Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-02-2011) 15-07-2011, n. 28054 Violazioni tributarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza depositata l’8 giugno 2009 (ud. 22 maggio 2009), in riforma della sentenza del Tribunale di Torre Annunziata – sez. distaccata di Castellammare di Stabia, ha dichiarato estinti per prescrizione i fatti relativi all’anno 1999 ed ha rideterminato (in anni due di reclusione) la pena inflitta all’imputato V.G., per il reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8.

Secondo il giudice di secondo grado, il V., quale amministratore della soc. Euro Comid srl, avente sede in Castellammare di Stabia, aveva effettivamente emesso le fatture, indicate nel capo d’imputazione, per operazioni inesistenti, così come si sarebbe desunto dalle dichiarazioni del verbalizzante, dal verbale di constatazione (nella parte utilizzabile relativa ai fatti acclarati), dall’accertamento del difetto di "capacità imprenditoriale" da parte della impresa facente capo al V., desunta da una pluralità di indici significativi (mancanza di autoveicoli, di automezzi, dell’utenza telefonica ed elettrica, di una qualsiasi documentazione amministrativo-contabile e contrattuale di sorta; utilizzazione di un computer, per la predisposizione delle fatture, installato nella propria abitazione e utilizzazione di un centro di elaborazione contabile di nazionalità rumena, capace di porre in essere operazioni non imponibili ai fini dell’IVA).

Il fatto non consentiva il riconoscimento delle attenuanti generiche sia per la personalità dell’imputato (pregiudicato anche in relazione a fatti puntualmente indicati come gravi) e sia per la pluralità delle violazioni e per gli importi delle fatture, ritenuti consistenti.

Avverso tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, forte di tre motivi di doglianza.

2. Il difensore, anzitutto, ha censurato la decisione sotto il profilo della violazione dell’art. 606, lett. e), in relazione all’art. 192 c.p.p. chiedendo l’annullamento della sentenza per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

Secondo il ricorrente, i giudici di merito (di primo grado e di appello) avrebbero errato adottando il medesimo criterio presuntivo per l’affermazione della responsabilità del V., facendo derivare la falsità delle fatturazioni dalla asserita deficienza delle capacità produttive della Euro Comid srl.

In particolare, poichè le fatture avrebbero riguardato una pluralità di società destinatane non si sarebbe dato ingresso all’accertamento dell’effettività delle operazioni svolte da tali società (nominativamente indicate) e all’esame della effettiva operatività dell’azienda rumena a cui pure corrisponderebbero pagamenti che sarebbero stati indebitamente ritenuti come fittizi.

Di qui la censura di illogicità e di contraddittorietà della motivazione con i fatti accertati o accertandi.

3. Il ricorso censura, altresì, la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione all’art. 157 c.p., e art. 159 c.p., n. 3, per non avere il giudice di appello considerato che la sospensione del decorso della prescrizione, per le contestazioni relative agli anni 2000 e 2001, andava applicato nella misura di 240 giorni (anzichè pari ad un anno, mesi 10 e giorni 15, come affermato dalla Corte nella sentenza impugnata), con conseguente prescrizione di tutti i fatti di reato. Ciò in quanto il processo sarebbe stato rinviato più volte per l’astensione della categoria professionale e per l’impedimento del difensore, cause di sospensione che non possono superare il tempo di 60 giorni.

4. Infine, il V. si duole della violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione all’art. 62 bis c.p., per la mancata concessione delle attenuanti generiche sulla base di una motivazione di mero stile.

Motivi della decisione

1. Osserva la Corte che il ricorso è manifestamente infondato. Non si ravvisa, infatti, alcuna violazione di legge in relazione alle valutazioni degli elementi probatori acquisiti compiute dalla Corte di appello in ordine alla colpevolezza del V..

La giurisprudenza di legittimità ha infatti affermato il principio (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 10951 del 15/03/2006, Casula) secondo cui "alla luce della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dettata dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia:

a) effettiva, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non manifestamente illogica, ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non internamente "contraddittoria", ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non logicamente incompatibile con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione. (Nell’affermare tale principio, la Corte ha precisato che il ricorrente, che intende dedurre la sussistenza di tale incompatibilità, non può limitarsi ad addurre l’esistenza di atti del processo non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione o non correttamente interpretati dal giudicante, ma deve invece identificare, con l’atto processuale cui intende far riferimento, l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione adottata dal provvedimento impugnato, dare la prova della verità di tali elementi o dati invocati, nonchè dell’esistenza effettiva dell’atto processuale in questione, indicare le ragioni per cui quest’ultimo inficia o compromette in modo decisivo la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione)".

Orbene, nella specie, con riferimento alla prima ed alla terza delle censure, la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente la responsabilità dell’imputato e ha escluso le attenuanti generiche, con valutazione di fatto non sindacabile in questa sede di legittimità, facendo riferimento – quanto alla prima censura – ad un rilevante complesso di elementi convergenti verso l’accertamento della falsità delle fatture in relazione ad operazioni annotate ma inesistenti (la società emittente era mancante di autoveicoli, di automezzi, dell’utenza telefonica e persino di quella elettrica, di una qualsiasi documentazione amministrativo contabile e contrattuale di sorta; essa si avvaleva di un computer, per la predisposizione delle fatture, installato nell’abitazione dell’imputato e di un centro di elaborazione contabile di nazionalità rumena, capace di porre in essere operazioni non imponibili ai fini dell’IVA) e – quanto alla seconda doglianza – ad una pluralità di circostanze fattuali tali da rendere il reato come grave e commesso da personalità immeritevole di godere delle invocate attenuanti. In pratica, il ricorrente tende ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi (ispirati a minor rigore) da quelli adottati dai giudici di appello, che con motivazione ampia ed esente da vizi logici e giuridici, hanno esplicitato le ragioni del loro convincimento, sia in ordine alla responsabilità dell’imputato, sia in ordine alla declinatoria delle invocate attenuanti.

Nè i fatti opposti come obliterati possono trovare ingresso in questa sede, atteso che i medesimi, a tacer d’altro, non hanno formato oggetto di una indicazione specifica e sono mancanti di quell’astratta idoneità a contrastare la pluralità degli elementi valutati dai giudici di merito.

2. Anche la seconda (e, in questa sede, ultima delle censure proposte) è manifestamente infondata in ossequio al già affermato (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 44609 del 14/10/2008, Errante) principio secondo cui "l’impedimento del difensore per contemporaneo impegno professionale, quantunque tutelato dall’ordinamento con il riconoscimento del diritto al rinvio dell’udienza, non costituisce un’ipotesi d’impossibilità assoluta a partecipare all’attività difensiva e non da luogo pertanto a un caso in cui vengono in applicazione i limiti di durata della sospensione del corso della prescrizione previsti dall’art. 159 c.p., comma 1, n. 3, nel testo introdotto dalla L. 5 dicembre 2005 n. 251, art. 6". 3. Il ricorso dell’ imputato, in conclusione, va dichiarato inammissibile e lo stesso va condannati, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di mille Euro in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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