Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 14-04-2011) 15-07-2011, n. 28075

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

l) I principali elementi del fatto.

1.1. Di.Mo.Ma. scomparve nel tardo pomeriggio del giorno (OMISSIS); uscita di casa non vi fece più ritorno, nè venne mai rinvenuto il cadavere, nè vennero rinvenuti segni della sua presenza in qualche luogo; venne, invece, rinvenuta la sua auto regolarmente parcheggiata nella via (OMISSIS), luogo lontano dalla sua abitazione.

Le indagini presero le mosse da una annotazione contenuta nella sua agenda, ove in corrispondenza delle ore 18,00, ma venne impegnato anche il rigo sottostante indicante le ore 18,30, del giorno (OMISSIS), risultava annotato "cena con P. x francobolli".

Il P. della annotazione venne individuato in S.P., dipendente della ditta Bolaffi, che la D.M. aveva voluto conoscere – una sua amica, T.B., aveva organizzato una cena per favorire l’incontro e la conoscenza – allo scopo di farsi valutare dei francobolli rinvenuti in occasione dello smantellamento della casa della madre.

Dopo il primo incontro a casa della comune amica i due decisero di rivedersi per una più precisa valutazione dei francobolli e forse anche perchè manifestavano un certo interesse l’uno per l’altro.

1.2. Nel corso delle lunghe fasi processuali l’attenzione dell’accusa pubblica e privata e della difesa si è soffermata su alcuni aspetti ritenuti importanti: il primo è la esistenza di un appuntamento tra lo S. e la D.M. per la cena del giorno (OMISSIS); si può dire che in tutti i gradi di giudizio – siamo al secondo ricorso per cassazione – si è ritenuto che l’appuntamento vi fosse, salva una discrasia sull’orario dello stesso: le ore 20,00 e seguenti, perchè orario di cena, oppure, secondo l’iscrizione dell’agenda, le ore 18,00/18,30. S. inizialmente, sentito come persona informata dei fatti, aveva escluso di avere un appuntamento con la donna; successivamente aveva ammesso che un appuntamento era stato fissato con una telefonata del (OMISSIS) delle ore 9,02, appuntamento che sarebbe poi stato revocato a causa di un mal di schiena con una telefonata fatta da un telefono pubblico al centralino dell’ospedale ove lavorava Di.Mo.Ma.;

quest’ultima circostanza non è mai stata verificata anche per la mancata acquisizione dei tabulati telefonici delle utenze del centralino dell’ospedale.

A proposito dell’appuntamento e della revoca bisogna notare che la sera del (OMISSIS) Di.Mo.Ma. telefonò all’amico B. per un incontro al fine di organizzare un viaggio in moto in Turchia e si accordò – quella sera stessa o nella telefonata del giorno dopo – per la sera del giorno (OMISSIS), essendo appunto impegnata la sera del giorno (OMISSIS); la donna, però, il pomeriggio del giorno (OMISSIS) contattò nuovamente per telefono B., ma non si sa bene per quale ragione.

Alla prima telefonata era presente il padre di Ma., a cena dalla figlia, che sentì, come ebbe ad affermare nelle iniziali dichiarazioni, che i due amici si accordavano per la sera del giorno (OMISSIS).

1.3. Altro aspetto di sicuro rilievo è l’ora dell’appuntamento; sul punto deve dirsi che le tre sentenze di merito hanno fornito ricostruzioni diverse.

Il giudice di primo grado aveva ritenuto che l’appuntamento fosse stato fissato per le ore 18,30 del giorno (OMISSIS), così come suggerito dall’agenda.

Il giudice di secondo grado riteneva, invece, che l’appuntamento fosse stato programmato per l’ora di cena, ovvero per le ore 20,00.

Il giudice di rinvio ha, invece, di nuovo fissato l’appuntamento per le ore 18,00/18,30, ma lo ha spostato da casa dello S. a via (OMISSIS), ove era stata trovata parcheggiata l’auto della D. M..

La questione dell’orario dell’appuntamento appare rilevante sotto due profili.

Il primo concerne la concreta possibilità della donna di giungere ad un appuntamento alle ore 18,00, posto che era uscita dal lavoro alle ore 16,42, aveva effettuato due acquisti – scarpe e calze -, era rientrata in casa, si era preparata per uscire indossando le cose che aveva comprato e si era anche truccata, segno che ci teneva a fare bella figura a quell’incontro, ed aveva raggiunto poi il luogo dell’appuntamento con la sua auto.

Considerato il traffico di Torino in quelle ore pomeridiane, ben difficilmente, secondo la difesa, la donna si sarebbe potuta trovare alle ore 18,00 in via (OMISSIS).

Il giudice di rinvio ha ipotizzato, tenuto conto principalmente della testimonianza della collega della D.M., G., che per recarsi al lavoro e tornare a casa Ma. avrebbe usato la bicicletta, mezzo più veloce dell’auto in quelle ore del pomeriggio.

1.4. La seconda questione rilevante concerne l’alibi di S., che si sarebbe trovato a cena a casa della sua fidanzata D.C. B. tra le ore 20,00 e le ore 22,00 del giorno (OMISSIS).

Quest’alibi è stato ritenuto non veritiero e, comunque, irrilevante, in primo grado, falso in secondo grado, non provato dal giudice di rinvio.

La istruttoria dibattimentale e la discussione si sono a lungo soffermate su tale aspetto: l’alibi è stato confermato dalla D. C., dalla figlia di quest’ultima N.M.A. e dal figlio del ricorrente F., che sarebbe stato invitato dal padre a cena per quella sera a casa della fidanzata; invito non accettato perchè il ragazzo aveva programmato di vedere una partita in televisione a casa della zia.

Senonchè una collega della D.C., Fi., avrebbe sentito dire alla D.C., mentre quest’ultima conversava con delle amiche presso una macchina di distribuzione del caffè in un corridoio dell’ufficio, che l’alibi non era veritiero; altra collega, A., aveva sentito altra espressione equivoca – meno male che uno ha degli amici che possono dire dove eri – sempre pronunciata dalla D.C..

Successivamente altri due testimoni, V.S., amico di infanzia della D.C., e Mo., che avrebbe appreso la cosa da Ta.Gi., altra amica della D.C., avevano riferito che l’alibi non era vero.

Sul punto si sono sviluppate le analisi delle corti di merito e della stessa corte di Cassazione, della Corte di rinvio e, ovviamente, dei difensori in ordine alla valutazione delle dichiarazioni sia di coloro che avevano confermato l’alibi, che di quelli che lo avevano svalutato.

1.5. In questa complessa e drammatica storia vi sono dei punti fermi:

certamente Di.Mo.Ma. è scomparsa.

Secondo i giudici del merito deve escludersi l’allontanamento volontario, perchè la donna non aveva mai manifestato una tale volontà e, poi, aveva programmato con cura l’impegno di lavoro del giorno dopo e stava organizzando con amici le vacanze estive; va esclusa anche la morte naturale o per incidente, perchè in tal caso sarebbe stato certamente ritrovato il corpo della donna.

Quindi Ma. è stata uccisa da chi ne ha fatto scomparire il corpo.

Tale circostanza ha consentito alla Corte di rinvio di escludere anche che l’assassino potesse essere una persona ignota che aveva incrociato Di.Mo.Ma. dopo l’incontro con S. perchè, rapinatore o violentatore che fosse, dopo averla uccisa si sarebbe subito dileguato facendo perdere le sue tracce, senza preoccuparsi di nascondere il cadavere.

Resta, quindi, S. non solo perchè è stata l’ultima persona ad avere visto Di.Mo.Ma., ma anche perchè ha cercato in ogni modo di allontanare la sua persona da Ma. prima negando l’appuntamento e poi sostenendo di averlo revocato.

Altro fatto certo è che Ma. uscì di casa quel giorno nel tardo pomeriggio; anche S. uscì di casa nel tardo pomeriggio, ma è controverso l’orario.

Molto si è discusso, invero, del fatto che alle ore 18,11 giunse in casa S. una telefonata alla quale nessuno rispose: il ricorrente era già uscito o stava montando delle mensole con il trapano, cosicchè per il rumore non sentì lo squillo? Altro fatto certo è che S. quella sera alle ore 21,57 si trovava in casa o in prossimità di essa perchè con il cellulare chiamò la fidanzata e la cellula corrispondeva a quella della sua abitazione.

S. soffriva in quei giorni di mal di schiena.

Si è discusso se tale dolore fosse tanto forte da annullare un appuntamento – al quale, a quanto pare, teneva -, cosa che i giudici di rinvio hanno escluso perchè negli stessi giorni S. si stava sottoponendo a lavori pesanti, quali sono quelli di un trasloco, ma è certo che non godesse di buona salute, tanto è vero che sempre il pomeriggio del giorno (OMISSIS) aveva chiamato una sua amica, St.El., per prenotare alcuni esami strumentali ai quali effettivamente poi si sottopose.

2. Le sentenze di merito e quella di legittimità. 2.1. Tenuto conto degli elementi indicati e ritenuto, in particolare, non veritiero e, comunque, irrilevante l’alibi, con sentenza del 30 gennaio 2006, la Corte di Assise di Torino dichiarava S. P. colpevole dell’omicidio volontario di Di.Mo.Ma., commesso in (OMISSIS), e lo condannava alla pena di anni ventuno di reclusione; la corte dichiarava, altresì, estinto per prescrizione il reato di occultamento di cadavere di cui all’art. 412 cod. pen..

L’imputato veniva condannato anche al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite.

2.2. Con sentenza del 17-31 marzo 2009, la corte di assise di appello di Torino, dopo avere proceduto a rinnovazione della istruttoria dibattimentale, rivalutato tutto il materiale probatorio e, ritenuto, in particolare, falso l’alibi e fissato l’appuntamento tra S. e la Di.Mo. alle ore 20,00, dichiarava l’imputato colpevole di omicidio preterintenzionale, determinando la pena in anni sedici di reclusione.

A tal proposito è bene sottolineare che non è stato individuato un preciso movente dell’omicidio, ma sono state fatte soltanto delle ipotesi; si è parlato, infatti, di una manovra sessuale finita tragicamente, oppure di una violenta reazione ad avances respinte.

