T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. I, Sent., 20-07-2011, n. 820 Mobbing

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con ricorso notificato il 28 luglio 2004 e depositato il 23 settembre 2004, M.D., maresciallocapo dell’Esercito con la qualifica di infermiere professionale, in servizio presso il centro Militare Legale di Cagliari, ha adito questo Tribunale per la declaratoria dell’illegittimità della condotta tenuta dal Ministero della Difesa, quale datore di lavoro del ricorrente, e per la condanna al risarcimento dei danni.

2. – Con l’atto introduttivo, riferisce che gli episodi si sono succeduti nel corso del servizio svolto dal M. presso il "Servizio isolato di assistenza sanitaria ai tiri" al Poligono di Porto Tramatzu, a partire dal 24 settembre 2001. In particolare:

a) prima di partire per il Poligono, il M. chiedeva la verifica delle dotazioni, attrezzature e materiale sanitario per le Autoambulanze impiegate per le esigenze del servizio, riscontrandone la incompletezza;

b) il ricorrente, con nota del 25 settembre 2001, chiedeva conseguentemente al Capo dei Servizi Sanitari di conoscere le dotazioni sanitarie previste;

c) nella medesima nota, il ricorrente chiedeva di conoscere il comportamento da tenere nel caso in cui le autoambulanze non fossero rispondenti a quanto previsto, anche al fine di evitare sanzioni disciplinari;

d) infine, manifestò dubbi circa la conoscenza dei compiti cui era tenuto il sottufficiale preposto alla assistenza, cioè il ricorrente medesimo, da parte dei responsabili delle esercitazioni.

3. – La vicenda è proseguita attraverso ulteriori richieste verbali e note scritte spedite dal M. anche attraverso il patrocinio dell’avv. Elisabetta Mura, tese a ottenere dall’amministrazione le delucidazioni richieste (note del 22 marzo e del 15 novembre 2002).

Il Capo dei Servizi Sanitari comunicò al M., con nota prot. n. 08/614/Pers. del 18 novembre 2002, le disposizioni cui si sarebbe dovuto attenere.

4. – Sostiene il ricorrente che da quel momento il Capo dei Servizi Sanitari avrebbe svolto un’azione di continua persecuzione nei suoi confronti, concretizzatasi nel mese di maggio 2004 nell’abbassamento delle note caratteristiche da "eccellente" a "nella media" e nei seguenti altri episodi citati nel ricorso a sostegno di tale affermazione:

– una richiesta di concessione di tre giorni di riposo compensativo, dapprima negata dal Capo dei Servizi Sanitari e poi concessa dal superiore gerarchico;

– l’atteggiamento tenuto dall’Ufficiale, in data 18 marzo 2003, in occasione della consegna di un certificato medico da parte del M., presso il C.M.M.L. di Cagliari, nel corso della quale l’Ufficiale con atteggiamenti arroganti e sprezzanti avrebbe immotivatamente e reiteratamente rifiutato di ricevere il certificato presentato dal ricorrente.

5. – Ritenendo che quanto sopra esposto configuri gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria di c.d. mobbing, con il ricorso introduttivo M.D. chiede di accertare e dichiarare l’illiceità dei comportamenti sopra richiamati e di condannare l’amministrazione intimata al risarcimento del danno cagionato.

6. – Con atto di motivi aggiunti, consegnato per la notifica il 17 gennaio 2005 e depositato il 3 febbraio 2005, estende l’impugnazione del provvedimento del direttore Sanità della Regione Militare Sud del 12 novembre 2004, prot. n. CSI/005/05207/Seg., con il quale è stato respinto il ricorso gerarchico avverso la sanzione disciplinare di corpo della consegna, nonché la determinazione contenente la predetta sanzione disciplinare, disposta all’esito del procedimento disciplinare aperto in seguito alla richiesta scritta formulata dal M. di conferire con i superiori gerarchici in ordine agli episodi esposti nel ricorso introduttivo. Richiesta nella quale si parlava, con riferimento a tali episodi, di "comportamento inadeguato" del Capo dei Servizi Sanitari. Da ciò l’imputazione per la violazione degli articoli 2, 36 e 37, del regolamento di Disciplina Militare, in quanto ritenuta espressione non conforme a correttezza; così come la richiesta, formulata al proprio Comandante, di rappresentargli ogni comunicazione per iscritto.

