Cass. civ. Sez. III, Sent., 05-12-2011, n. 26014

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.M. conveniva, davanti al giudice di pace di Firenze, la Provincia di Firenze e la Regione Toscana chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un sinistro stradale causato da cinghiale.

Le parti convenute resistevano.

In particolare la Provincia di Firenze, in ipotesi di accoglimento della domanda, chiedeva che fosse dichiarato l’obbligo della Sompo Japan Insurance Company of Europe Limited di tenerla indenne.

La Sompo, chiamata in causa, chiedeva il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti dalla Provincia.

Il Giudice di pace, con sentenza del 13.9.2005, rigettava la domanda condannando la Provincia a rimborsare le spese in favore della Sompo.

Proponevano appello principale la Provincia ed incidentale il C..

La prima chiedeva, in parziale riforma della sentenza di primo grado, la condanna dell’attore a rimborsare le spese sostenute dalla Sompo;

il secondo la condanna della Provincia al risarcimento dei danni.

Gli appelli erano rigettati dal tribunale con sentenza del 15.9.2008.

La Provincia di Firenze ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo illustrato da memoria.

Resistono con controricorso il C. e la Sompo.

Motivi della decisione

Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza pubblicata una volta entrato in vigore il D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione; con l’applicazione, quindi, delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo 1^.

Secondo l’art. 366 – bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Segnatamente, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Sez. Un. 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 18 luglio 2007, n. 16002).

Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere formulato in modo tale da collegare il vizio denunciato alla fattispecie concreta (v. Sez. Un. 11 marzo 2008, n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità – a norma dell’art. 366 bis c.p.c. – del motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo od integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo).

La funzione propria del quesito di diritto – quindi – è quella di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (da ultimo Cass. 7 aprile 2009, n. 8463; v. anche Sez. Un. ord. 27 marzo 2009, n. 7433).

Con unico motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. – mancata applicazione del principio della soccombenza alla liquidazione delle spese di lite del terzo chiamato in garanzia.

Il quesito posto a pag. 15 del ricorso rispetta i requisiti di cui all’art. 366 bis c.p.c. Al quesito si ritiene di rispondere con il seguente principio di diritto.

"In tema di spese processuali, la palese infondatezza della domanda di garanzia proposta dal convenuto nei confronti del terzo chiamato comporta l’applicabilità del principio della soccombenza nel rapporto processuale instaurato tra convenuto e terzo chiamato, anche quando l’attore principale sia a sua volta soccombente nei confronti del convenuto, atteso che il convenuto chiamante sarebbe stato soccombente nei confronti del terzo anche in caso di esito diverso della causa principale" (v. anche Cass. 8.4.2010 n. 8363; cass. 5.9.2005 n. 1770; cass. 2.4.2004 n. 6514).

Il principio sulla cui base il giudice d’appello è tenuto a porre a carico del soccombente – che ha provocato e giustificato la chiamata – anche le spese sostenute dal terzo chiamato in causa a titolo di garanzia impropria dal convenuto, una volta rigettata la domanda principale, trova, infatti, una deroga nel caso in cui l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria.

Nella specie, la Sompo, chiamata in causa, al momento della sua costituzione in giudizio davanti al giudice di pace, aveva chiesto, in via pregiudiziale, il rigetto della domanda di manleva per difetto di copertura assicurativa.

Il giudice di pace, nel rigettare la domanda principale, aveva condannato la Provincia al rimborso delle spese in favore della Sompo.

Il tribunale, investito sul punto dell’appello da parte della Provincia, l’aveva rigettato rilevando che "dagli atti risulta che alla data in cui si verificava il sinistro incorso al sig. C. la garanzia assicurativa sottoscritta dalla Provincia di Firenze con la SJE era sospesa".

Sul presupposto di un tale accertamento, non impugnato sul punto dall’odierna ricorrente, il tribunale, quindi, correttamente ha posto le spese del rapporto di garanzia a carico della Provincia soccombente.

La garanzia, infatti, per le ragioni indicate, non sarebbe stata operativa anche se la domanda dell’attore nei confronti della convenuta, autrice della chiamata in causa dell’assicuratore, fosse stata fondata, con la conseguenza che la chiamante sarebbe risultata, in ogni caso, soccombente nei confronti della chiamata in causa.

Nè può condividersi il rilievo, ulteriormente sostenuto anche nella memoria, secondo cui erroneamente il tribunale avrebbe esaminato la virtuale fondatezza o meno della domanda di manleva ai fini della regolamentazione delle spese giudiziali, una volta che fosse stato rigettato l’appello sulla domanda principale proposta dal C..

Il giudice del merito, infatti, ha esaminato la domanda di manleva in ciò sollecitato dall’appello proposto sul punto dalla Provincia di Firenze, che lamentava la condanna, da parte del Giudice di pace, della stessa Provincia al pagamento delle spese in favore della Sompo; condanna questa giustificata dalla soccombenza rilevata nel rapporto di garanzia Provincia – Sompo, per non essere operativa, perchè sospesa, la garanzia assicurativa al momento del sinistro.

La decisione, sul punto relativo alla sussistenza o meno della garanzia assicurativa, non è stata impugnata con ricorso per cassazione.

Pertanto, anche sotto questo profilo, il ricorso non è fondato.

Conclusivamente, il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida, in favore di ciascuno dei resistenti, in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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