Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-02-2011) 15-07-2011, n. 28058 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Bari, con sentenza del 31 marzo 2010, ha confermato la sentenza emessa dal G.U.P. del Tribunale di Bari che ha condannato D.P.P. alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione, per il delitto di cui all’art. 416 c.p., commi 2 e 5, con riferimento al D.P.R. n. 282, artt. 282 e ss. e D.P.R. n. 43 del 1973, art. 291 quater, per avere promosso e preso parte ad un’associazione a delinquere per l’importazione in Italia di tabacchi lavorati esteri, con l’aggravante del numero superiore a dieci, fatti accaduti in repubblica di Montenegro, Barletta, Trani ed altre zone, dal 6 dicembre 2000 fine al 10 maggio 2002).

L’imputato ha proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:

1. Violazione art.606, lett. e) c.p.p., in relazione all’art. 546 c.p., comma 1, lett. e) e all’art. 133 c.p.. Per consolidata giurisprudenza la partecipazione all’associazione a delinquere è caratterizzata dal fornire all’associazione un contributo causale sufficiente per la realizzazione del programma comune unitamente alla volontà di apportare consapevolmente tale contributo, mentre dalle conversazioni intercettate non sarebbe stata desumibile alcuna forma di adesione del D.P. all’associazione e, in particolare, alcuna volontà di apportare un qualche contributo alla stessa. La sentenza avrebbe omesso di motivare proprio su quelle intercettazioni dalle quali appariva chiaro che l’attività di meccanico navale era svolta dal D.P. e dalle quali emergeva che non vi era contributo consapevole e volontario diretto alla realizzazione degli scopi dell’associazione a delinquere: il ricorrente aveva semplicemente svolto dei lavori di manutenzione sugli scafi, del mancato pagamento dei quali si lamenta al telefono con la moglie, come dalle telefonate che si riportano nel ricorso. La sentenza si sarebbe limitata a descrivere ed interpretare, non oggettivamente, alcune intercettazioni al fine di avvalorare l’esposizione generale dei fatti dai quali si è fatta derivare la coscienza e volontà del ricorrente di partecipare attivamente alla realizzazione dell’accordo. Con riferimento all’art. 546 c.p.p., non sembra siano stati provati, in considerazione di quanto dedotto nei motivi di appello, gli elementi caratterizzanti la condotta incriminatrice e la motivazione impugnata non sembra dotata di quegli elementi idonei a dimostrare la penale responsabilità del prevenuto.

2. Violazione art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione all’art. 133 c.p.. La Corte di appello, in maniera illogica avrebbe negato la concessione delle attenuanti generiche prevalenti, atteso che il ricorrente non ha di certo ottenuto ingenti profitti, come emerso dalle intercettazioni.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso risulta infondato.

La giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 10951 del 15/03/2006, Casula) secondo cui "alla luce della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dettata dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia:

a) "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non "manifestamente illogica", ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non internamente "contraddittoria", ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non logicamente "incompatibile" con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione".

Orbene la verifica effettuata sulla tenuta argomentativa della sentenza impugnata esclude la sussistenza di vizi in ordine alle valutazioni degli elementi probatori operate dai giudici di appello in ordine alla colpevolezza di D.P.. Tanto più che, come è stato più volte affermato da questa Corte (cfr. Sez. 4, n. 15227 dell’I 1/4/2008, Baretti, Rv. 239735; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061), quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo.

2. Anche il secondo motivo di ricorso non è fondato, il giudice di appello ha fornito congrua ed estesa motivazione delle ragioni per le quali le riconosciute circostanze attenuanti generiche (collegate in via esclusiva al comportamento post-factum dell’imputato), non possono essere ritenute prevalenti sulla contestata aggravante, ponendo l’accento sia sui numerosi precedenti penali, che sulla durata dell’adesione al consortium criminis (circa tre mesi), che sui comprovati contatti interpersonali con esponenti di rango criminale superiore. Il presente ricorso, in conclusione, va rigettato ed alla dichiarazione di rigetto del gravame consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere del pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *