Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-02-2011) 15-07-2011, n. 28055 Giudizio d’appello sentenza d’appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Lecce, con sentenza del 9 giugno 2010, ha confermato la sentenza del Tribunale di Brindisi del 25 marzo 2006, con la quale C.I. veniva ritenuto colpevole del reato di cui ai capi: a) art. 572 c.p.; b) artt. 81 cpv. e 609 bis, fatti commessi in (OMISSIS) e altrove fino al (OMISSIS); c) artt. 582 e 583 c.p., art. 585 c.p., comma 1, e art. 577 c.p., n. 1, (commessi in (OMISSIS) il (OMISSIS)) e condannato alla pena di anni 7 di reclusione.

L’imputato ha proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:

1. Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per erronea applicazione della legge penale. La colpevolezza del ricorrente sarebbe stata fondata esclusivamente sulle dichiarazioni rese a dibattimento dalla persona offesa Co.Le., moglie del C., senza alcun riscontro.

Inoltre i giudici di merito ritenuto, ingiustificatamente, che i precedenti penali del ricorrente fossero ostativi al riconoscimento delle circostanze generiche e dei benefici di legge.

Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

Questa Corte ha affermato il principio di diritto in base al quale, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Così, tra le altre, Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez. 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116). In particolare, per quanto attiene ai reati sessuali ed alle ipotesi delittuose riconducibili al c.d. wife-beating è possibile che il giudice tragga il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr., per tutte, Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv. 248016).

Peraltro, nel caso di specie, tali riscontri sussistono ed i giudici di secondo grado hanno posto in evidenza la linearità e chiarezza delle dichiarazioni rese dalla moglie e della non riconducibilità di esse a motivi di astio o risentimento nei confronti del C., tanto che la donna non si è neppure costituita parte civile ma ha agito nel chiaro intento di tutelare i suoi figli ed in particolare la figlia femmina Mariti, per evitarle una sorte analoga alla sua, caratterizzata dalla continua violenza e sopraffazione del marito non solo nei suoi confronti, ma anche verso l’intera famiglia. Le dichiarazioni della Co. hanno infatti trovato riscontro, sulla base di quanto riferito nella parte motiva della sentenza impugnata, dai risultati dalla perquisizione nel furgone ove viveva il nucleo familiare, nel corso della quale venivano rinvenuti il bastone ed il martello adoperati dal C. per percuotere la moglie; dalle dichiarazioni del fratello della Co., presso il quale la medesima si era rifugiata quando era riuscita a sottrarsi al controllo del marito; dai due referti rinvenuti presso il Pronto Soccorso di Fasano che certificavano la frattura della diafisi del radio e dell’avambraccio; dalle dichiarazioni del maresciallo che intervenne nell’immediatezza della denuncia della persona offesa.

Anche il motivo di ricorso con il quale si censura il mancato riconoscimento delle circostanze generiche risulta infondato, posto che i giudici di merito hanno evidenziato le ragioni per le quali hanno ritenuto di condividere l’opinione del giudice di prime cure che ebbe ad escluderle in considerazione della gravità, reiterazione e pervicacia del comportamento delittuoso del ricorrente. Peraltro, si evidenzia che atteso il tempus commissi delicti del reato di lesioni personali (12 agosto 2000), lo stesso risulta estinto, essendo decorsi i termini di prescrizione (12 febbraio 2008), per cui la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente al reato sub e), con conseguente eliminazione della relativa pena, pari a mesi sei di reclusione, così determinato dal giudice di primo grado il computo della continuazione per tale delitto rispetto al reato più grave.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al reato sub e) ( artt. 582 e 585 c.p.) perchè il reato è estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena pari a mesi sei di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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