2.3. La Corte di Cassazione, con sentenza del 31 marzo – 7 maggio 2009, riesaminata tutta la vicenda, riteneva la motivazione della decisione di secondo grado incongrua ed affermava, in particolare, che l’iter argomentativo sul tema della falsità dell’alibi era caratterizzato da incoerenze interne, dall’erronea applicazione dei criteri dettati dai primi due commi dell’art. 192 cod. proc. pen. e dal contrasto di informazioni probatorie, del tutto trascurate e travisate negli effettivi contenuti.

Cosicchè, secondo la corte, il giudice di secondo grado non aveva dato conto, con congrua motivazione, della sussistenza della prova, oltre ogni ragionevole dubbio, dell’attribuibilità dell’omicidio all’imputato.

Veniva, perciò, disposto l’annullamento con rinvio per nuovo giudizio della sentenza di secondo grado.

2.4. Con la sentenza del 15 gennaio – 12 aprile 2010, la corte di assise di appello di Torino, quale giudice di rinvio, dopo una rinnovazione parziale della istruttoria dibattimentale, riesaminava tutto il materiale probatorio acquisito e, come meglio si chiarirà nella seconda parte della sentenza, ritenuto l’alibi non provato e fissato l’appuntamento tra la Di.Mo. e lo S. alle ore 18,00/18,30 del giorno (OMISSIS), ove era stata parcheggiata l’auto della vittima, dichiarava, dopo avere escluso l’ipotesi dell’omicidio colposo, S.P. colpevole del reato di omicidio preterintenzionale, principalmente per il favor rei, e lo condannava alla pena di anni quattordici di reclusione.

3. Il ricorso per cassazione.

3.1. Rinviata la indicazione specifica delle censure del ricorrente nella parte della sentenza dedicata alla discussione delle singole questioni, va immediatamente rilevato che il ricorrente ha, in primo luogo, dedotto la violazione dell’art. 628 c.p.p., comma 2 e art. 627 c.p.p., comma 3, in relazione ai principi di diritto enunciati dalla corte di cassazione.

Inoltre il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 192 c.p.p., commi 1 e 2 e art. 533 c.p.p., comma 1, per vizio della motivazione sotto i profili della contraddittorietà e della manifesta illogicità.

Il ricorrente, in breve, dopo avere richiamato i principi che regolano il rapporto tra l’annullamento con rinvio per vizio di motivazione e la sentenza del giudice di rinvio, ha, in buona sostanza, su ogni tema di prova che è stato indicato nei paragrafi precedenti, fatto rilevare il mancato rispetto dei principi di diritto fissati dalla corte di cassazione, l’utilizzo di argomenti già ritenuti manifestamente illogici dalla predetta corte di legittimità e la manifesta illogicità non solo della valutazione delle prove assunte dopo la riapertura della istruttoria dibattimentale – v.S. e Mo. – o di prove il cui esame era stato pretermesso in precedenza – le dichiarazioni di S. F., figlio del ricorrente -, ma anche della ricostruzione dei temi di prova e, quindi, di tutta la tragica vicenda.

Il ricorrente, inoltre, si doleva che, in violazione della legge e del dictum della Suprema Corte, erano state utilizzate le dichiarazioni rese da S.P. quale persona informata dei fatti, dichiarate non utilizzabili dalla Corte di Cassazione.

Il ricorrente si lamentava anche della qualificazione giuridica del fatto per erronea applicazione dell’art. 584 cod. pen. e per la mancata qualificazione dello stesso come omicidio colposo, o come violazione dell’art. 586 c.p..

Infine il ricorrente censurava il diniego delle attenuanti generiche e giudicava eccessiva la misura della pena inflitta.

3.2. In data 22 marzo 2011 i difensori di S.P. depositavano una memoria difensiva con la quale indicavano nuovi argomenti a sostegno dei motivi di ricorso proposti, denunciando specificamente alcune violazioni dei principi di diritto fissati dalla corte di cassazione.

Motivi della decisione

4) Considerazioni generali.

4.1. I motivi posti a sostegno del ricorso non sono fondati, ed anzi sono ai limiti della ammissibilità.

Ed, infatti, nei lunghi e molto articolati motivi di impugnazione il ricorrente ha riesaminato tutto il materiale probatorio, denunciando errate interpretazioni delle prove dichiarative e di quelle documentali, dolendosi per una non corretta ricostruzione della vicenda e sollecitando, di fatto, la corte di legittimità a riesaminare e rivalutare tutti gli elementi di prova raccolti nel lungo iter processuale.

Sembra, quindi, che il reale obiettivo del ricorrente sia quello di una integrale rivalutazione del materiale probatorio acquisito.

Ma ciò è precluso alla corte di legittimità, perchè la valutazione delle prove e la ricostruzione del fatto competono, in via esclusiva, ai giudici del merito, mentre alla corte di cassazione spetta, per espressa disposizione di legge, soltanto verificare se le valutazioni dei giudici dei primi due gradi di giurisdizione siano o meno sorrette da una motivazione congrua ed immune da vizi logici;

siffatta illogicità per determinare la nullità della sentenza deve essere manifesta, essendo il sindacato di legittimità sulla motivazione limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze (S.U. 24 novembre – 16 dicembre 1999, n. 24, Spina).

Inoltre è preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, non potendo integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (S.U. 30 aprile – 2 luglio 1997, n. 6402, Dessimone).

Entro questi ristretti limiti saranno esaminati e valutati i motivi di ricorso dello S..

4.2. Naturalmente, trattandosi di un giudizio di legittimità concernente una sentenza del giudice di rinvio, sarà in primo luogo necessario verificare se quest’ultimo si sia o meno uniformato ai principi di diritto stabiliti dalla corte di cassazione con la sentenza di annullamento, ricordando che, per consolidata giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. 5, 3 luglio – 26 ottobre 2009, n. 41085, CED 245389; Cass., Sez. 6, 7 febbraio – 27 aprile 1995, n. 4614, CED 201266), anche quando l’annullamento sia intervenuto, come nel caso di specie, essenzialmente per vizio di motivazione del provvedimento impugnato, la corte di legittimità fissa principi di diritto che obbligatoriamente vanno rispettati. E’ bene, comunque, precisare che, come chiarito dalla Suprema Corte (Cass., Sez. 1, 18 settembre – 18 novembre 2008, n. 42990, CED 241823), il principio di diritto al quale il giudice di rinvio ha un obbligo assoluto ed inderogabile di uniformarsi è soltanto quello che, a norma dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 2, deve essere specificamente enunciato nella sentenza di annullamento con rinvio (vedi anche Cass., Sez. 3, 12 febbraio – 15 aprile 2009, n. 15722, CED 243437).

Un tale effetto vincolante non scaturisce, invece, da affermazioni esplicative della ratio decidendi e, meno ancora, da singoli sviluppi argomentativi che si limitino a scandagliare i vizi del provvedimento annullato ma non forniscano, in sè, le indicazioni riparatorie in punto legittimità (vedi anche Cass., Sez. 1, 18 maggio – 24 giugno 1999, n. 8242, Di Virgilo, CED 213873). Ad un esame più attento, come non ha mancato di rilevare il pubblico ministero di udienza, risulta che la corte di cassazione, nell’annullare la prima sentenza della corte di assise di appello, non ha ritenuto la prova posta a fondamento della affermazione di responsabilità dello S. insufficiente, avendo anzi affermato che se fossero stati provati tutti gli elementi specificamente indicati nella sentenza annullata e richiamati da quella della corte di cassazione, la decisione di condanna dello S. sarebbe stata obbligata; l’annullamento, quindi, è stato determinato da una insufficienza della motivazione sui singoli punti esaminati.

Orbene la base fattuale della sentenza del giudice di rinvio non è sostanzialmente mutata, essendo stati, peraltro, ascoltati da tale giudice soltanto tre testimoni, che non hanno modificato sostanzialmente, come meglio si dirà, i termini della questione, cosicchè l’unico vero problema da affrontare in questa sede consiste nel verificare se le incongruenze motivazionali riscontrate dal giudice di legittimità siano state o meno superate, restando preclusa ogni ulteriore valutazione.

4.3. Alla luce dei principi indicati non è fondata la tesi del ricorrente secondo la quale il giudice di rinvio avrebbe dovuto, con riferimento ad esempio alla ora di uscita di casa della Di.Mo., indicare elementi probatori precedentemente non valutati idonei a fornire una prova certa, non essendo diversamente superabile la valutazione della corte di cassazione.

Non è così perchè erano state ritenute dalla corte di cassazione non logiche alcune inferenze formulate dal giudice di secondo grado in base ai dati empirici assunti, cosicchè il problema del giudice di rinvio consisteva nel rivalutare tali elementi e fornire argomentazioni razionali giustificative della decisione assunta. Come pure non è accettabile la sollecitazione del ricorrente ad esaminare e tenere conto di tutti gli atti del dibattimento di appello trasmessi a questa corte, perchè, come già rilevato, è preclusa a questa Corte la rivalutazione degli atti probatori acquisiti nelle tre fasi di merito, non essendo quello di legittimità un terzo grado di merito, nemmeno a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006.

Tanto premesso in linea generale al fine di chiarire i limiti del presente giudizio, conviene, per una maggiore chiarezza espositiva, esaminare specificamente i singoli motivi di impugnazione.

5) Il primo motivo di impugnazione.

5.1. Nella prima parte dei motivi di ricorso i difensori di S.P. hanno denunciato la violazione dei principi logici e giuridici statuiti dalla corte di cassazione in sede di annullamento con rinvio, e, quindi, la violazione dell’art. 627 c.p.p., comma 3.

Il mancato rispetto dei dieta della Suprema Corte sarebbe avvenuto con riferimento ai punti essenziali della vicenda, ovvero sul tema dell’ora e del luogo dell’appuntamento tra la Di.Mo. e lo S., in ordine alla revoca dello stesso il (OMISSIS) prospettata dallo S., sulla pretesa falsificazione dell’alibi, sul mancato ritrovamento dei francobolli.

Il mancato adeguamento alle direttive logico-giuridiche impartite dalla corte di cassazione avrebbe determinato una motivazione apparente, contraddittoria ed illogica della sentenza del giudice di rinvio.

I singoli temi sono stati sviluppati, poi, nei motivi di impugnazione successivi.

Orbene con riferimento alle considerazioni di carattere generale contenute nella prima parte dei motivi di impugnazione e concernenti la peculiarità del giudizio di rinvio e la necessità che il giudice di rinvio rispetti i principi di diritto, che sono tali, per giurisprudenza consolidata, anche quando, come nel caso di specie, l’annullamento intervenga per riscontrato vizio della motivazione, stabiliti dalla corte di legittimità non si può fare altro che rinviare a quanto già si è esposto nel paragrafo precedente, rilevando sin d’ora, fatti salvi gli ulteriori approfondimenti, che la corte di assise di appello di Torino, quale giudice di rinvio, ha fatto buon governo delle norme che regolano tale peculiare giudizio ed ha rispettato i principi di diritto stabiliti dalla corte di legittimità, eliminando le rilevate incongruenze motivazionali della sentenza di secondo grado annullata.

5.2. Piuttosto appare opportuno chiarire che il giudizio di rinvio, pur potendosi avvalere tale giudice di tutti i poteri e le facoltà spettanti al giudice del corrispondente grado, soffre di alcune preclusioni per effetto del giudicato parziale, ben poste in evidenza nella sentenza impugnata e di cui, invece, il ricorrente non sembra avere tenuto conto.

Ed, infatti, debbono considerarsi precluse tutte le questioni già decise dai giudici di appello e non investite dalla decisione di annullamento con rinvio perchè convalidate dalla Suprema Corte (vedi Cass., Sez. 5, 12 febbraio 2009, n. 10624; oltre a S.U. 11 maggio – 14 giugno 1993, n. 6019, Ligresti, CED 193419). Con il termine parti della sentenza di cui all’art. 624 c.p.p., comma 1, il legislatore ha inteso fare riferimento a qualsiasi statuizione avente una sua autonomia giuridico – concettuale e, quindi, anche a tutti quegli aspetti non più suscettibili di riesame (vedi S.U. 23 novembre 1990 – 16 gennaio 1991, Agnese). Seguendo tale orientamento, come ha correttamente rilevato la sentenza impugnata, non possono più essere poste in discussione le osservazioni sviluppate dalla sentenza di secondo grado annullata convalidate dalla Suprema Corte e concernenti il dato obiettivo della scomparsa di Di.Mo.Ma.. La corte di legittimità ha, infatti, stabilito che le deduzioni relative alla scomparsa di Di.Mo.Ma. avessero trovato conferme di elevata probabilità logico-razionale in dati probatori attendibili.

Cosicchè il ragionamento sviluppato sul punto dalla sentenza annullata non può essere messo in discussione in questa sede.

Da ciò deriva, detto in estrema sintesi, che la Di.Mo. non si sia volontariamente allontanata – si era preparata con cura ed in fretta per uscire, aveva preparato con meticolosità il programma di lavoro per il giorno seguente, tutti i testimoni che la conoscevano avevano messo in risalto il suo attaccamento al lavoro, i solidi rapporti familiari e le soddisfacenti relazioni sociali, stava programmando con l’amico B. una vacanza in Turchia -; insomma la lunga indagine espletata non ha fatto emergere alcun elemento dal quale si possa desumere la volontà della Di.Mo. di fare perdere volontariamente le proprie tracce.

La scomparsa della Di.Mo. può essere allora spiegata soltanto con la sua morte; la morte non può essere stata conseguenza di cause naturali o, comunque, accidentali ovvero di suicidio; a prescindere dalle ragioni che escludono il suicidio già indicate, va detto che nelle ipotesi prospettate sarebbe stato certamente rinvenuto il cadavere della Di.Mo., cosa che, invece, non è avvenuta.

Neppure appare possibile prospettare l’ipotesi che la Di.Mo. possa essere stata uccisa da un rapinatore o da un violentatore, perchè, come messo in evidenza dalla sentenza poi annullata e convalidata sul punto dalla corte di legittimità, in tali ipotesi l’assassino si sarebbe dileguato immediatamente facendo perdere le proprie tracce.

La ulteriore deduzione, pure convalidata dalla corte di legittimità, è che il mancato ritrovamento del cadavere della Di.Mo. sia dovuto all’occultamento dello stesso posto in essere da chi aveva interesse a cancellare ogni traccia della commissione del delitto.

E’ appena il caso di ricordare che la sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione dal reato di cui all’art. 412 cod. pen. non è stata impugnata dallo S..

Orbene il presente processo è, per così dire, un processo indiziario di secondo grado, nel senso che in un primo momento vanno individuati gli indizi concernenti l’assassinio della Di.Mo. e solo successivamente può procedersi alla individuazione, sempre per mezzo di indizi, dell’assassino.

Sul primo livello non vi può essere più discussione perchè la corte di cassazione ha ritenuto che gli indizi raccolti e le inferenze logiche dei giudici di merito non meritassero censure sotto il profilo della legittimità, mentre difettava di logica motivazione la riconducibilità del delitto allo S..

5.3. Altro punto che non può più essere messo in discussione è il tema dell’appuntamento tra la Di.Mo. e lo S. per il giorno (OMISSIS).

La Suprema Corte ha precisato in proposito che la prova della esistenza di un appuntamento per cena è fondato su un intreccio di elementi probatori di pressochè impossibile confutazione.

L’annotazione nella agenda della Di.Mo. dell’appuntamento e le ammissioni sul punto dello S., che ha però sostenuto che l’appuntamento era stato successivamente revocato, non consentono dubbi in proposito.

Che l’appuntamento avesse come principale oggetto la verifica dei francobolli in possesso della Di.Mo. è questione fuori discussione, come stabilito dalla corte di cassazione in sede di annullamento con rinvio, perchè anche per tale ipotesi concordavano le annotazioni in agenda e le dichiarazioni dello S..

Ciò che non si comprende, invece, è l’affermazione della stessa corte di legittimità, ripresa dal ricorrente, che i francobolli "vivono" con l’appuntamento; cosicchè se vi è stato l’incontro si possono formulare ipotesi con riguardo alla sorte dei francobolli; in caso contrario, quei francobolli, recte il loro mancato ritrovamento, non possono costituire elemento dal quale inferire che l’incontro con S. vi sia stato.

Si tratta di una affermazione errata perchè il mancato ritrovamento della scatola dei francobolli in casa della D.M., che, come dimostrato dalle indagini espletate, non li aveva nelle more ceduti ad altre persone, induce a ritenere che la stessa sia uscita portando con se i francobolli, circostanza che consente di inferire che il giorno (OMISSIS) la donna sia uscita di casa proprio per incontrare l’esperto filatelico S., al quale già aveva mostrato una volta i francobolli, come suggerito dalla annotazione in agenda.

Il mancato ritrovamento dei francobolli, in verità, non consente diverse interpretazioni.

Sul punto non vi è un obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi al dictum della Suprema Corte perchè tale obbligo, come si è già rilevato, attiene al principio di diritto stabilito dalla corte di legittimità, non scaturendo, invece, alcun effetto vincolante da affermazioni esplicative della ratio decidendi e, meno ancora, da singoli sviluppi argomentativi che si limitino a scandagliare i pretesi vizi del provvedimento annullato ma non forniscano, in sè, le indicazioni riparatorie in punto legittimità (vedi Cass., Sez. 1, 18 maggio – 24 giugno 1999, n. 8242, Di Virgilio, CED 213873, già citata, e Cass., Sez. 1, 18 settembre – 18 novembre 2008, n. 42990, CED 241823).

Ebbene nel caso di specie si tratta di un argomento utilizzato dalla corte di legittimità, peraltro in contraddizione con altri argomenti sviluppati in precedenza, che non ha prodotto alcun effetto vincolante, cosicchè correttamente il giudice di rinvio ha conferito all’indiscusso dato processuale – mancato ritrovamento della scatola di francobolli – un valore probatorio diverso.

6) Sull’ora e sul luogo dell’appuntamento 6.1. Il ricorrente ha dedotto la nullità della sentenza impugnata per vizio della motivazione in ordine alla individuazione dell’ora e del luogo dell’appuntamento fissato per il giorno (OMISSIS) tra Di.Mo.Ma. e S.P., anche per il contrasto delle conclusioni alle quali era pervenuto il giudice di rinvio con alcuni riscontri fattuali.

Trattasi, invero, di deduzioni di merito perchè il ricorrente, pur censurando su un piano formale la motivazione della sentenza impugnata, ha, in sostanza, fornito una lettura diversa, e per l’imputato più favorevole, degli elementi di fatto acquisiti, cosa non consentita in sede di legittimità.

Nè, ovviamente, la corte di legittimità può sostituirsi ai giudici del merito e autonomamente interpretare gli elementi di prova, dovendo soltanto verificare se la motivazione posta a sostegno delle valutazioni effettuate dal giudice di merito, sia o meno immune da manifeste illogicità.

E’ appena il caso di osservare che l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, e l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione deve limitarsi a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (S.U. 24 settembre – 10 dicembre 2003, n. 47289, Putrella, CED 226074), Una tale impostazione è stata ribadita anche dopo l’entrata in vigore della L. n. 46 del 2006, dovendosi ritenere non deducibile nel giudizio di legittimità il cd. travisamento del fatto, dal momento che è tuttora inibita al giudice di legittimità qualsiasi nuova valutazione delle prove e degli indizi, che non possono essere interpretati in modo diverso ed alternativo rispetto a quello ritenuto dal giudice di merito (vedi Cass., Sez. 6, 4 luglio – 1 agosto 2006, n. 27429, CED 234559; Cass., Sez. 5, 11 gennaio – 27 febbraio 2007, n. 8094, CED 236540).

6.2. Ebbene, valutata la motivazione della sentenza impugnata sul punto dedotto secondo i criteri indicati, va detto che essa appare immune da manifeste illogicità; in particolare i rilievi del ricorrente non fanno emergere illogicità rilevanti.

