento in una somma pari al valore attuale di un appartamento similare, rimettendo all’ulteriore corso del giudizio solo la concreta quantificazione di tale somma da accertarsi attraverso una c.t.u..

Essendo questa la statuizione contenuta nella sentenza non definitiva, nel corso del successivo giudizio di liquidazione la corte di appello non poteva più esaminare le diverse questioni attinenti all’effettiva esistenza del lamentato danno o ad altre questioni attinenti al tempo della liquidazione del danno. Ciò avrebbe potuto costituire in astratto solo motivi di impugnazione avverso la sentenza non definitiva.

4.5. Correttamente, quindi, la sentenza impugnata ha ritenuto che tale valore dell’appartamento fosse quello accertato dal C.T.U..

5. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1223 e 1224 c.c. nonchè il vizio motivazionale della sentenza in punto di criteri di rivalutazione della somma alla quale ragguagliare gli interessi, calcolando erroneamente tali interessi sulla somma prima devalutata e poi rivalutata fino al soddisfo.

6. Il motivo è infondato.

Infatti il debito avente ad oggetto il risarcimento del danno da inadempimento di obbligazioni contrattuali diverse da quelle pecuniarie, quale è l’obbligazione per prestazione professionale di un notaio, ha natura di debito di valore, in quanto tiene luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe percepito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli, con la conseguenza che in tali casi il giudice è tenuto d’ufficio a tenere conto della svalutazione monetaria intercorsa prima della liquidazione, senza che il creditore abbia l’onere di allegare e dimostrare il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2 (Cass. 20/01/2009, n. 1335; Cass. 10/03/2010, n. 5843).

7. Il ricorso va, pertanto rigettato.

La ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dai resistenti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione sostenute dai resistenti e liquidate in complessivi Euro. 2700,00, di cui Euro. 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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