Cass. civ. Sez. I, Sent., 05-12-2011, n. 25957 Diritti politici e civili

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Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Salerno, con decreto del 30.9.08, ha respinto la domanda di O.L. di riconoscimento di un equo indennizzo per l’eccessiva durata di un giudizio da lei promosso dinanzi al Tribunale di Castrovillari, che era stato definito in via transattiva in grado d’appello, dopo quasi 16 anni dalla data di notifica della citazione.

La Corte territoriale – premesso che, ai sensi del comb. disp. degli artt. 2056 e 1227 C.C., il risarcimento deve essere escluso quando il danneggiato ha concorso a determinare il danno od avrebbe potuto evitarlo usando l’ordinaria diligenza – ha ritenuto che la protrazione del procedimento oltre il termine di 5 anni di sua durata ragionevole fosse da ascriversi, per 5 anni e 7 mesi, alla condotta dilatoria delle parti, che avevano avanzato richieste di rinvio; ha quindi affermato che tale condotta, costituendo evidente sintomo del sostanziale disinteresse delle parti medesime alla sollecita definizione del giudizio, escludeva la sussistenza di un pregiudizio risarcibile in relazione al periodo di ritardo addebitabile a disfunzioni dell’apparato giudiziario.

O.L. ha proposto ricorso per la cassazione del provvedimento, affidato a tre motivi, cui il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con i tre motivi di ricorso, O.L., denunciando violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e vizio di motivazione, si duole del rigetto della domanda di equo indennizzo sotto distinti profili.

Osserva, in primo luogo, che il rinvio all’art. 2056 c.c., contenuto nella L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, rileva soltanto ai fini del quantum della riparazione, ma non può condurre ad escludere integralmente il diritto all’indennizzo.

Deduce, inoltre, che anche i rinvii superiori al termine ordinario di cui all’art. 81 disp. att. c.p.c., concessi dal giudice su richiesta delle parti devono essere computati ai fini della determinazione del periodo di durata irragionevole del giudizio.

Contesta, infine, che il comportamento dilatorio delle parti possa condurre al rigetto della domanda. I motivi, che essendo fra loro connessi, possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati e meritano accoglimento.

Costituisce principio costantemente affermato da questa Corte che, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo di cui all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Ne consegue che il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale se non ricorrono, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente. (Cass. SS.UU. 1338/04) La condotta processuale delle parti costituisce, d’altro canto, uno dei parametri del quale il giudice deve tener conto, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, nel determinare la durata irragionevole del processo. Tuttavia, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, non sono detraibili da tale durata i rinvii richiesti dalle parti non imputabili ad un intento dilatorio od a loro negligente inerzia, o, in generale, all’abuso del diritto di difesa (Cass. n. 11307/10), dovendosi, peraltro, anche in detta ipotesi, valutare se al protrarsi del giudizio oltre il termine ritenuto ragionevole non abbiano concorso anche i tempi lunghi del rinvio fra l’una e l’altra udienza, dovuti a ragioni organizzative riferibili all’amministrazione giudiziaria (Cass. n. 7550/010).

La Corte salernitana, facendo errata applicazione dell’art. 1227 c.c., si è palesemente discostata dai predetti principi: ha infatti dapprima addebitato integralmente alle parti il ritardo dovuto all’accoglimento delle loro richieste di rinvio, senza compiere alcuna indagine in ordine alle motivazioni sottese a tali richieste ed alla congruità dei differimenti dell’udienza accordati dal giudice istruttore, ed ha successivamente escluso la sussistenza del danno non patrimoniale lamentato dalla ricorrente anche in relazione al periodo di durata eccessiva del processo sicuramente imputabile a disfunzioni dell’organizzazione giudiziaria, senza chiarire nè perchè l’ O. avrebbe potuto evitare di soggiacervi usando l’ordinaria diligenza, nè perchè – a dispetto di tale dato oggettivo – la condotta della stessa costituisse prova della assenza di un suo patema d’animo derivante dal protrarsi del giudizio.

Il decreto impugnato va pertanto cassato e la controversia va rimessa, per un nuovo giudizio, alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa il decreto impugnato e rinvia, per un nuovo giudizio, alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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