La Corte di rinvio, infatti, dopo un attento esame della agenda della Di.Mo., ha rilevato che in corrispondenza della indicazione delle ore 18,00 e delle ore 18,30 del giorno (OMISSIS) vi era l’annotazione cena con P. x franc., di cui già si è detto; di conseguenza ha fissato l’ora dell’appuntamento in un arco temporale tra le ore 18,00 e le 18,30.

Il rilievo principale del ricorrente concerne la pretesa incompatibilità di tale orario con la uscita dal lavoro della Di.

M. – ore 16,42 – e con gli acquisti di scarpe e calze effettuati prima di rientrare in casa per riuscire di nuovo poco dopo e recarsi all’appuntamento, tenuto conto del traffico esistente in quelle ore in città.

La ricostruzione dei movimenti della Di.Mo. offerta dal giudice di rinvio, unitamente alla circostanza che, a dire della testimone G., collega della Di.Mo., in quel periodo la povera vittima utilizzava la bicicletta per andare in ufficio, mezzo che consente di evitare il traffico, appare del tutto ragionevole quando afferma che l’orario dell’appuntamento era del tutto compatibile con l’ora dell’uscita dal lavoro.

Del resto la Di.Mo. era uscita dalla propria abitazione in tutta fretta, tenuto conto del disordine nel quale era stata lasciata l’abitazione, circostanza non compatibile con un appuntamento per le ore venti, orario quest’ultimo, peraltro, non desumibile da nessun altro elemento, salvo la indicazione non certo risolutiva per cena, potendo i due avere fissato un incontro per verificare i francobolli e poi, eventualmente, recarsi a cena.

Quanto al luogo dell’appuntamento non vi sono elementi precisi per individuarlo; l’unico elemento certo è che l’auto della Di.Mo. venne rinvenuta in via (OMISSIS), luogo distante circa un chilometro e mezzo dalla casa dello S.; ma da nessun elemento, se non dalle parole dell’imputato, può desumersi che fosse l’abitazione dello S. il luogo dell’appuntamento, non apparendo per nulla illogico che si fosse fissato per incontrarsi un luogo, noto alla vittima, ove fosse facile parcheggiare l’auto, per poi recarsi insieme a cena da qualche parte.

7) Sulla disdetta dell’appuntamento e sulla pretesa inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da S. alla polizia giudiziaria quale persona informata dei fatti.

7.1. S.P., dopo avere ammesso di avere concordato con Di.Mo.Ma. un appuntamento per la sera del giorno (OMISSIS), ha sostenuto che l’incontro non si verificò perchè aveva revocato l’appuntamento a causa di un mal di schiena.

La Corte ha ritenuto, invece, che l’appuntamento non fosse stato mai revocato.

Deve in primo luogo essere esaminato il problema della pretesa inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’imputato nella sua originaria veste di persona informata dei fatti.

S., infatti, in ordine al delitto per cui si procede, ed in particolare con riferimento ai suoi rapporti con la scomparsa Di.

M.M. venne ascoltato come persona informata dei fatti in data (OMISSIS), nonchè, a seguito di presentazione spontanea, il 7 giugno dello stesso anno.

Successivamente S. venne sentito in qualità di imputato dal pubblico ministero il 4 maggio 2004 e poi all’udienza di appello del 29 aprile 2008. Il 18 giugno 2003 S.P., interrogato dal pubblico ministero, si era, invece, avvalso della facoltà di non rispondere.

Orbene la corte di cassazione ha stabilito con la sentenza di annullamento, in via generale, che non sarebbe stato possibile inferire dalla dichiarazioni rese da S. alla polizia giudiziaria in qualità di persona informata sui fatti elementi indizianti a suo carico da utilizzarsi per confermare la falsità dell’alibi, e ciò per la ontologica contraddizione esistente tra le due figure giuridiche della testimonianza e dell’alibi.

Pur volendo prescindere dalla non assoluta chiarezza della affermazione e ritenere che è necessario uniformarsi a quanto stabilito dalla corte di cassazione, va detto che in punto di fatto e di diritto la questione non risulta correttamente posta, dal momento che sono stati trascurati una serie di elementi fattuali, che consentono di ritenere che la situazione nel presente processo sia ben diversa da quella esaminata e considerata dalla sentenza di annullamento.

Esaminando compiutamente il tema in oggetto deve dirsi in primo luogo che è del tutto pacifico che non sia possibile, ai sensi dell’art. 62 cod. proc. pen., testimoniare su dichiarazioni comunque rese dall’imputato nel corso del procedimento.

Ciò significa che non è possibile testimoniare sulle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria o all’autorità giudiziaria perchè queste sono quelle rese nel corso del procedimento, mentre le dichiarazioni rese dall’imputato anteriormente al procedimento o comunque al di fuori di esso a soggetto non deputato ad effettuare indagini in merito possono senz’altro costituire oggetto di testimonianza (tra le tante, vedi Cass., Sez. 2, 13 novembre 2008 – 17 febbraio 2009, n. 6783, CED 243300).

Ciò, ad esempio, significa che le dichiarazioni rese da D.M. M., fratello della vittima, al quale S. pochi giorni dopo la scomparsa della donna – (OMISSIS) – disse di non avere un appuntamento con la stessa per il giorno (OMISSIS) e di non averla incontrata, sono pienamente utilizzabili.

Quanto poi al divieto di utilizzazione delle dichiarazioni rese da persona che fin dall’inizio doveva assumere la veste di imputato o di indagato di cui all’art. 63 cod. proc. pen., comma 2, se è ad esso che la sentenza di annullamento voleva riferirsi, va detto che esso presuppone che a carico del soggetto interrogato sussistano indizi di reità già prima dell’assunzione delle sommarie informazioni (vedi Cass., Sez. 3, 26 aprile – 9 giugno 2005, n. 21747, CED 231995).

Orbene, se si tiene conto di tutto quanto detto in precedenza e sulla difficoltà di intraprendere una pista investigativa per risolvere il caso, appare davvero azzardato ritenere che già il (OMISSIS) vi fossero indizi di reità a carico dello S., dal momento che in quella fase l’unico elemento certo era costituito dal fatto che la donna non aveva fatto rientro a casa.

Cosicchè, anche a volere tenere conto della posizione sostanziale (vedi Cass., Sez. 5, 28 gennaio – 26 febbraio 2003, n. 9079, CED 224151) e non soltanto di quella formale assunta all’epoca dal ricorrente, bisogna concludere che non si è in presenza di ipotesi di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese nelle due date indicate.

E’ appena il caso di ricordare che motivi di sospetto potevano sorgere soltanto a seguito dell’interrogatorio del 7 giugno seguito ad una presentazione spontanea nel corso del quale lo S. mutò versione dei fatti contraddicendo quanto aveva in precedenza riferito all’autorità inquirente.

Ma vi è una terza considerazione che appare risolutiva e che è stata correttamente posta in evidenza dal giudice di rinvio.

Nel corso dell’interrogatorio come imputato reso al pubblico ministero nel 2004, allo S. vennero contestate la dichiarazioni rilasciate nei precedenti interrogatori resi come persona informata dei fatti e regolarmente verbalizzate e lo S. riconobbe di avere rilasciato siffatte dichiarazioni e cercò di precisarle e chiarirle, giustificando alcune dichiarazioni – ad esempio l’assenza di appuntamento con la Di.Mo. – certamente non veritiere per la gelosia della fidanzata D.C. B., che sarebbe stata presente alla telefonata intervenuta con D.M.M., e per il fatto che successivamente era rimasto prigioniero di questa prima menzogna.

Orbene il richiamo puntuale dei verbali delle dichiarazioni rese in precedenza, la discussione su tali differenti affermazioni, il riconoscimento da parte di S. di avere rilasciato in precedenza dichiarazioni di tenore diverso rispetto a quelle rilasciate nel 2004, debbono fare ritenere che detti verbali facciano parte integrante del verbale di interrogatorio reso da S. al pubblico ministero il 4 maggio 2004 e che siano, pertanto, pienamente utilizzabili.

7.2. Ritenute, pertanto, utilizzabili tutte le dichiarazioni rese da S.P., deve dirsi che il ragionamento probatorio del giudice di rinvio in ordine al tema della disdetta dell’appuntamento appare immune da manifeste illogicità e non viene messo in difficoltà dalle contrarie osservazioni del ricorrente, che in verità più che mettere in evidenza presunte manifeste illogicità, mirano ad offrire una diversa ricostruzione dei fatti ed a prospettare possibili e diverse interpretazioni del materiale probatorio, cosa che certamente non è consentita in sede di legittimità.

Senza riproporre tutta la complessa motivazione della sentenza impugnata sul punto, sarà sufficiente porne in evidenza i passaggi di maggiore rilevanza, dai quali risulta la linearità del ragionamento probatorio.

Le contraddizioni dello S. sul punto sono evidenti e significative.

Contattato per telefono da D.M.M., S. negò di avere incontrato Di.Mo.Ma. la sera del giorno (OMISSIS) e negò di avere un appuntamento con la stessa per quella sera.

Il (OMISSIS) alla polizia giudiziaria dichiarò che non era stato assolutamente concordato un appuntamento per la sera del giorno (OMISSIS) con la Di.Mo..

Il 28 maggio S. negò nuovamente che fosse stato fissato un appuntamento.

Il 7 giugno, presentatosi spontaneamente, S. disse che effettivamente un appuntamento era stato fissato, forse con una telefonata tra il 29 aprile ed il 3 maggio, ma che era stato poi annullato, con una telefonata effettuata da casa il (OMISSIS) a causa di un mal di schiena; S. precisò di possedere soltanto il numero di casa della Di.Mo. e giustificò le sue menzogne per evitare scenate di gelosia della fidanzata D. C..

Il 4 maggio 2004, presa visione di quanto emergeva dai tabulati telefonici, S. precisò che aveva disdetto l’appuntamento con una telefonata, sull’utenza di casa o di quella del luogo di lavoro, da una cabina telefonica pubblica di corso (OMISSIS) di Torino dopo essere uscito dall’istituto fisioterapico Chiros, ove all’epoca si sottoponeva a trattamento fisioterapico. In sede di appello il 21 aprile 2008, appreso che all’epoca non aveva avuto alcun rapporto con l’istituto Chiros, S. disse che aveva effettuato la telefonata di disdetta da una cabina telefonica presumibilmente diversa da quella originariamente indicata.

