Cass. civ. Sez. I, Sent., 05-12-2011, n. 25951 Occupazione abusiva o illegittima Occupazione d’urgenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 4 agosto 1984 i sigg. R. A., R.G., R.F. e D.G.O. convenivano dinanzi al Tribunale di Pescara il comune di Montesilvano, la cooperativa edile Mazzini e la s.n.c. Pietro Migliorino e f.lli Centorame per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni da espropriazione di un terreno di loro proprietà, sito nel comune di (OMISSIS), oggetto di occupazione illegittima – come accertato con giudicato amministrativo – cui aveva fatto seguito la radicale ed irreversibile trasformazione per la realizzazione di interventi di edilizia convenzionata.

Si costituivano disgiuntamente i convenuti, sollevando in via pregiudiziale eccezioni di carenza di legittimazione passiva e contestando nel merito la fondatezza dalla domanda.

In subordine, svolgevano reciproche domande di manleva.

Nel corso del giudizio gli attori rinunziavano alla domanda nei confronti dell’impresa e intervenivano ne giudizio alcuni soci della cooperativa edile Mazzini in adesione alle ragioni di quest’ultima.

Esperita consulenza tecnica d’ufficio, successivamente integrata con supplemento, il Tribunale di Pescara, con sentenza 14 maggio 1999, condannava il comune di Montesilvano e la cooperativa edilizia Mazzini in solido al risarcimento del danno, liquidato secondo il criterio di cui alla L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis, comma 7 bis, (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica).

I successivi gravami hinc et inde proposti erano rigettati dalla Corte d’appello di L’Aquila con sentenza 2 novembre 2004.

La corte territoriale motivava che non era nuova la domanda degli attori fondata sull’allegazione dell’occupazione usurpativa, anzichè acquisitiva, dal momento che era stata prospettata ab initio come occupazione illegittima a seguito dell’annullamento, da parte del giudice amministrativo, della dichiarazione di pubblica utilità;

che era pure infondata l’eccezione di giudicato interno sull’accertamento dell’occupazione acquisitiva;

che ogni divergenza sull’esistenza della dichiarazione di pubblica utilità connessa con l’approvazione del piano per l’edilizia economica e popolare (P.E.E.P.) era ormai superata dallo jus superveniens introdotto con D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità), che all’art. 55, applicabile anche ai giudizi pendenti alla data dell’1 gennaio 1997, dettava un criterio di liquidazione corrispondente a quello utilizzato dal primo giudice;

che sussisteva la responsabilità solidale della cooperativa Mazzini, cui era stato delegato il compimento delle operazioni relative al procedimento espropriativi e del comune di Montesilvano, cui spettava un potere di vigilanza e controllo;

che la stima operata dal consulente tecnico d’ufficio era stata contestata solo genericamente ed era corredata di adeguata motivazione sul mancato riferimento ad atti pubblici coevi di compravendita di terreni della zona. Tutte le parti proponevano ricorso per cassazione.

Con il ricorso principale, i signori R. e D.G. deducevano la violazione del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 55.

Il comune di Montesilvano svolgeva, a sua volta, ricorso incidentale condizionato, deducendo la violazione degli artt. 2043 e 2055 c.c., nonchè la carenza di motivazione in ordine all’accertamento della sua corresponsabilità solidale, nonostante la delega di tutte le operazioni del procedimento di espropriazione conferita alla cooperativa edile Mazzini s.r.l., che aveva materialmente occupato il fondo, trasformandolo irreversibilmente.

La cooperativa edile Mazzini deduceva, con unico motivo, la violazione dell’art. 345 c.p.c., nell’omessa dichiarazione di inammissibilità della domanda di accertamento dell’occupazione usurpativa, svolta per la prima volta in grado di appello.

Ai predetti ricorsi incidentali resistevano con controricorso i sigg.

R. e D.G..

I sigg. R. ed il comune di Montesilvano depositavano memoria ex art. 378 c.p.c..

All’udienza collegiale del 27 ottobre 2011 il Procuratore generale ed il difensore dei ricorrenti principali precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo le signore R.G., R.F. e D.G.O., quest’ultima in proprio e quale procuratrice del figlio R.A., deducono la violazione del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 55, (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), applicato dalla corte territoriale nella versione anteriore all’emendamento introdotto con il D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302, e quindi senza il rispetto del criterio del risarcimento integrale, pari al valore di mercato del bene illegittimamente ablato.

Il motivo è fondato.

Il problema del risarcimento del danno da utilizzazione di suolo edificabile per scopi di pubblica utilità in assenza di valido provvedimento di esproprio è definitivamente risolto con il nuovo D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 55, nel testo novellato dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89, lett. e), che ha fatto seguito alla pronuncia della Corte costituzionale 3409/2007 e prescritto la liquidazione in misura pari al valore venale del bene:

disposizione, applicabile anche ai giudizi pendenti alla data dell’1 gennaio 1997 (ibidem, comma 2).

