Cass. civ. Sez. III, Sent., 05-12-2011, n. 25991 Decreto ingiuntivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il 19 febbraio 2004 il Tribunale di Cassino accoglieva la opposizione proposta dal Comune di Galluccio avverso il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti il 24 luglio 2000 in favore di V. B. per il pagamento di cinque fatture emesse nel 1991 in relazione ad alcuni impianti di riscaldamento installati presso gli edifici scolastici comunali per l’importo di L. 5.981.982, oltre accessori, su incarico verbale del Sindaco dell’epoca.

Il Tribunale, nell’occasione, dichiarava inammissibile la riconvenzionale dispiegata, in via subordinata, dal B., volta ad ottenere comunque il pagamento dell’importo come conseguenza dell’indebito arricchimento da parte del Comune.

La Corte di appello di Roma il 2 ottobre 2006 confermava la sentenza di prime cure. Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione il B., affidandosi a due motivi, di cui il secondo subordinato.

Resiste con controricorso il Comune di Galluccio.

Motivi della decisione

In punto di fatto è incontestato che i lavori furono ordinati verbalmente dal Sindaco di Galluccio e che la richiesta di pagamento, data l’effettuazione degli stessi, ai fini del decreto ingiuntivo, era fondata sulla Delib. 5 marzo 1994 del Consiglio comunale, che aveva riconosciuto l’esistenza del debito da parte del Comune. Con il primo motivo (violazione o falsa applicazione di norme di diritto in riferimento agli artt. 1988 e 2720 c.c., L. n. 142 del 1990, artt.32 – 35), peraltro, già proposto in appello il B. contesta il valore attribuito alla delibera del consiglio comunale di Galluccio, per cui si duole che erroneamente il giudice dell’appello avrebbe applicato le norme di diritto, in quanto non avrebbe considerato che è soltanto il consiglio comunale che può riconoscere debiti fuori bilancio, come nella specie, perchè l’atto sarebbe consentito dalla L. n. 142 del 1990, art. 32 al Consiglio comunale e con quel riconoscimento la spese diventerebbe legittima e quell’atto impegnerebbe l’Ente. Si tratta, afferma il ricorrente, di atto dalla valenza giuridica anche ai sensi dell’art. 1988 e dell’art. 2720 c.c. Altro è, invece, l’adottare la delibera di pagamento che appartiene per il caso in esame alla Giunta comunale a ciò deputata.

Al riguardo il Collegio osserva quanto segue.

E’ ormai jus receptum che il Consiglio comunale ha natura di organo interno alla P.A., la cui volontà può essere estrinsecata solo dagli organi a ciò deputati, ovvero il sindaco o la Giunta comunale (Cass. n. 8643/03). La qualità di organo interno della P.A. è rimarcata nella stessa Delib. consiliare 5 marzo 1994, come ritrascritta anche nel ricorso, laddove al punto 3 del dispositivo si afferma " si delega la Giunta comunale per gli adempimenti consequenziali a tale deliberato" (p. 17 ricorso, ripreso dalla sentenza impugnata a p. 6). Pertanto, il motivo va disatteso.

2.- Con il secondo motivo (subordinato) e formulato sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di norme di diritto in riferimento agli artt. 1988, 2041, 2720 c.c. e art. 184 c.p.c.) il ricorrente si duole della dichiarata inammissibilità della sua domanda di ingiusto arricchimento, proposta nel giudizio di opposizione in via subordinata. Al riguardo, osserva il Collegio che, a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 4712/96 e seguita da consolidato indirizzo (cfr. Cass. n. 2529/06; Cass. n. 8077/07), il motivo va respinto e non solo perchè fondato su di un titolo ed una causa petendi diversa da quella azionata con il decreto ingiuntivo ma anche perchè, pur riguardando gli stessi elementi costitutivi, il Comune non risulta avere accettato il contraddittorio (p. 5 del controricorso).

Per inciso, va aggiunto che il ricorrente su questa condotta processuale del Comune non spende una parola nemmeno nella parte del ricorso intestata " premessa ed antefatto" (v. p. 2 ricorso).

Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese che seguono la soccombenza vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 900,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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