Orbene, esaminate le varie e diverse versioni fornite in successione dall’imputato, non si può non ritenere, come hanno fatto i giudici di merito, che lo S. abbia tentato in tutti modi di allontanare la sua persona da Di.Mo.Ma., prima negando di avere fissato con lei un appuntamento e poi sostenendo di averlo disdetto.

La giustificazione della iniziale menzogna – la gelosia della fidanzata – non appare plausibile non solo per le modalità, ben descritte dalla corte di rinvio, della telefonata tra S. e D.M.M., telefonata, peraltro, fatta dallo S., che avrebbe potuto scegliere tempi e modalità della stessa, ma anche per il fatto che l’incontro con Di.Mo.Ma. era sostanzialmente di lavoro, dovendo lo S. valutare i francobolli rinvenuti dalla vittima.

Infine la presunta gelosia potrebbe non giustificare, ma rendere comprensibile la reticenza con D.M.M., ma non potrebbe mai rendere plausibile la ripetuta menzogna alla polizia giudiziaria, che affannosamente cercava elementi per ritrovare una ragazza oramai scomparsa da molti giorni.

E’ evidente allora che le menzogne avevano come unico obiettivo quello di escludere un possibile incontro con la Di.Mo. avvenuto nella imminenza della sua scomparsa.

Resosi conto della impossibilità di negare che era stato fissato un appuntamento, lo S. si recò volontariamente dagli investigatori per ritrattare quanto aveva fino ad allora sostenuto e precisare che, comunque, l’incontro non si era verificato perchè era stato revocato.

Stranamente invece di chiamare la Di.Mo. sulla utenza di casa, del cui numero S. era in possesso, utenza che era munita anche di segreteria telefonica, che consentiva in qualsiasi momento di lasciare un messaggio, telefonata che avrebbe lasciato una traccia sui tabulati, il ricorrente, dopo avere sostenuto di avere contattato la Di.Mo. appunto su tale telefono, ha mutato orientamento ed ha prospettato l’ipotesi di averla chiamata sul luogo di lavoro da una cabina pubblica sita nei pressi del centro fisioterapico Chiros, cha a quel tempo frequentava.

Dimostratasi fasulla anche tale indicazione perchè all’epoca S. non frequentava affatto il Chiros, il ricorrente ha suggerito che forse aveva effettuato la telefonata da altra cabina pubblica, senza essere in grado di fornire indicazioni più precise.

Ed allora, anche a volere prescindere da ulteriori imprecisioni – a quel tempo le cabine telefoniche non erano più munite di catalogo telefonico, i luoghi di lavoro della Di.Mo. erano tre, ma il ricorrente non ha saputo precisare ove avesse telefonato -, appare del tutto logico ritenere, così come hanno fatto i giudici di merito, che quelli posti in essere dallo S. siano stati tentativi di dare un fondamento alla pretesa revoca dell’appuntamento.

In questo quadro la mancata acquisizione dei tabulati dei centralini dei luoghi di lavoro, prova, peraltro, di scarsa affidabilità perchè numerose erano all’epoca, quando l’uso dei telefoni cellulari era ancora poco diffuso, le telefonate che giornalmente pervenivano ai centralini degli ospedali da cabine pubbliche, per essere stati nelle more distrutti i tabulati, non appare circostanza di grande rilievo, anche se ha costituito oggetto di discussione anche in sede di rinvio. Nè deve essere sottovalutato che S. era in possesso di un telefono cellulare e che, pertanto, avrebbe potuto chiamare la Di.Mo. con tale apparecchio, senza andare alla ricerca di una cabina telefonica pubblica e recarsi, poi, presso un bar o altro esercizio commerciale per recuperare il numero di telefono del luogo di lavoro della donna.

Anche in questo caso la giustificazione addotta di avere usato il telefono pubblico perchè il cellulare lo usava per ragioni di economia soltanto la sera o nei giorni festivi perchè in possesso del contratto cd. family appare poco plausibile, trattandosi di una comunicazione di breve durata e di costo contenuto, e smentita dal fatto che proprio in quei giorni S. aveva effettuato con il suo telefono cellulare numerose telefonate, debitamente riportate dalla sentenza del giudice di rinvio, in ore diurne.

7.3. Vi sono, poi, altri aspetti della questione che la corte di rinvio ha risolto in modo del tutto ragionevole e per nulla manifestamente illogico.

Si intende fare riferimento alla causa della revoca dell’appuntamento, ovvero il mal di schiena lamentato dallo S..

Orbene che il ricorrente avesse in quei giorni un tale problema è circostanza che può ritenersi pacifica, ed in effetti da nessuno messa in dubbio.

Del resto S. a causa del mal di schiena aveva disdetto una gita in montagna con altri tre amici soltanto qualche giorno prima e proprio il giorno (OMISSIS) aveva chiamato la sua amica dottoressa St. per prenotare alcuni esami strumentali.

Il problema, però, è costituito dal livello del disturbo, posto che per la gita in montagna è richiesto un grado di efficienza fisica di sicuro non paragonabile a quello necessario per la verifica di alcuni francobolli, attività che richiede un impegno fisico pressochè nullo.

Ebbene i giudici di rinvio hanno considerato che in quei giorni lo S. usciva regolarmente da casa – proprio nelle giornate del sette e dell'(OMISSIS) aveva trascorso numerose ore fuori di casa -, si dedicava a lavori impegnativi sul piano fisico, quali sono le attività connesse ad un trasloco nel quale era in quei giorni impegnato, e non mancava di vedere persone, come la sua fidanzata D.C.B. e la sua amica St.El..

Ed allora le condizioni fisiche dello S. non erano di sicuro perfette, presumibilmente anzi avvertiva dolori per il mal di schiena, forse indotto anche dai lavori per il trasloco ai quali si stava dedicando, ma non tanto gravi da indurlo a revocare un appuntamento già programmato, mostrandosi scortese con una donna, che, secondo alcune testimonianze, non gli dispiaceva.

Anche sul punto le deduzioni della corte di rinvio appaiono del tutto ragionevoli.

7.4. Altro aspetto sul quale si è a lungo discusso è costituito dalle telefonate e dall’appuntamento con B., che Di.Mo.

M. aveva fissato per la sera del giorno (OMISSIS) per discutere della organizzazione di un viaggio in motocicletta in Turchia.

Si è discusso se l’appuntamento fosse stato programmato nel corso della telefonata della sera del (OMISSIS), o in quella del pomeriggio del (OMISSIS), o se, invece, quest’ultima potesse avere altro significato.

Non appare utile in questa sede di legittimità ripercorrere tutto l’iter argomentativo sul punto, apparendo sufficiente ricordare che la corte di rinvio ha scandagliato in profondità le testimonianze del B., del padre e del fratello della vittima e dell’amico del B., I., pure interessato all’incontro con Di.Mo.

M. per la organizzazione del viaggio.

Ebbene la corte ha posto in evidenza che B., testimone del tutto attendibile, non ricordava che le telefonate fossero state due, ma ricordava bene che con quella o quelle telefonate fu fissato l’incontro per il giorno (OMISSIS) perchè Ma. era impegnata la sera dell'(OMISSIS) e perchè B. non aveva disponibilità per la sera stessa della telefonata.

Orbene l’invito a vedersi quella sera ha senso, come non ha mancato di notare la corte di rinvio, se si fa riferimento alla telefonata delle ore 16,20 del (OMISSIS), apparendo del tutto improbabile che con la telefonata delle ore 21,20 del (OMISSIS) si invitasse qualcuno a vedersi quella sera stessa, tenuto anche conto che si sarebbe dovuto discutere di un fatto che richiedeva un certo tempo – organizzare un viaggio non è del tutto semplice – e che a quell’incontro era interessata anche altra persona, I., non ancora avvertita.

Tale logica considerazione, unitamente alle dichiarazioni rese sul punto oltre che dal B. anche da D.M.M., impone di ritenere che l’appuntamento con B. venne fissato o riconfermato, dopo che la sera precedente il B. aveva acquisito anche la disponibilità di I., il giorno (OMISSIS) alle ore 16,20 e che, pertanto, in quella giornata non vi era stata alcuna revoca dell’appuntamento fissato per il mercoledì sera tra la Di.

M. e lo S.. Revoca non intervenuta nemmeno nel corso della mattinata del giorno (OMISSIS), come posto in evidenza dalla corte di rinvio, perchè quel giorno S. era stato in casa certamente fino alle ore 10,57, come risulta dai tabulati telefonici della utenza telefonica di casa; ebbene per tutto questo tempo, pur avendone la possibilità e la comodità, non ritenne di telefonare a Di.Mo.Ma. per revocare l’appuntamento.

Uscito di casa effettuò tre telefonate con il cellulare, ma non indirizzate all’utenza della Di.Mo. o a quella dell’ospedale ove lavorava. Risulta davvero inspiegabile perchè, pur essendo in possesso di un cellulare che usava regolarmente, S. si sia posto alla ricerca di un telefono pubblico.

7.5. Ulteriori elementi posti in evidenza dalla corte di rinvio legittimano le conclusioni raggiunte perchè assolutamente ragionevoli.

Come si è già posto in evidenza Di.Mo.Ma. aveva un appuntamento al quale teneva quella sera, come dimostra il fatto che il giorno prima si era recata dal parrucchiere e che acquistò degli oggetti – scarpe e calze -, che indossò prima di uscire di casa.

La corte di rinvio ha esaminato anche gli orari e, considerando che era anche possibile che la Di.Mo. si fosse recata in ufficio con la bicicletta, ha ritenuto che l’orario di uscita dall’ospedale e quello degli acquisti fosse compatibile con un appuntamento fissato per le ore 18,00/18,30 in via (OMISSIS), luogo certamente distante, ma non poi tanto, dalla abitazione della Di.Mo..

Del resto che la povera vittima fosse uscita in tutta fretta dalla sua abitazione è, come si è già rilevato, circostanza provata dal relativo disordine nel quale la sua abitazione venne lasciata; fretta che trova giustificazione per un appuntamento fissato per le ore 18,00/18,30, ma che non avrebbe alcuna logica se riferito ad un incontro fissato per le ore 20,00.