Pertanto, in accoglimento del motivo, la sentenza va cassata in parte qua, con rinvio alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione per una nuova valutazione.

Diviene a questo punto necessaria la disamina del ricorso incidentale condizionato proposto dal comune di Montesitvano con il quale si censura la violazione degli artt. 2043 e 2055 c.c., nonchè la carenza di motivazione.

Il motivo è infondato.

E’ giurisprudenza consolidata di questa Corte che in caso di realizzazione di opere pubbliche cui collaborino enti territoriali e soggetti delegati, l’obbligazione risarcitoria del danno da occupazione appropriativa ha natura solidale (salvo ipotesi eccezionali di esclusione normativa, come nel caso di realizzazione di programmi di ricostruzione post terremoto di cui alla L. 14 maggio 1981, n. 219): con la conseguenza che se il contributo causale determinante alla produzione del danno è ascrivibile all’autore materiale dell’occupazione e dei lavori di trasformazione irreversibile del fondo, concorre la responsabilità solidale della Pubblica amministrazione per violazione del dovere di vigilanza, di diretta derivazione dei principi costituzionali di legalità, buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione (Cass., sez. 1, 7 luglio 2008, n. 18.612; Cass., sez. 1, 9 ottobre 2007, n. 21.096;

Cass., sez. 1, 12 luglio 2001, n. 9424).

Trattandosi di un obbligo di comportamento derivante dalla legge, incombeva sull’ente pubblico l’onere della prova liberatoria.

Anche il ricorso incidentale della cooperativa Mazzini, volto a denunziare l’inammissibilità, per novità, della domanda di accertamento dell’occupazione usurpativa, è infondato.

Occorre premettere, in sede dogmatica, che costituisce domanda nuova, improponibile in appello, la deduzione di una causa petendi fondata sulla prospettazione di circostanze di fatto, produttive del diritto vantato, diverse da quelle inizialmente addotte in giudizio: come tale, introduttiva di un nuovo tema di indagine.

Siffatta inammissibile mutatio libelli si verifica, in tema di diritti di credito – per loro natura, eterodeterminati – allorchè il petitum, originariamente ancorato ad un fatto specifico, venga in seguito ricollegato ad una diversa genesi epifenomenica, in nessun modo riconducibile alla primitiva allegazione.

In tal caso, l’evento storico non costituisce più solo prova del diritto, ma anche il suo fondamento giuridico; e concorre, quindi, all’identificazione della domanda.

Nella specie, la pretesa risarcitoria vantata dai sigg. R. e D. G. trae origine dall’occupazione del fondo prospettata illegittima ab initio: e dunque, con formulazione perfettamente idonea a configurare un’occupazione usurpativa.

Per di più, la ragione di tale illegittimità risiedeva nell’annullamento, da parte del giudice amministrativo, della dichiarazione di pubblica utilità: cosicchè nessun dubbio poteva sussistere, già in sede di edictio actionis, sulla prospettazione di una radicale illiceità dell’occupazione e della successiva esecuzione dell’opera pubblica.

Al riguardo, la corte territoriale ha dato ampio conto dell’inesistenza di un giudicato interno, negando che il giudice di prime cure avesse definito acquisitiva l’espropriazione in esame;

procedendo, all’esito dell’interpretazione della domanda, ad escluderne anche l’inammissibile novità ex art. 345 c.p.c., con motivazione corretta, insuscettibile di sindacato di merito in questa sede.

Non è peraltro superfluo aggiungere che neppure sarebbe stata inammissibile, ferma l’identità dei fatti dedotti all’origine dell’illecito aquiliano, un’eventuale riqualificazione officiosa in occupazione usurpativa, in carenza di valida dichiarazione di pubblica utilità (Cass., sez. 1^, 16 luglio 2010, n. 16750). Tanto più, che la differenza pratica tra le due forme di illecito si è pressochè dissolta dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, commi 1 e 2, convertito in L. 8 agosto 1992, n. 359, per contrasto con gli obblighi internazionali sanciti dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU e, quindi, per violazione dell’art. 117 Cost., comma 1; nonchè, in via consequenziale, del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, commi 1 e 2 (Corte costituzionale, 24 ottobre 2007, n. 348 e n. 349).

L’accoglimento del ricorso principale importa la remissione della causa alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese processuali della fase di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso principale; Rigetta i ricorsi incidentali;

Rinvia la causa alla Corte d’appello di L’Aquila, anche per il regolamento delle spese della fase di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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