Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 09-06-2011) 15-07-2011, n. 28035 Attenuanti comuni riparazione del danno e ravvedimento attivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 6 aprile 2009 la Corte d’appello di Lecce confermava la sentenza emessa, all’esito di giudizio abbreviato, dal giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale che aveva dichiarato S.P. colpevole del delitto di tentato omicidio in danno del figlio A., della moglie e dei sei figli minori di quest’ultimo e, ritenuto il concorso formale dei reati, previa concessione delle attenuanti generiche, dichiarate equivalenti alla contestata aggravante e con la diminuente per il rito, lo aveva condannato alla pena di otto anni di reclusione, oltre alle pene accessorie.

2. Da entrambe le sentenze di merito emergeva che l’imputato aveva collocato, in corrispondenza del vano scale, posto all’interno dell’abitazione del figlio, due bidoni metallici contenenti gpl, ciascuno della capacità di litri 35,7, aveva posizionato i rubinetti "a volantino" dei due bidoni uno contro l’altro al fine di consentire un riscaldamento reciproco e agevolare l’innalzamento della temperatura, aveva appiccato fuoco ad uno dei due bidoni allo scopo di provocare il crollo dell’abitazione e la morte degli occupanti, senza peraltro riuscire nel suo intento per cause indipendenti dalla sua volontà. Le ragioni del gesto erano dal ricercare nel fatto che, agli occhi dell’imputato, il figlio A. e i suoi familiari erano colpevoli di occupare da anni l’abitazione di sua proprietà, nonostante avesse esperito le azioni giudiziarie (non ancora definite) per rientrarne in possesso.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, l’imputato, il quale lamenta: a) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’omesso riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, per la cui configurabilità non è necessaria l’effettiva elisione o attenuazione delle conseguenze dannose del reato, ma è sufficiente la potenzialità della condotta dell’imputato ad eliderle o attenuarle; b) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento all’omesso giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sull’aggravante contestata.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

1. In relazione alla prima censura il Collegio osserva che le due ipotesi attenuatrici del reato (riparazione totale del danno e ravvedimento operoso) contenute nell’art. 62 c.p., n. 6, hanno sfere di applicazione di regole autonome: l’una, infatti, è correlata al danno inteso in senso civilistico, ossia alla lesione patrimoniale o anche non patrimoniale, ma economicamente risarcibile; l’altra si collega, invece, al danno cosiddetto criminale, cioè alle conseguenze, diverse dal pregiudizio economicamente risarcibile, che intimamente ineriscono alla lesione o al pericolo di lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata. Ne consegue che le due fattispecie, pur potendo essere congiuntamente applicate, con un unico effetto riduttivo, nei reati diversi da quelli contro il patrimonio, nei quali la condotta del colpevole successiva alla commissione del reato, abbia distintamente realizzato le autonome previsioni normative, non sono tra loro fungibili nè possiedono reciproca capacità integratrice (Sez. 1, Sentenza n. 27542 del 27 maggio 2010).

Tanto premesso, occorre evidenziare che, nella seconda delle ipotesi disciplinate dall’art. 62 c.p., n. 6, le condotte riparatorie devono essere efficaci ed idonee a concretamente elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato. E’, pertanto, insufficiente la manifestazione della volontà di rimediare non seguita da un comportamento idoneo per l’attenuazione delle conseguenze.

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di questi principi nella parte in cui ha evidenziato che la condotta realizzata dall’imputato era obiettivamente idonea a ledere il bene della vita dei componenti il nucleo familiare S. e univocamente espressiva di tale volontà, con conseguente irrilevanza della spontanea consegna dell’imputato alla Polizia e della confessione del gesto in precedenza posto in essere. Tale comportamento, infatti, non aveva esplicato alcuna concreta incidenza sulla mancata verificazione dell’evento letale, che venne scongiurato solo grazie alla tempestiva reazione di S.A. il quale, accortosi del grave pericolo per l’incolumità sua e dei suoi familiari, provvide ad avvisare i Vigili del fuoco e a mettere in salvo la moglie e i figli.

2. Manifestamente priva di pregio è anche la seconda censura.

La sentenza impugnata ha correttamente valorizzato, ai fini del giudizio di comparazione tra attenuanti e aggravanti e della complessiva dosimetria della pena, l’estrema gravità della condotta posta in essere da S., idonea a provocare la morte di ben otto persone, legate a lui da vincoli di affinità o parentela, l’intensità del dolo ad esse sotteso, l’assoluta sproporzione tra il gesto realizzato e le motivazioni ad esso sottese.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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