7. – Avverso il provvedimento impugnato con i motivi aggiunti, il ricorrente deduce:

– violazione dell’art. 15 della legge 11 luglio 1978, n° 382, per la genericità della contestazione degli addebiti; e per la mancata contestazione del fatto relativo all’aver chiesto al proprio Comandante, di rappresentargli ogni comunicazione per iscritto, con pregiudizio al diritto di difesa;

– violazione degli articoli 59 e 66 del R.D.M., nonchè degli artt. 7 e 8 della legge n. 241/1990, per la mancata previsione di un termine a difesa a favore del ricorrente;

– difetto di motivazione;

– violazione del principio di proporzionalità tra la violazione addebitata e la sanzione applicata;

– violazione dell’art. 16 della legge n. 382/1978 e incompetenza, con riferimento al provvedimento di rigetto del ricorso gerarchico, illegittimamente adottato dal Direttore di Sanità Gen. Coppola, incompatibile avendo rilevato l’infrazione del M. e proposto la sanzione;

– inopportunità nel merito della sanzione disciplinare, considerato che il M. si era trovato continuamente oggetto di comportamenti vessatori del diretto superiore; ne deriva anche la violazione della direttiva sull’Etica Militare

8. – Il Ministero della Difesa si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso.

9. – All’udienza pubblica del 9 marzo 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

10. – Il Collegio ritiene che nella fattispecie, per le ragioni che di seguito verranno esplicitate, non sussistano le condizioni necessarie per configurare una fattispecie qualificabile come "mobbing", in relazione agli episodi citati nell’atto introduttivo.

11. – Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, per "mobbing", riconducibile alla violazione degli obblighi derivanti, per il datore di lavoro, dall’art. 2087 c.c., deve intendersi una condotta del datore stesso nei confronti del lavoratore protratta nel tempo e consistente in reiterati comportamenti ostili, che assumono la forma di discriminazione o di persecuzione psicologica da cui consegue la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente nell’ambiente di lavoro, con effetti lesivi dell’equilibrio fisiopsichico e della personalità del medesimo.

In quest’ottica, è stato precisato che, ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro, sono necessari: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio posti in essere in modo sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del dirigente e il pregiudizio all’integrità psicofisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio (in questo senso Corte Cost. n. 359/03; Cass. n. 7382/10; Cass. n. 3785/09; Cons. Stato sez. IV n. 1991/10; TAR Umbria n. 469/10; TAR Piemonte n. 2438/08).

È stato, pertanto, messo in risalto che il tratto strutturante del "mobbing" – tale da attrarre nell’area della fattispecie comportamenti che altrimenti sarebbero confinati nell’ordinaria dinamica, ancorché conflittuale, dei rapporti di lavoro – è proprio la sussistenza di una condotta volutamente prevaricatoria da parte del datore di lavoro volta a emarginare o estromettere il lavoratore dalla struttura organizzativa.

Ciò premesso, nella fattispecie non è, in primo luogo, ravvisabile quella pluralità di comportamenti sistematicamente caratterizzati dall’univoco intento di estromettere o emarginare il lavoratore dal contesto lavorativo.

Inoltre è decisiva la considerazione della genericità dell’atto introduttivo in ordine agli altri due elementi costitutivi della fattispecie di cui trattasi. In effetti non è dimostrato né l’evento lesivo risultante dai comportamenti (asseritamente) persecutori lamentati dal ricorrente; né viene indicato alcun elemento da cui possa ricavarsi la sussistenza di quel coefficiente soggettivo (l’intento persecutorio) che deve necessariamente connotare e sostenere le azioni illecite addebitate al superiore gerarchico.

12. – Il ricorso introduttivo è pertanto infondato e deve essere rigettato.

