Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23-02-2011) 15-07-2011, n. 28060 Motivazione contraddittoria, insufficiente, mancante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Brescia, con sentenza in data 17 dicembre 2009 ha confermato la sentenza emessa all’esito del giudizio abbreviato dal G.U.P. presso il Tribunale di Brescia del 19 marzo 2008, che aveva condannato M.B. alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione, per i delitti di cui all’art. 61 c.p., n. 11, artt. 609 bis e 609 ter, c.p., commessi in danno di C. J., all’epoca minore di quattordici anni, fatti commessi in Breno, nel luglio-agosto 2002, con abuso delle relazioni domestiche e di ospitalità, in quanto la bambina era figlia della nipote ed ospite a casa sua (durante la notte l’imputato si era introdotto nella camera da letto del figlio dodicenne, dove dormiva anche la bambina, e dopo averla spogliata e toccata nelle parti intime con le mani e la bocca, le aveva preso la mano e si era fatto masturbare).

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, per mezzo del proprio difensore, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1. Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, in relazione alla ritenuta responsabilità dell’imputato. La motivazione della sentenza impugnata risulterebbe illogica e contraddittoria, se non meramente apparente, o addirittura omessa. In ordine alle concrete doglianze svolte con l’atto di appello circa la credibilità della persona offesa ed alla plausibilità del racconto dalla stessa offerto, affermate dal giudice di prime cure, le spiegazioni fornite dalla Corte sarebbero consistite in enunciazioni astratte e generali circa l’attendibilità della minore. I giudici avrebbero preteso di spiegare le contraddizioni tra le versioni fornite dalla persona offesa con un meccanismo meramente retorico, ritenendo, ad esempio, attendibile il narrato alla dottoressa G., in quanto la minore l’avrebbe "percepita" quale specialista, in contrasto, non spiegato, con quanto dalla Corte affermato in merito alle dichiarazioni rese alla dottoressa T.. In riferimento ad altri passaggi della motivazione, il ricorrente ha rilevato che la Corte non avrebbe valutato gli argomenti in atti, mentre avrebbe, impropriamente, preceduto ad una interpretazione della psicologia della persona offesa, senza ancorare tale interpretazione nè a dichiarazioni fornite dalla stessa, nè ad altri riscontri oggettivi.

2. Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) (inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale e mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione) in relazione alla richiesta attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c.. La Corte d’Appello avrebbe omesso completamente ogni valutazione delle censure espresse dalla difesa nell’atto di impugnazione, limitandosi ad un richiamo del tutto generico. Del pari apodittico il diniego al riconoscimento addotto sulla base di danni permanenti "evidenti". 3. Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) ed e) (inosservanza delle norme penali processuali ed illogicità e contraddittorietà della motivazione) in relazione alla ritenuta sussistenza anche della condotta relativa al rapporti sessuali di tipo orale. La Corte di appello ha ritenuto di non poter esaminare la censura trattandosi di argomento nuovo, non incluso nell’atto di appello. Invece la richiesta concerneva l’eliminazione dal capo di imputazione del richiamo a tale condotta, in quanto il giudice di primo grado, nel ricostruire la vicenda, aveva già escluso la sussistenza di tale tipo di rapporti tra le condotte poste in essere dall’imputato.

Motivi della decisione

1. Ad avviso di questo Collegio il primo motivo di ricorso è fondato. In tema di sindacato del vizio della motivazione, il compito del giudice di legittimità, che non deve certo sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, è quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

Dalla verifica condotta sulla compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione, emerge, invece, che la sentenza impugnata non è sufficientemente motivata sui punti che erano stati sottoposti a censura con l’atto di appello, in quanto la complessità della vicenda nel suo complesso, e le lamentate discrasie presenti nelle dichiarazioni rese dalla persona offesa, in diverse occasioni e a diverse persone, avrebbero meritato un attento esame di ciascuna delle censure, in modo da supportare, in maniera adeguata e coerente, le ragioni specifiche poste a base della colpevolezza o quelle contrarie.

L’incongruenza argomentativa dimostrata nell’esposizione degli elementi posti a fondamento della valutazione di attendibilità della persona offesa C.J., attendibilità che assume di certo, nel processo per reati sessuali commessi in danno di minori, carattere di decisività, rappresenta un indubitabile vizio della motivazione. Infatti è vero che per la valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa non deve essere utilizzato il criterio di cui all’art. 192 c.p.p. e che è ben possibile che il giudice tragga il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, ma occorre che le dichiarazioni rese dalla persona offesa siano sempre sottoposte a vaglio positivo circa l’attendibilità (cfr., per tutte, Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv.

248016). Ed è stato affermato, in particolare in relazione ai reati contro la libertà sessuale, che "la valutazione del contenuto delle dichiarazioni della persona offesa minorenne, oltre a non sfuggire alle regole generali in materia di testimonianza, in relazione alla attenta verifica della natura disinteressata e della coerenza intrinseca del narrato, richiede la necessità di accertare, da un lato, la cosiddetta capacità a deporre, ovvero l’attitudine psichica, rapportata all’età, a memorizzare gli avvenimenti e a riferirne in modo coerente e compiuto, e, dall’altro, il complesso delle situazioni che attingono la sfera inferiore del minore, il contesto delle relazioni con l’ambito familiare ed extrafamiliare e i processi di rielaborazione delle vicende vissute" (Sez. 3, n. 39994 del 26/9/2007, Maggioni, Rv. 237952).

2. Nella specie, la sentenza impugnata ha omesso di effettuare un approfondito controllo sulla attendibilità delle dichiarazioni di C.J. e, soprattutto, la motivazione esposta risulta meramente apparente, autoreferenziale, manifestamente illogica, quanto al rigetto delle censure formulate con l’atto di appello, con le quali la difesa aveva eccepito la assoluta contraddittorietà, sotto diversi profili, tra le versioni offerte dalla minore ai diversi interlocutori ai quali aveva narrato i fatti di cui è processo.

In particolare la difesa aveva posto l’accento sulla necessità di vagliare e confrontare le narrazioni della persona offesa – niente affatto analoghe – antecedenti al periodo in cui la stessa si era sottoposta ad una serie di colloqui con la psicologa dott.ssa T., colloqui volti alla ricostruzione del riferito abuso. Ciò perchè successivamente, la memoria della vicenda si era cristallizzato ed aveva acquisito una sorta di "compattezza" confluita nelle dichiarazioni che la persona offesa aveva reso in sede di incidente probatorio. Inoltre la difesa aveva censurato il fatto che il giudice di primo grado avesse tratto proprio dall’incredibilità del fatto, riassunto nelle sue modalità rocambolesche, la credibilità della persona offesa e la veridicità del racconto. A fronte di tali specifiche censure la sentenza impugnata, di contro, ha esordito con una "osservazione preliminare", nella quale sono stati sintetizzati in premessa alcuni criteri generali di valutazione delle testimonianze dei minori, utilizzati per affermare come "comprensibili" alcune delle risposte fornite dalla persona offesa circa le modalità del fatto e per attribuire alla stessa persona offesa sentimenti quali "vergogna" (p. 6 della sentenza), "paura" che le dichiarazioni la esponessero ad un giudizio negativo (p.7), determinazione quanto alla necessità di "circoscrivere il narrato" (p.9). Quanto all’atteggiamento della famiglia, la sentenza ha offerto una serie di riflessioni generali sulla necessità che la famiglia di un (qualunque) soggetto abusato riceva supporto psicologico, traendo una serie di conseguenze in linea teorica generale (p. 7). Insomma, i giudici di appello hanno fatto continuo ed esteso riferimento a vicende similari, richiamando riflessioni e considerazioni più sociologiche che fattuali ed hanno anche svolto alcune considerazioni ritenute espressione degli orientamenti della comunità scientifica che si occupa delle tematiche degli abusi sessuali su minori (pp. 9 e 10), menzionando persino "casi classici" di "anestesia morale" , per concludere con una commento circa i rischi del processo inquisitorio (p.11-12).

3. Orbene, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, il giudice di merito deve utilizzare tutti gli apporti probatori acquisiti (tra essi, le testimonianze e le risultanze peritali) analizzandoli secondo le regole dell’ordinaria logica e di dati di evidente esperienza, per raggiungere a conclusioni che siano riscontrabili non solo sul piano del ragionamento, ma su quello dei risultati probatori ritualmente acquisiti nel processo penale, senza far confluire in tale valutazione conclusiva alcun sapere privato od alcuni giudizi di valore (ipotizzabili in astratto), altrimenti il risultato di tale valutazione risulterebbe inficiato da tali pregiudizi.

Nella sentenza impugnata, di contro, ci si è mossi da enunciazioni di mera rilevanza sociologica e da approssimative semplificazioni della scienza psicologica per interpretare aprioristicamente i fatti, senza neppure restare aderenti ai dati probatori acquisiti e tralasciando le specifiche censure che erano state proposte dalla difesa. Talune affermazioni della Corte di appello di Brescia non sono, peraltro, nè massime di esperienza, nè costituiscono principi condivisi in tema di psicologia dell’età evolutiva della comunità scientifica, ma al contrario, rappresentano delle considerazioni – che potrebbero essere anche condivisibili in astratto, qualora fossero impiegate in un discorso generale – che risultano del tutto avulse da un compiuto argomentare tecnico-giuridico aderente al caso di specie, considerazioni alle quali manca del tutto il collegamento necessario alla realtà fattuale del processo.

La decisione impugnata, quindi, nel confermare le vantazioni di merito espresse in primo grado, ha fornito una motivazione nella quale l’esame delle contraddizioni tra le dichiarazioni della parte offesa e la verifica della sua attendibilità sono viziati da presupposti interpretativi errati, in quanto aprioristici, del tutto scollegati dalle risultanze processuali, ivi comprese le stesse dichiarazioni rese dalla minore nel processo e le dichiarazioni rese dalla stessa alle consulenti/psicologhe o ad altri testimoni.

In conseguenza all’accoglimento del primo motivo di ricorso vanno ritenute assorbite le censure avanzate dal ricorrente con gli altri motivi e deve, quindi, disporsi l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia per nuovo esame.

P.Q.M.

annulla la sentenza con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia per nuovo esame.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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