Anche S., secondo la sentenza impugnata, uscì di casa quel pomeriggio, come emerge essenzialmente dal fatto che sia alle ore 18,11 che alle ore 18,59 e 19,28 giunsero sulla utenza di casa S. tre telefonate, alle quali nessuno rispose.

Tale circostanza ha indotto la corte di rinvio a ritenere che sia S.P. che il figlio F. uscirono di casa dopo le ore 17,42 – telefonata del ricorrente alla amica St.El. – e prima delle ore 18,11 – telefonata senza risposta di tale Salino, amico di S.F..

Anche siffatta deduzione appare del tutto logica, non sembrando fondata la addotta ragione delle mancate risposte nell’uso rumoroso del trapano, posto che bisognerebbe ipotizzare che il rumore fatto da S. fosse così forte da impedire sia a lui che a F. di sentire il telefono, e che l’operazione si sarebbe protratta per un tempo particolarmente lungo, di sicuro non compatibile con il lamentato dolore alla schiena.

L’orario di uscita da casa dello S. desumibile dalle circostanze indicate appare del tutto compatibile con la necessità di essere puntuale all’appuntamento con la Di.Mo. alle ore 18,00/18,30 in via (OMISSIS), luogo distante circa un chilometro e mezzo dalla abitazione del ricorrente.

Correttamente, pertanto, la corte di rinvio ha ritenuto non credibili P. e S.F., i quali hanno sostenuto di essere rimasti in casa quel pomeriggio fin verso le ore 19,30.

Anche sul punto le obiezioni del ricorrente, che ha tra l’altro richiamato due telefonate pervenute sul cellulare dello S. quel pomeriggio di un tal C. elettricista, telefonate esaminate dalla corte di rinvio e che non sono apparse tali da smentire l’impostazione della stessa, non riescono a mettere in evidenza manifeste illogicità del ragionamento probatorio della sentenza impugnata, ma si esauriscono in inammissibili censure di merito della decisione impugnata.

7.6. Un’ultima considerazione si impone.

L’incontro era stato fissato, l’incontro non venne revocato, sia lo S. che la Di.Mo. uscirono di casa in un orario compatibile per un incontro alle ore 18,00/18,30 in via (OMISSIS).

Non vi può essere dubbio che la Di.Mo. uscì di casa per incontrare S., come è dimostrato non solo dalla annotazione contenuta nell’agenda, ma anche dal fatto che portò con sè la scatola di latta contenente i francobolli, dal momento che non sono possibili altre spiegazioni della sparizione dei francobolli, posto che in casa di Ma. non vi fu nessun furto e che i francobolli, come già detto, non furono ceduti a nessun altro.

La circostanza, che può essere certamente valutata come si è detto in precedenza, dimostra che la Di.Mo. uscì di casa proprio per incontrare S., così come suggerito dall’agenda e come dimostrato dagli altri elementi posti in evidenza, persona competente proprio in tale settore; se avesse dovuto incontrare altra persona, a prescindere dalla difficoltà di programmare altro appuntamento nel breve tempo seguito alla pretesa revoca dell’incontro con S., certamente non avrebbe portato con sè la scatola di francobolli. Ecco perchè la scomparsa di questi ultimi assume un indubbio rilievo nella valutazione della tragica vicenda.

8) l’alibi di S.P..

8.1. Il ricorrente ha denunciato in ordine alla prova d’alibi la violazione di legge – art. 628 c.p.p., comma 2 e art. 627 c.p.p., comma 3, – per violazione del dictum della corte di cassazione ed il vizio di motivazione sul punto, specialmente con riferimento alla valutazione delle testimonianze di D.C.B., N. M.A., figlia della D.C., S.F., figlio del ricorrente, Mo. e V.S..

Va subito detto che l’importanza della veridicità dell’alibi è stata di molto svalutata dalla corte di rinvio, che ha stabilito che l’incontro tra S. e la Di.Mo. è avvenuto tra le ore 18,00 e le ore 18,30 di giovedì (OMISSIS). Ed infatti l’alibi coprirebbe il periodo di tempo tra le ore 20,00/20,30 e le ore 21,30 di quella sera, posto che alle ore 21,57 S. era certamente a casa sua, o in prossimità di essa, come risulta dal tabulato telefonico del suo cellulare. Quindi S. avrebbe avuto tutto il tempo di commettere l’omicidio, nonostante la sua presenza per non molto tempo – si trattò, a quanto pare, di una cena frugale – in casa della fidanzata D.C.B.. Inoltre, come è stato posto in evidenza, dalle 21,57 del giorno (OMISSIS) alle ore 7,29 del giorno (OMISSIS) non vi sono elementi per indicare la presenza di S. in un posto determinato.

Ciò non toglie che l’alibi continui ad assumere un certo rilievo perchè indubbiamente, nel caso venisse accertata la sua presenza in casa della fidanzata nell’ora indicata, sarebbe molto più difficile ipotizzare un suo coinvolgimento nel grave delitto contestatogli.

E’ in questo senso che la corte di rinvio ha parlato correttamente di alibi parziale perchè lo stesso non coprirebbe, comunque, tutto il periodo di tempo in esame.

8.2. Il ricorrente, al fine di fare emergere contraddizioni e manifeste illogicità della motivazione della sentenza impugnata, oppure valutazioni contrastanti con quelle che sarebbero state espresse dalla sentenza di annullamento della corte di cassazione, ha in effetti passato in rassegna tutte le testimonianze concernenti la prova d’alibi quasi sollecitando una impossibile rivalutazione delle stesse da parte di questa corte.

In ogni caso, pur volendo prescindere da tale rilievo, va detto che la motivazione esibita dalla corte di rinvio sul punto non merita le critiche in punto legittimità del ricorrente.

E’ bene chiarire immediatamente che la corte di rinvio non ha parlato di falsità dell’alibi, ma di mancata prova dello stesso.

La differenza è di sicuro rilievo perchè, come ha chiarito la Suprema Corte, L’alibi sicuramente falso può essere valutato come indizio a carico dell’imputato, mentre la mancanza di alibi o il suo fallimento sono probatoriamente neutri (Cass., Sez. 1, 18 maggio – 11 giugno 1992, n. 6935, Modica, CED 190598; vedi anche Cass., Sez. 5, 19 novembre – 18 dicembre 1997, n. 19957, Chiazza, CED 209648); nel caso di specie, pertanto, non essendo stata accertata con certezza, secondo la corte di rinvio, la falsità dell’alibi, non si può parlare di indizio a carico dell’imputato; il fallimento della prova d’alibi, però, non consente di valutare a favore dell’imputato la circostanza dedotta, ovvero la sua asserita presenza in casa della D.C. tra le ore 20,00 e le ore 21,30 del giorno (OMISSIS).

8.3. Quanto alla valutazione delle singole testimonianze che attengono a tale profilo del processo, va detto che la approfondita analisi delle deposizioni compiuta dai giudici di rinvio ed il giudizio equilibrato che delle stesse è stato fornito non appaiono censurabili in sede di legittimità, sia perchè appaiono sorrette da una motivazione immune da manifeste illogicità, sia perchè esse non appaiono in contrasto con le determinazioni assunte dalla corte di cassazione con la sentenza di annullamento con rinvio della prima sentenza della corte di assise di appello.

Senza alcuna pretesa di completezza e riprendendo soltanto i passaggi motivazionali di maggiore rilievo, deve subito porsi in rilievo che nel presente procedimento è accaduto una fatto davvero singolare, nel senso che da un lato vi sono le dichiarazioni della D.C. B., di N.M.A., figlia della D.C., e di S.F., figlio del ricorrente, che sembrano confermare l’alibi, sia pure parziale, dello S., dall’altro vi sono varie dichiarazioni – Fi., A., V.S., Mo. e t. -, secondo le quali in diversi momenti la D.C. avrebbe riferito che l’alibi era falso, oltre ai silenzi di Ta.Gi., cara amica della D.C., destinataria presumibilmente di una tale confidenza, che a sua volta avrebbe riferito al Mo., che a propria volta ne aveva parlato con il t., suo caro amico. Orbene già questa prima rappresentazione della complessa situazione probatoria, unita al fatto che non vi è alcun elemento che possa fare ritenere possibile un complotto ai danni di D.C.B. e del suo fidanzato S.P., posto che parte dei dichiaranti non si conoscevano neppure tra loro e che in molti casi si tratta di persone, come ad esempio V.S. e Ta.Gi., che avrebbe riferito la confidenza al Mo., legate da profonda amicizia alla D.C., che nessun motivo di astio avevano nei confronti dell’amica.

Certo si potrebbe ipotizzare un fraintendimento delle parole pronunciate dalla D.C., ma è molto difficile ritenere che tutti i testi non abbiano compreso espressioni e concetti che appaiono assai elementari, tanto più che si tratta di persone di cultura medio-alta.

Già queste prime considerazioni fanno ritenere del tutto corretta la conclusione della corte di rinvio che non è stata raggiunta la prova della sussistenza dell’alibi.

Conclusione che risulta rafforzata dall’esame analitico delle singole deposizioni compiuto dalla corte di rinvio sulle quali brevemente ci si soffermerà.

La corte di rinvio, uniformandosi all’indirizzo della corte di cassazione, ha sostanzialmente tralasciato le deposizioni della Fi., perchè la stessa aveva ascoltato soltanto parti di una conversazione di D.C.B. con alcune amiche presso la macchina del caffè in ufficio, e della A., perchè la frase riportata come pronunciata dalla D.C. appariva non di univoca interpretazione.

La corte poi ha esaminato la testimonianza di D.C.B. e, pur volendo prescindere dalle incongruenze nelle quali sarebbe caduta la testimone con riferimento alla descrizione della serata di venerdì perchè non attengono strettamente alla questione in discussione, la ha ritenuta scarsamente attendibile perchè, in effetti, la donna, a seguito di insistenti domande, ha chiarito che non era in grado di precisare per quanto tempo S. quella sera si era trattenuto a casa sua, sia perchè solitamente appena rientra in casa si toglie l’orologio, sia perchè spesso la cena è assai frugale, in quanto si prende qualcosa dal frigorifero e velocemente si mangia.

