Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 21-04-2011) 15-07-2011, n. 28007

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di cassazione, Seconda sezione penale, dichiarava inammissibili i ricorsi proposti da M.M.R. e M.V. avverso la sentenza del 24 settembre 2009 della Corte di appello di Reggio Calabria, che confermava la sentenza del Tribunale di Palmi del 23 maggio 2005, che aveva condannato i predetti alla pena di anni tre, mesi otto di reclusione ed Euro 8.000 di multa ciascuno, in quanto responsabili del reato di cui all’art. 81 c.p., comma 2, artt. 640 e 640 bis c.p., per avere, in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con artifizi e raggiri consistiti nella presentazione di atti di notorietà contenenti la falsa attestazione di avere coltivato il fondo olivetano intestato a C.D. di circa 12 ettari, indotto in errore l’AIMA, che provvedeva alla erogazione di aiuti comunitari per l’importo complessivo di circa L. 230 milioni, che venivano indebitamente riscossi dalla M. (in (OMISSIS)).

2. Ricorrono per cassazione ex art. 625 bis c.p.p., i condannati, con atto presentato entro 180 giorni dalla sentenza impugnata, sottoscritto dal difensore avv. Giacomo Iaria, che denuncia l’errore di fatto in cui è incorsa la decisione della Corte di cassazione in punto di mancata rilevazione della intervenuta prescrizione del reato di cui all’art. 640 c.p..

2.1. Osserva con un primo motivo che la stessa sentenza aveva precisato che il reato di cui all’art. 640 c.p. era temporalmente contestato sino al 1985, e che, come osservato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (citandosi Sez. un., n. 10928, 10 ottobre 1981), la prescrizione deve essere stabilita con riferimento ai reati che compongono la continuazione, considerati come distinte ed autonome violazioni.

Nella specie, dunque, il termine di prescrizione di sette anni e sei mesi, decorrendo dal 1985, doveva ritenersi maturato nel 1993. Ed ove anche si ritenesse che tale fatto potesse ritenersi aggravato ex art. 640 c.p., comma 2, il termine di prescrizione di quindici anni si sarebbe comunque maturato nell’anno 2000, e quindi ben prima della denunciata sentenza della Corte di cassazione.

2.2. Con un secondo motivo censura l’ulteriore errore di fatto in cui è incorsa la pronuncia di inammissibilità del motivo di ricorso relativo alla mancata riapertura del procedimento, ex art. 414 c.p.p., dopo il precedente provvedimento di archiviazione. Si osserva che la pronuncia si fonda sulla carenza di specificità del motivo di ricorso stante la mancata allegazione del provvedimento di archiviazione, il quale invece era stato allegato in copia a una memoria presentata davanti alla Corte di appello.

2.3. Con un terzo motivo, sempre in chiave di errore di fatto, si deduce l’erroneità della pronuncia della Corte di cassazione in punto di ritenuta manifesta infondatezza della censura relativa al diniego delle attenuanti generiche agli imputati: sia perchè, contrariamente a quanto ritenuto, M.V. era incensurato, come si ricavava dal certificato penale in atti, sia perchè nella sentenza impugnata non è stato fatto comunque alcun riferimento alla posizione di M.M.R., anch’essa incensurata.

2.4. Con un ultimo motivo, si denuncia l’erroneo computo del termine prescrizionale.

Esso decorreva dall’ultima percezione dei contributi, risalente all’ottobre 1994, e, in relazione alla data di deposito della sentenza o, secondo altro orientamento, alla data di fissazione dell’appello, doveva ritenersi applicabile la più favorevole disciplina recata dalla L. n. 251 del 2005.

In ogni caso, alla data della sentenza della Corte di cassazione, il reato era comunque prescritto.

Motivi della decisione

1. I ricorsi sono manifestamente infondati.

2. Quanto al primo e quarto motivo, occorre innanzi tutto osservare che non è luogo a parlarsi di errore di fatto a proposito del punto di una sentenza della Corte di cassazione che prenda in esame e risolva questioni attinenti alla prescrizione del reato, qualora non ricorra un travisamento dei dati processuali. In questi casi potrebbe semmai trattarsi di un errore valutativo, che non da spazio al rimedio del ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p..

Nel caso in esame, peraltro, le regole sulla prescrizione appaiono essere state esattamente applicate.

Va premesso che la normativa di riferimento è quella antecedente alla riforma recata dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, posto che la sentenza di condanna in primo grado è stata emessa in data 23 maggio 2005 e quindi antecedentemente a tale legge, con conseguente ultrattività, in toto, della precedente disciplina, ex L. n. 251 del 2005, art. 10 (cfr. Sez. U, n. 47008 del 29/19/2009, D’Amato, Rv.

244810).

Ai fini della individuazione della decorrenza del termine di prescrizione occorreva dunque prendere in considerazione come dies a quo il giorno di cessazione della continuazione (a norma del previgente art. 158 c.p., comma 1), e cioè, stando alla imputazione, il 6 dicembre 1994, sicchè il termine massimo di prescrizione (quindici anni, tenuto conto della pena edittale prevista dall’art. 640 cpv. c.p. e art. 640 bis c.p.) andava collocato nel giorno 6 dicembre 2009, successivo alla sentenza di appello, con la conseguenza che la Corte di cassazione, nella sentenza impugnata, dichiarando inammissibile il ricorso, non doveva tenerne conto (per tutte, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266).

3. Quanto al secondo motivo, è risolutiva la considerazione della sentenza impugnata secondo cui il provvedimento di archiviazione non spiegava alcun effetto preclusivo, attesa la diversità degli organi procedenti. Affermazione avvalorata da Sez. U, n. 33885 dei 24/06/2010, Giuliani, Rv. 247834, e comunque non implicante, all’evidenza, alcun errore di fatto.

4. Infine, anche il terzo motivo, relativo al diniego delle attenuanti generiche, non evoca un errore di fatto, ma introduce una inammissibile censura sulla valutazione di manifesta infondatezza espressa dalla Corte di cassazione circa il motivo di ricorso che si appuntava sulla motivazione resa al riguardo dai giudici di merito, che avevano fatto leva sulla particolare gravità del fatto, reiterato per un lungo lasso di tempo.

5. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in relazione alle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro mille ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille ciascuno in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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