13. – Quanto ai motivi aggiunti, va premessa la inammissibilità del motivo con il quale si contesta l’inopportunità nel merito del provvedimento impugnato; nonché del motivo incentrato sulla violazione della c.d. direttiva sull’Etica Militare, che non risulta proposta con il ricorso gerarchico.

In secondo luogo, va rilevato come siano infondate le dedotte violazioni del procedimento disciplinare, tenuto conto:

– che l’art. 59 del regolamento di disciplina militare (approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 1986, n. 545), applicabile ratione temporis, prevede che "Il procedimento disciplinare deve essere instaurato senza ritardo e svolgersi oralmente", per cui le eventuali incongruenze delle comunicazioni scritte in fatto intervenute non possono assumere rilievo ai fini della legalità del procedimento in esame;

– che la motivazione appare sufficiente ed adeguata, e conforme a quanto previsto dall’art. 59, comma 5 (La motivazione deve essere redatta in forma concisa e chiara e configurare esattamente l’infrazione commessa indicando la disposizione violata o la negligenza commessa e le circostanze di tempo e di luogo del fatto) del R.D.M., sia nel provvedimento di primo grado ( comunicazione del 3 settembre 2004, in cui la sanzione è motivata con riguardo alle "espressioni non consone" utilizzate dal M. nel giudicare l’operato dei suoi superiori), sia nella decisione sul ricorso gerarchico nella quale si osserva come "i contenuti della lettera inoltrata dal Sottufficiale… confliggono con l’obbligo statuito di rispetto del principio di gerarchia e del discendente rapporto di subordinazione" e con il dovere del militare di evitare parole e discorsi non confacenti alla dignità e al decoro, come sanciti dal regolamento di disciplina militare (artt. 36 e 37);

14. – In ordine alla violazione della proporzionalità tra illecito e sanzione applicata, occorre rammentare che la giurisprudenza ha più volte approfondito la natura, gli effetti e i limiti del principio di proporzionalità e del connesso sindacato del g.a. (cfr. Cons. Stato sez. IV, 18 dicembre 2006, n. 7615 in materia disciplinare; sez. IV, 25 marzo 2005, n. 1275, in materia di insindacabilità della misura delle sanzioni disciplinari irrogate a pubblici dipendenti), sottolineando come da parte del giudice amministrativo sia possibile effettuare, in ordine alle valutazioni discrezionali (siano esse tecniche o amministrative) solo un riscontro ab externo e nei limiti della abnormità, con esclusione di ogni sostituzione del giudice all’amministrazione. Altrimenti opinando, si introdurrebbe surrettiziamente una smisurata ed innominata ipotesi di giurisdizione di merito del g.a. in contrasto con le caratteristiche ontologiche di siffatta giurisdizione, che sono, all’opposto, la tipicità e l’eccezionalità in quanto deroga al principio di separazione dei poteri, cui si ispira la legislazione (cfr. Cons. Stato sez. IV, 18 dicembre 2006, n. 7615).

Ne discende che il principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, ed il suo corollario in campo disciplinare rappresentato dal c.d. gradualismo sanzionatorio, non consentono al giudice amministrativo di sostituirsi alle valutazioni discrezionali compiute dall’autorità disciplinare, che possono essere sindacate esclusivamente qualora trasmodino nell’abnormità.

Nel caso di specie tale evenienza non sussiste, anche per la tenuità della sanzione irrogata (tre giorni di consegna).

16. – Infine, è infondata anche la dedotta incompetenza del Direttore di Sanità alla decisione del ricorso gerarchico, considerato che nella comunicazione degli addebiti disciplinari (del 28 agosto 2004), quando si cita il "Sig. Generale Comandante", come colui il quale ha segnalato le violazioni disciplinari del M., il riferimento non è al Gen. A.C. (Direttore di Sanità) ma al Maggiore Generale F.L.P., Comandante della Regione Militare Sud.

17. – Il ricorso e i motivi aggiunti sono, in conclusione, infondati e debbono essere rigettati.

18. – Sussistono giusti motivi, in relazione alla peculiarità della vicenda esaminata, per disporre la integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, Sezione Prima, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso e i motivi aggiunti, come in epigrafe proposti.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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