E’ chiara, quindi, una cosa: non si trattava di una cena particolarmente curata e programmata, alla quale invitare altre persone, ad esempio anche il figlio di S., F., persona giovane che presumibilmente non si sarebbe accontentato di un pezzo di formaggio, e della quale si possa serbare uno specifico ricordo.

Anche le dichiarazioni di N.M.A. non sono state ritenute sicuramente attendibili.

In effetti D.C.B. soltanto il 27 aprile 2004 per la prima volta ha ricordato l’episodio della telefonata della figlia M.A. alla amica L.D. ed al conseguente rimprovero per la durata della stessa che era ad una utenza di Lecco.

In quella occasione la ragazza, che era nella sua stanza, avrebbe intravisto S. nel corridoio attraverso la porta semiaperta della stanza mentre la mamma la rimproverava.

La ragazza ha poi chiarito che si era confrontata con la mamma per ricomporre il ricordo della sera del giorno (OMISSIS), circostanza sostanzialmente negata dalla mamma.

La corte ha poi interpretato due telefonate intercettate intercorse tra la N. e la D.C. nell’imminenza della sua deposizione ed ha messo in evidenza la paura manifestata dalla ragazza di non sapere che cosa dire ed il timore di fare del male a P..

La conclusione che ne ha tratto la corte è che la ricostruzione di quella serata non fu effettuata subito, ma a distanza di circa sette anni dai fatti, quando le due donne erano a conoscenza della telefonata fatta a L.D. risultante dai tabulati telefonici e che, pertanto, fosse da mettere in dubbio la aderenza del ricordo alla realtà, essendo ben possibili a distanza di anni sovrapposizioni, dal momento che i rimproveri per la durata delle telefonate in presenza del ricorrente si erano verificati diverse altre volte.

Può esser vero che presumibilmente la ricostruzione di quella serata avvenne qualche tempo prima, e, quindi, anche prima del deposito degli atti perchè, come sostenuto dal ricorrente, la N. per la prima volta parlò della telefonata all’amica D. il 7 ottobre 2002 al pubblico ministero D., ma ciò non inficia la motivazione impugnata perchè, comunque, siffatta circostanza è emersa dopo molti anni dall’inizio delle indagini e dopo altri interrogatori ai quali era stata sottoposta la D.C..

In conclusione la motivazione che sorregge la valutazione delle deposizioni della D.C. e della N. appare lineare, puntuale e per nulla manifestamente illogica, cosicchè detta valutazione non è censurabile in sede di legittimità; le pur argute osservazioni del ricorrente non minano la logicità della impostazione della corte di rinvio.

Nè, infine, siffatta valutazione contrasta con il dictum della Suprema Corte.

8.4. La veridicità delle testimonianze delle due donne è stata messa in dubbio anche dalle dichiarazioni rese da V.S., detto Go., e Mo., deceduto nelle more del processo.

I due, come si è già accennato, avevano riferito che la D. C. aveva detto che l’alibi era falso; il primo lo aveva saputo direttamente dalla sua amica D.C., mentre il secondo lo avrebbe appreso da Ta.Gi., intima amica della D. C..

Il ricorrente ha sostenuto che la valutazione compiuta di queste due deposizioni dalla corte di rinvio collideva con il dictum della corte di cassazione, ma non è così.

La corte in sede di annullamento si era limitata a dire che con riferimento al Mo., testimone de relato le cui dichiarazioni non erano state confermate dalla fonte Ta., la corte di assise di appello non aveva compiuto il necessario controllo di attendibilità delle dichiarazioni rese.

Quanto a V.S. la corte aveva osservato che il giudice di secondo grado aveva completamente trascurato di considerare il contenuto della conversazione telefonica intercorso tra l’uomo e la D.C. il 29 marzo 2005.

Orbene la corte di rinvio ha affrontato tali temi e con riferimento a V.S. ha ritenuto attendibili le sue dichiarazioni perchè puntuali e precise.

Ha poi sottolineato la corte che V.S. era amico d’infanzia di D.C.B. e non aveva alcun motivo di astio nei confronti della donna e di S.P..

Il teste, che è estraneo al mondo B., aveva contestato in due occasioni alla D.C. che anche a lui ella aveva fatto la stessa rivelazione.

Quanto alla telefonata intercettata, nel corso della quale la D. C. si lamentò con l’amico che alcune colleghe nel corso del dibattimento avevano parlato di sue rivelazioni, ed al fatto che V. S. non avesse contestato immediatamente che anche a lui aveva fatto simili rivelazioni, la corte di rinvio ha chiarito che il mancato immediato intervento non appariva idoneo ad inficiare la verità delle sue contestazioni, tenuto conto che differenti sono le reazioni degli esseri umani.

Siffatta espressione è certamente generica e, quindi, scarsamente significativa, però non si può fare discendere dalla immediata mancata contestazione la non attendibilità della deposizione del testimone.

Ed infatti V.S. è stato descritto come persona gentile, riservata, non aggressiva e poco incline a parlare per telefono di questioni importanti, cosicchè effettivamente la circostanza non appare di grande rilievo, dal momento che il teste in più di una occasione aveva contestato alla donna di avergli fatto quelle rivelazioni.

Orbene si tratta di motivazione che non presenta tratti di manifesta illogicità e che è rispettosa del principio di diritto stabilito dalla corte di cassazione.

Quanto al Mo. il problema, secondo la corte di cassazione, era costituito dalla mancanza di valutazione di attendibilità, posto che il testimone in primo grado era stato reticente su quanto gli era stato riferito dalla Ta..

E’ certamente vero che il Mo. sul punto era stato reticente, ma in secondo grado ha spiegato che aveva paura che la Ta. lo smentisse e, quindi, non sapeva bene cosa fare.

Successivamente, anche su sollecitazione dell’amico t., anche lui deceduto nel grave incidente di alpinismo con l’amico Mo., si recò dal procuratore generale e disse la verità, ovvero quanto gli aveva riferito la Ta..

Disse poi all’amico t., che ha confermato la circostanza in secondo grado, finalmente mi sono tolto un peso e ho detto tutto quello che dovevo dire. Sono un uomo tranquillo, non ha fatto male a nessuno.

La corte di rinvio, tenuto conto di tali dichiarazioni, di quelle del t. e di quelle della moglie del Mo., D.E. M., che ha riferito che il marito diceva di essere contento di avere detto la verità, ha concluso per la attendibilità delle dichiarazioni rese da Mo..

Anche in questo caso la motivazione appare immune da vizi di legittimità perchè la corte di rinvio, con molta precisione, ha scandagliato tutti gli aspetti della testimonianza e della condotta del Mo., il quale, è bene ricordarlo, non aveva alcun motivo di contrasto con S. e con la D.C.. Ma, ha osservato ancora il ricorrente, in sede di confronto le dichiarazioni del Mo. non sono state confortate da quelle della fonte, ovvero della Ta.. Orbene, ai sensi dell’art. 195 cod. proc. pen., quando si tratti di testimonianza de relato, la fonte delle informazioni deve essere sentita, ma nel caso di contrasto di versioni o di silenzio, come è avvenuto nel caso di specie, essendosi la Ta., indagata per il delitto collegato di falsa testimonianza, avvalsa della facoltà di non rispondere, il giudice valuterà la testimonianza de relato dando atto del proprio convincimento (vedi Cass., Sez. 3, 30 novembre 2007 – 15 gennaio 2008, n. 2010, CED 238626).

La Ta. era molto amica di D.C.B., come testimoniano i numerosi sms che le due donne erano solite scambiarsi, cosicchè è pienamente credibile che sia stata destinataria di confidenze importanti. Il suo silenzio in sede di confronto con il Mo. può trovare spiegazione proprio in questa radicata e risalente amicizia perchè se Mo. avesse detto il falso certamente avrebbe reagito con veemenza denunciando la falsità delle dichiarazioni del testimone; il silenzio può trovare giustificazione nel fatto che la donna non si sia sentita di accusare di falso una persona che sapeva stesse dicendo la verità, ma non si sia sentita nemmeno di tradire la fiducia della sua amica.

Le valutazioni e le conclusioni sul punto della corte di rinvio appaiono, pertanto, del tutto ragionevoli ed immuni dai vizi di legittimità denunciati.

8.5. Quanto, infine, alla testimonianza di S.F. è fuori dubbio che la corte di assise di appello non ne aveva tenuto conto e, quindi, correttamente la corte di cassazione aveva disposto l’annullamento con rinvio sul punto.

La corte di rinvio ha esaminato la deposizione del F. ed è pervenuto alla conclusione che vi sono seri dubbi sulla veridicità di quanto raccontato.

Ed, infatti, come si è già posto in evidenza, appare singolare un invito ad una cena sostanzialmente inesistente, perchè forse conclusasi, se vi è stata, ma sul punto è lecito più di un dubbio, come si è già detto, in modo assai frugale con l’utilizzo di qualche pezzo di formaggio custodito nel frigorifero.

Inoltre quella sera vi era una partita importante in televisione e, quindi, S.P. ben sapeva che il figlio, appassionato di calcio, si sarebbe recato dalla zia per vedere la partita.

Poi F. ha riferito che il pomeriggio del giorno (OMISSIS) uscì di casa verso le ore 18,30/19,00, mentre il padre aveva detto che era già uscito nel pomeriggio e, comunque, era uscito prima di lui.

Fatto è che, come si è già notato in precedenza, alle ore 18,11 giunse una telefonata in casa S. alla quale nessuno rispose, segno che sia P. che S.F. a quell’ora erano già usciti di casa.

Ha ragione, allora, la corte di rinvio quando osserva che P. e S.F. mentono sul punto, circostanza che, unitamente alle altre poste prima in evidenza rendono la deposizione di S.F. inattendibile.

Anche sul punto la motivazione della corte di rinvio è immune da manifeste illogicità e non è quindi censurabile in questa sede.

