Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-06-2011) 18-07-2011, n. 28447

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte d’Appello di Palermo ha confermato il decreto reso dal Tribunale di quella città e relativo all’applicazione di misure personali e patrimoniali nei confronti di M.G. e di P.C., misure patrimoniali che coinvolgevano anche cespiti di R.A., parente dei predetti.

Si assume che sia M. sia P., siano stati partecipi del clan mafioso "Cosa Nostra", in rapporti di affari con tal L., stretto collaboratore di P.B., nella loro attività illecita di appaltatori di ANAS a seguito di gare manovrate e dei cui proventi delittuosi essi si giovarono ed, in parte, ripartirono con il sodalizio.

Il ricorso della difesa di M. è infondato, per quanto attiene alla doglianza sulla motivazione.

Infatti, in tema di misure di prevenzione, la riserva del sindacato di legittimità alla violazione di legge non consente di dedurre il vizio di motivazione, sicchè il controllo del provvedimento consiste solo nella verifica della rispondenza degli elementi esaminati (se necessario acquisiti ex officio dal giudice) ai parametri legali, imposti per l’applicazione delle singole misure e vincolanti, in assenza della quale ricorre la violazione di legge sub specie di motivazione apparente, a meno che l’apparato argomentativo sia del tutto assente (cfr. Cass. pen., sez. 5, 8 aprile 2010, Palermo, Ced Cass., rv. 247514; Cass. pen., sez. 6, 8 marzo 2007, Bruno, Ced Cass., rv. 237277).

Ed, a ben vedere, il provvedimento impugnato è corredato da motivazione ragionevole ed a ampia.

L’interposizione fittizia manifesta, in ogni caso, la volontà di favorire l’interposto, P.B. ed il suo amministratore L.G., persone di primaria rilevanza nel clan mafioso.

La ricerca del movente di questa funzione attiene al fatto.

L’attuale pericolosità dei proposti, ai fini dell’applicazione di una misura di prevenzione, in ragione della permanenza del legame con il sodalizio delinquenziale, può essere dimostrata anche in via presuntiva, deducendo il connotato dall’ accertata appartenenza del soggetto ad un’associazione mafiosa e dalla verifica del ruolo concretamente svolto in seno al sodalizio. Profili qui ricorrenti.

In sostanza per giungere a siffatta affermazione, occorre escludere la possibilità che il ruolo di partecipe venga ricoperto anche in futuro (cfr. Cass. pen., sez. 1, 10 marzo 2010, De Carlo, Ced Cass., rv. 247053).

Ancorchè non condivise dalla difesa, la note della Corte territoriale hanno fornito ragguagli motivazionali a questo riguardo, valutando – con giudizio che non può esser ulteriormente scrutinato dal giudice di legittimità – troppo solido, quasi confidenziale, il vincolo che cementava il vertice dell’associazione "Cosa Nostra" con il M. per ipotizzare un futuro pieno recesso. Anche alla luce del primario e prolungato sostegno (pure finanziario, cfr. pag. 16, ed operativo come la scoperta di microspie, cfr. pag. 17; con risvolti di aiuto personalissimo, come il soccorso nel caso di malattia che avrebbe prestato la moglie del L., pag. 18) procacciato ai vertici del sodalizio si è ritenuta plausibilmente strettissimo il legame, la cui frattura esige un riscontro indiscutibile.

In questo senso, inoltre, rettamente è stato valutato – in sintonia con il primo giudice -come ostativo al riconoscimento del recesso il silenzio serbato ed il comportamento processuale del predetto.

Non risponde al vero che il giudice di primo grado abbia ritenuto lecito il comportamento del proposto, in ragione della ricchezza ritratta da COMIPAS, oggetto di confisca (ed in particolare gli immobili di Residence di capo San Vito Srl., invero (Ord. Trib. pag.

8) ha affermato che il gruppo COMIPAS, IMPAS appartenevano ad un unico novero societario, proprio in ragione della riferibilità ai personaggi a cui si riferisce il decreto, ai rapporti finanziari tra costoro intercorsi che attingevano (anche) alle somme ritratte da appalti banditi da ANAS. Che, pertanto, l’accertata illiceità dell’operato di dette aziende – a cui era indirettamente, ma sostanziosamente (al 50%) interessato il proposto, il cui nome, in sigla abbreviata "MI", compare nell’acronimo dell’organismo (la gestione era stata interamente affidata al P.) che aveva lunga consuetudine anche nella gestione degli affari con il cognato (cfr. pag. 31) – e la condanna del consocio P. per turbativa d’asta giustificavano la misura patrimoniale (ib idem).

Non diversamente si osserva per la posizione del P..

Decisamente primario il suo ruolo nella gestione degli enti coinvolti negli illeciti appalti con ANAS, dei cui proventi egli fruiva prò quota, insieme a M., artefice di versamenti di denaro costituite da tangenti, in un contesto dominato dalla silente, ma sintomatica influenza del L., uomo di fiducia del P. B. (cfr. Ord. pag. 32).

Posizione che ha portato alla sua condanna nel processo penale, quale associato ex art. 416 c.p. e quale responsabile per turbativa d’asta, in ragione della gestione COMIPAS. Osservazione che si radica ulteriormente, innanzitutto, sul fatto per cui il P. non può dirsi estraneo a siffatta prassi delittuosa essendo presente (anche) a mezzo di impresa personale (cfr. Ord. pag. 38) ed, inoltre, considerando il rilievo della pratica della devianza negli appalti di ANAS come area di esclusiva pertinenza dei detti L. e P.B., inteso quale "accordo degli imprenditori con l’imprimatur mafioso" secondo l’icastica espressione del collaboratore di giustizia S.A. (cfr. Ord. pag. 21 e 24).

Di qui la ragionevole conclusione dell’"appartenenza" del P. al sodalizio mafioso.

A tanto si aggiunge la già riconosciuta rilevanza favoreggiatrice, esplicata dal P. nel custodire la somma di denari provento della vendita di immobili di (OMISSIS), di proprietà del P.B. (ancorchè amministrate da L.).

La difesa ha prodotto copia di denunce sporta dal predetto verso tal LO., parente del L.. Produzione che non risulta prodotta avanti il giudice dell’appello e di cui, quindi, non può tenersi in questa sede, in alcun conto. E, comunque, attestativa soltanto di una presa di distanza dal cognato del L., non già del vero soggetto coperto dall’interposizione fittizia, P. B. e per un movente di stretto interesse patrimoniale, non a prova della recisione del legame associativo.

E’ generica l’impugnazione di R.A., allorquando rivendica la proprietà dell’immobile – oggetto della disposta ablazione – in epoca anteriore al rapporto intessuto con P.C.: le ragioni che hanno indotto i giudici a dissentire al proposito sono lineari e chiaramente esposte a pag. 41 e ss. dell’Ordinanza.

Esse valgono anche a dimostrare l’inquinamento conseguente a "contagio mafioso" dei redditi riscossi dalla donna, nel corso degli anni 1990/1991, considerando anche le esigenze di mantenimento della propria famiglia, come ricordato dai giudici palermitani.

Ogni ulteriore scrutini al riguardo trascende in valutazione di merito, preclusa al giudice di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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