Cass. civ. Sez. VI, Sent., 06-12-2011, n. 26279 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1- Con decreto del 4 febbraio 2010, la Corte d’Appello di Napoli ha dichiarato improponibile la domanda di equa riparazione proposta da M.D. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, promosso dall’istante nei confronti del Comune di Acerra.

A fondamento della decisione, la Corte ha richiamato il D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, rilevando che nel giudizio presupposto, definito con sentenza dell’11 novembre 2008, il ricorrente non aveva presentato l’istanza di cui al R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51. 2. – Avverso il predetto decreto l’istante propone ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. – Con l’unico motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, della L. 24 marzo 2001, n. 89 e dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, sostenendo che l’art. 54, comma 2, cit. non è applicabile alle domande di equa riparazione relative a giudizi amministrativi già conclusi o in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008, soprattutto se alla predetta data fosse stata già fissata o tenuta l’udienza di discussione.

1.1. – Il motivo è fondato.

Come si evince dal decreto impugnato, il giudizio presupposto ha avuto inizio nell’anno 1997, e quindi anteriormente all’entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, il quale ha disposto che la domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione non è stata presentata un’istanza ai sensi del R.D. n. 642 del 1907, art. 51, comma 2.

Trova pertanto applicazione il principio enunciato da questa Corte, che si condivide e si intende ribadire anche in questa sede, secondo cui l’innovazione introdotta dalla predetta disposizione è inapplicabile ratione temporis ai procedimenti di equa riparazione aventi ad oggetto giudizi amministrativi introdotti prima dell’entrata in vigore della predetta disposizione. In difetto di una disciplina transitoria e di esplicite previsioni contrarie, va infatti data continuità al l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il principio dell’immediata applicabilità della legge processuale concerne soltanto gli atti processuali successivi all’entrata in vigore della legge stessa, come ha affermato anche la Corte costituzionale (cfr. sent. n. 155 del 1990), e non incide su quelli anteriormente compiuti, i cui effetti, conformemente al principio tempus regit actum, restano regolati dalla legge sotto il cui imperio sono stati posti in essere (cfr. Cass., Sez. 1, 4 gennaio 2011, n. 115; 28 novembre 2008, n. 28428).

2. – Il decreto impugnato va pertanto cassato, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.c., comma 2, con il riconoscimento in favore del ricorrente di un indennizzo complessivamente pari ad Euro 7.250,00, oltre interessi legali con decorrenza dalla domanda.

Premesso infatti che il giudizio presupposto si è concluso in primo grado con sentenza dell’11 novembre 2008, e ritenuto che il periodo di tempo ragionevolmente necessario per la sua definizione può essere stimato in tre anni, sulla base dei parametri cronologici elaborati dalla Corte EDU in riferimento alla fase di primo grado per giudizi di ordinaria complessità, il ritardo addebitabile a disfunzioni dell’organizzazione giudiziaria deve essere determinato in otto anni; il danno non patrimoniale subito dal ricorrente dev’essere quindi liquidato, conformemente ai criteri enunciati dai Giudici di Strasburgo, per i primi tre anni nella misura unitaria di Euro 750,00 e per gli anni successivi in quella di Euro 1.000,00, avuto riguardo al progressivo aggravamento del patema d’animo causato dal protrarsi dell’incertezza in ordine all’esito della vicenda processuale.

3. – Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo, con attribuzione al procuratore dichiaratosi anticipatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore di M.D. della somma di Euro 7.250,00, oltre interessi legali dalla domanda, nonchè al pagamento delle spese processuali, che si liquidano per il giudizio di merito in complessivi Euro 1.200,00, ivi compresi Euro 500,00 per onorario, Euro 600,00 per diritti ed Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, e per il giudizio di legittimità in complessivi Euro 950,00, ivi compresi Euro 900,00 per onorario ed Euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario.

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