9I’ Sulla attribuibilità del fatto all’imputato 9.1. Il ricorrente ha eccepito il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità di S.P.. In particolare il ricorrente rilevava che la condanna era fondata esclusivamente sull’incontro che sarebbe avvenuto tra S. e la D. M., senza che sia stata provata alcuna condotta dell’imputato che abbia potuto causare la morte della Di.Mo.. Sottolineava, ancora, il ricorrente che mancava la prova dell’avvenuto incontro, che, comunque, la prova dell’incontro non poteva costituire la prova dell’omicidio, e che mancava la indicazione di un movente. Suggeriva, infine, che la donna potrebbe avere incontrato la morte anche dopo l’incontro con lo S.. A ben vedere le tesi prospettate dal ricorrente sono ripetitive di precedenti contestazioni e, quindi, a tutte le precedenti considerazioni conviene fare riferimento, anche al fine di evitare inutili ripetizioni.

E’ necessario ricordare che, come si è avuto modo di chiarire, la complessità del presente procedimento è dato dal fatto che in primo luogo era necessario stabilire che un omicidio vi fosse stato e, poi, in seconda battuta stabilire se il delitto potesse o meno essere attribuito all’imputato.

Orbene sul primo punto, come si è già avuto modo di sottolineare, non sono possibili discussioni perchè la corte di cassazione in sede di annullamento ha stabilito che si doveva ritenere che la donna fosse morta, che doveva essere esclusa l’ipotesi del suicidio, che non era praticabile l’ipotesi della morte per cause naturali o accidentali perchè in tutte tali ipotesi sarebbe stato rinvenuto in qualche posto il cadavere, che non era ipotizzabile l’azione di un rapinatore o di un violentatore incontrato per caso dopo aver lasciato lo S. perchè anche in tali ipotesi il cadavere sarebbe stato ritrovato, non potendosi ritenere che tali soggetti avrebbero perso tempo per occultare il cadavere, invece, di allontanarsi velocemente dal luogo del delitto.

Su tali punti si è formato un giudicato parziale e, quindi, nè il giudice di rinvio, nè la corte di cassazione possono ritornare su tali questioni. La corte di rinvio ha poi escluso altre ipotesi, pure suggerite dalla difesa, ovvero che la Di.Mo. avesse potuto incontrare altre persone dopo l’appuntamento con lo S., ma non conviene insistere sul punto perchè lo stesso ricorrente non ha fatto riferimento nel ricorso a tali ipotesi alternative.

9.2. La corte di rinvio, dopo avere provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’incontro tra S. e la Di.Mo. nel tardo pomeriggio del giorno (OMISSIS) in base a tutti gli indizi dinanzi discussi e che appare superfluo richiamare, e dopo avere motivatamente escluso altre ipotesi sulla morte della donna, ha chiarito le ragioni che consentivano di legare la morte della donna alla condotta dello S..

Ed in effetti l’appunto sull’agenda e la scomparsa della scatola dei francobolli, che testimonia che l’incontro era proprio con S. esperto di francobolli, unitamente al comportamento post factum, che può essere utilmente valutato ai fini della affermazione di responsabilità, consistito, come si è visto nelle pagine precedenti, nel tentativo, non riuscito, di allontanare la propria persona da Di.Mo.Ma. prima negando l’appuntamento, poi ammettendo di avere fissato l’incontro, ma di averlo revocato, circostanza che come si è detto risulta non vera, e poi costruendo un alibi, che non ha trovato alcuna conferma, sono indizi certamente connotati da gravità ed univocità, che legano senza ombra di dubbio la fine della Di.Mo. alla azione del ricorrente.

In questo quadro non appare rilevante il fatto che non sia stato individuato un movente dell’azione omicidiaria perchè, come ha ripetutamente chiarito la suprema corte, la individuazione di un adeguato movente perde qualsiasi rilevanza, ai fini della affermazione di responsabilità, allorchè vi sia comunque la prova della attribuibilità dell’azione omicidiaria all’imputato (vedi Cass., Sez. 1, 27 aprile – 3 giugno 1998, n. 6514).

Anche tale motivo deve essere, pertanto, disatteso.

10) Sulla qualificazione giuridica del fatto.

10.1. Con il sesto motivo di impugnazione il ricorrente ha censurato la qualificazione giuridica del fatto contestato all’imputato, rilevando che la morte della Di.Mo. avrebbe potuto essere anche conseguenza di una condotta imprudente da qualificare, quindi, come omicidio colposo, o conseguenza di altro delitto doloso posto in essere, da qualificarsi come violazione dell’art. 586 cod. pen..

Le tesi suggerite dal ricorrente non sono fondate.

Deve in primo luogo rilevarsi che in punto qualificazione giuridica del fatto addebitato allo S. non vi è stato annullamento da parte della corte di cassazione, come rilevato dalla parte civile in sede di udienza.

Ed infatti la corte, dopo avere escluso, come già rilevato, le ipotesi del suicidio o della morte della Di.Mo. per cause accidentali o naturali, ha annullato la sentenza della corte di assise di appello perchè non si era dato conto, con congrua motivazione, della sussistenza della prova, oltre ogni ragionevole dubbio, della attribuibilità dell’omicidio all’imputato.

Quindi che si trattasse di omicidio, e precisamente dell’omicidio indicato dalla sentenza della corte di assise di appello, la sentenza che ha disposto l’annullamento lo ha dato per acquisito, restando il problema della attribuibilità del delitto allo S., dovendo essere approfonditi, in particolare, i temi della prospettata revoca dell’appuntamento e dell’alibi.

Nella parte motiva della sentenza di annullamento della corte di cassazione con molta precisione si è chiarito che il responsabile dell’occultamento del cadavere non poteva che identificarsi nella persona che intendeva in tal modo occultare la prova di un grave delitto che aveva commesso in danno della donna.

Sotto tale profilo, quindi, la questione della qualificazione giuridica sarebbe preclusa in questa sede perchè coperta dal giudicato parziale.

10.2. In ogni caso la corte di rinvio, che evidentemente non ha ritenuto che si fosse sul punto formato un giudicato, non si è sottratta alla valutazione richiesta dal ricorrente ed è pervenuta ad un risultato identico a quello della precedente corte di assise di appello, qualificando il fatto come omicidio preterintenzionale.

La Corte ha escluso che potesse trattarsi di omicidio colposo perchè se la morte della donna si fosse verificata per cause ascrivibili a comportamenti imprudenti dell’imputato, certamente questi si sarebbe adoperato per prestare soccorso alla vittima e, comunque, non si sarebbe sobbarcato alla fatica fisica ed allo stress psicologico di occultarne il cadavere, con il rischio concreto, una volta scoperto, di essere incriminato per omicidio volontario.

Si tratta di considerazioni del tutto logiche, che, peraltro, trovano fondamento nella esperienza che insegna che si preoccupa in modo minuzioso di occultare un cadavere soltanto chi si sia reso responsabile di gravissimi delitti.

Tali considerazioni sono, pertanto, sufficienti per escludere un comportamento colposo dello S..

Ininfluente è l’altro argomento utilizzato dalla corte di rinvio secondo il quale non si comprenderebbe per quale ragione l’imputato non avrebbe dovuto confessare un omicidio colposo oramai estinto per prescrizione.

Ha in questo caso ragione la difesa perchè confessato un fatto non è dato sapere come sarà qualificato dal giudice; in ogni caso per confessare un reato prescritto il ricorrente avrebbe dovuto, comunque, confessare un reato; dalla mancata confessione di un reato non è possibile trarre indizi contro l’imputato per altro e più grave reato.

10.3. Quanto alla meramente prospettata ipotesi di violazione dell’art. 586 cod. pen. va detto che l’ipotesi non è sostenibile perchè manca qualsiasi elemento, non essendo stato rinvenuto il cadavere, per sostenere che l’imputato nel commettere altro reato doloso – ad esempio una violenza carnale – abbia causato, senza volerla, la morte della Di.Mo..

10.4. La corte di rinvio ha sostenuto che in mancanza di dati probatori idonei alla individuazione delle concrete modalità della condotta posta in essere dall’imputato, non era possibile stabilire se nel caso di specie fosse ravvisabile un animus necandi oppure una volontà dell’agente di percuotere o ferire, con esclusione della previsione dell’evento morte.

In siffatta situazione probatoria ha ritenuto la corte che il fatto dovesse qualificarsi come una ipotesi di omicidio preterintenzionale e ciò essenzialmente per il principio del favor rei.

Ora, pur volendo prescindere dal fatto che la questione appare preclusa, come si è già detto, non solo perchè vi è un giudicato, ma anche perchè sul punto della scelta operata tra una ipotesi di omicidio preterintenzionale e una di omicidio volontario i motivi di ricorso appaiono del tutto generici, in quanto diretti ad ottenere la qualificazione del fatto come omicidio colposo, va detto che la decisione della corte di rinvio sembra ispirata a criteri di assoluta ragionevolezza, tenuto conto della mancanza di elementi probatori significativi, che consentano di privilegiare una delle due possibili qualificazioni giuridiche. In siffatte ipotesi certamente si giustifica la soluzione meno gravosa per l’imputato.

11) Il diniego delle attenuanti generiche e la misura della pena.

Di merito e generici sono i rilievi del ricorrente concernenti la misura della pena inflitta ed il diniego delle attenuanti generiche perchè la corte di rinvio nell’adottare tali decisioni ha fatto riferimento ai canoni di cui all’art. 133 cod. pen. e, precisamente, per quel che concerne la misura della pena alla gravità del fatto, anche in relazione all’occultamento del cadavere che ha inflitto una sofferenza aggiuntiva ai familiari della vittima, e per quanto riguarda il diniego delle attenuanti generiche al comportamento processuale dell’imputato ed ai gravi precedenti penali.

Siffatta motivazione non merita alcuna censura sotto il profilo della legittimità. 12) Conclusioni.

Per tutte le ragioni indicate il ricorso proposto da S. P. deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato a pagare le spese del procedimento ed a rimborsare le spese sostenute dalle parti civili, liquidate per D.M.M. in Euro 4.000,00, di cui Euro 3.000,00 per onorario e per D.M.G. in Euro 3.000,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, liquidate per D.M. F. in Euro 4.000,00, di cui Euro 3.000,00 per onorano e per D. M.G. in Euro 3.000,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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