Cons. Stato Sez. VI, Sent., 21-07-2011, n. 4421

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Attraverso l’atto di appello in esame (n. 6885/06, notificato il 14.7.2006), il Ministero dell’Economia e delle Finanze ed il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti impugnavano la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, sez. I, n. 1651/05 del 15.7.2005 (che non risulta notificata), con la quale – in relazione a due ricorsi riuniti, proposti dalla società N. S. s.p.a. – risultava accolto il ricorso n. 1648/94, nella parte concernente la revoca di un atto di sottomissione, con cui era stata accordata alla medesima società l’anticipata occupazione di beni del demanio marittimo, mentre entrambe le impugnative venivano dichiarate inammissibili per difetto di giurisdizione, nella parte riferita a rideterminazione del canone dovuto per il periodo 1.1.1984 – 30.4.1994 (1648/94) e a successivo ricalcolo del canone stesso, nonché al pagamento di altre somme per ulteriori periodi di occupazione (ricorso n. 315/97). Nella citata sentenza si richiamava l’art. 5, comma 2 della legge 6.12.1971, n. 1034, secondo cui spetta al Giudice Ordinario la cognizione delle controversie inerenti al pagamento di indennità, canoni ed altri corrispettivi, per concessione o anticipata occupazione di un’area demaniale; quanto al ricordato atto di revoca, invece, nella medesima sentenza si riteneva fondata ed assorbente la censura di violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990, costituendo detta revoca provvedimento di secondo grado, che avrebbe dovuto essere preceduto da comunicazione di avvio del procedimento, senza che potesse acquisire alcuna rilevanza al riguardo l’istanza presentata dalla società, ricorrente in primo grado, per ottenere la riduzione dell’area occupata; l’annullamento della revoca, infine, avrebbe precluso l’applicazione della maggiorazione, prevista dall’art. 8 del D.L. 5.10.1993, n. 400, convertito in legge 4.12.1993, n. 494.

In sede di appello, alle conclusioni sopra sintetizzate l’Amministrazione contrapponeva la propria ricostruzione dei fatti, sottolineando come la società appellata (S. s.p.a., successivamente trasformata in N. S. s.r.l.) fosse stata autorizzata dalla Capitaneria di Porto di Cagliari – con atto di sottomissione n. 16/79 del 15.2.1979 – ad utilizzare un’area demaniale marittima, facente parte della laguna "Is Prunis" in località S. Antioco, allo scopo di realizzare un impianto di depurazione delle acque esauste, residuate dal processo produttivo della propria fabbrica di ossido di magnesio; al posto di tale impianto, invece, risultava poi realizzato un canale di scarico a cielo aperto, di modo che con provvedimento n. 3663 del 19.11.1991era stata disposta la riconsegna delle aree non utilizzate e la regolarizzazione con licenza di quelle restanti. La commissione incaricata di presiedere alla riconsegna, tuttavia, il 13.4.1992 sottolineava la necessità che la società in questione provvedesse – oltre che alla regolarizzazione dell’utilizzo dell’area effettivamente occupata – alla bonifica di quella restante, essendo stati rilevati – nella perdurante assenza del previsto impianto di depurazione – materiali inquinanti nella laguna (minerali di magnesio provenienti dallo stabilimento industriale), nonché lo scorrimento di un canale di scarico a mare di acque bianche. Successivamente, erano stati poi richiesti i corrispettivi dovuti per l’occupazione, da ritenere dal 1991 senza titolo, non essendo mai stata rilasciata concessione e risultando revocata l’autorizzazione all’anticipata occupazione, assentita in vista della concessione stessa: quanto sopra, a seguito di copiosa corrispondenza, sopralluoghi e diffide, tali da escludere la necessità di formale comunicazione di avvio del procedimento.

La società appellata, costituitasi in giudizio, proponeva a sua volta appello incidentale, osservando di avere a suo tempo richiesto una riduzione dell’area demaniale, oggetto dell’atto di sottomissione n. 16 del 15.2.1979 e di avere ricevuto come risposta, inopinatamente, la revoca di detto atto n. 16/79, il cui annullamento in sede giurisdizionale avrebbe dovuto comportare la preclusa applicabilità della maggiorazione, di cui all’art. 8 del D.L. n. 400/1993. In tale contesto, la medesima società formulava controdeduzioni in rapporto sia all’atto di appello, implicante negazione dei principi generali in materia di atti di autotutela, sia alla sentenza appellata, nella parte in cui veniva negata la giurisdizione del Giudice Amministrativo in materia di determinazione dell’indennità di cui trattasi (dovendo ritenersi contraddittorio che il TAR, dopo avere annullato l’atto di revoca, non avesse tratto le dovute conseguenze di tale annullamento sugli atti strettamente consequenziali alla revoca stessa); in una prospettiva di accoglimento di tali argomentazioni, quindi, erano riproposte le censure già prospettate in primo grado, avverso la determinazione del canone di cui trattasi.

Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’appello principale debba essere accolto in rapporto alla revoca e che la sentenza di primo grado debba, invece, trovare conferma nella parte dichiarativa del difetto di giurisdizione, con conseguente rigetto dell’appello incidentale.

La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne infatti, in primo luogo, la definizione dell’ambito entro cui sussiste la giurisdizione del Giudice Amministrativo, in materia di concessione d’uso di aree demaniali; tale ambito risulta disciplinato dal combinato disposto degli articoli 5 e 7 della legge 6.12.1971, n. 1034, come modificati ed integrati dall’art. 33 del D.Lgs. 31.3.1998, n. 80, nel testo sostituito dall’art. 7 della legge 21.7.2000, n. 205: norme, quelle appena indicate, che assegnano al predetto Giudice la giurisdizione esclusiva in materia di concessione di beni pubblici, facendo però salva – per quanto qui interessa – la "giurisdizione dell’autorità giudiziaria per le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi….". Su tale base, un’ampia e consolidata giurisprudenza ha chiarito che la cognizione del giudice ordinario è riferibile alle controversie di contenuto meramente patrimoniale, ovvero inerenti quantificazione e pagamento dei corrispettivi in questione, quando non entri, però, in discussione la qualificazione del rapporto concessorio, con esercizio di poteri discrezionali da parte dell’Amministrazione, dovendosi riconoscere in tal caso la cognizione del giudice amministrativo, in presenza sia di interessi legittimi che di diritti soggettivi (cfr. in tal senso, fra le tante, Cass. Civ. SS.UU. 11.3.1992, n. 2958, 20.11.2007, n. 24012, 31.7.2008, n. 20749 e 16.7.2009, n. 16568; Cons. St., sez. IV, 15.5.2000, n. 2708; sez. VI, 17.2.2004, n. 657, 27.6.2006, n. 4090, 24.10.2008, n. 5294 e 21.5.2009, n. 3122; TAR Lazio, Roma, sez. II, 4.3.2009, n. 2233).

A principi non dissimili non possono non soggiacere gli indennizzi, di cui all’art. 8 del D.L. 5.10.1993, n. 400 (convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 4.12.1993, n. 494), riferito ad utilizzazioni senza titolo di beni demaniali marittimi, ovvero ad utilizzazioni difformi dal titolo concessorio. Detta situazione – assimilabile alla persistente utilizzazione di un bene demaniale dopo la scadenza della concessione – legittima in astratto l’Amministrazione ad avvalersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà, sia con gli ordinari strumenti civilistici, sia con rimedi speciali approntati dal legislatore – come appunto quello di cui al citato art. 8 D.L. n. 400/1993 – fermo restando che al previsto indennizzo corrisponde un diritto soggettivo di natura meramente patrimoniale, per il riconoscimento e la quantificazione del quale non è richiesto l’esercizio di poteri autoritativi, con conseguente cognizione del giudice ordinario per le eventuali controversie: controversie che nel caso di specie, peraltro, risultavano già oggetto di contenzioso davanti al Tribunale di Cagliari, mentre i criteri di determinazione del canone e le relative disposizioni attuative erano stati, a loro volta, oggetto di ricorsi al Giudice Amministrativo, le cui pronunce potevano incidere sui criteri stessi, con effetti da valutare però in sede civile o, come sembra avvenuto, di concordato preventivo (cfr., per il principio, Cons. St., sez. VI, 14.10.2010, n. 7505; Cass. civ. SS.UU. 14.10.2010, n. 12313; 30.3.2009, n. 7573 e 29.4.2009, n. 9950).

Certamente, nella situazione in esame, l’applicazione del predetto art. 8 D.L. n. 400/1993 vedeva a monte quale atto presupposto il provvedimento del 19.11.1991, che ha reso "sine titulo" il possesso dell’area di cui trattasi, ma tale presupposto risulta contestato tardivamente, nonché sulla base di argomentazioni non condivisibili.

In ordine alla tardività dell’impugnativa, proposta nel 1994, nella sentenza appellata si legge che "l’eccezione…solo genericamente prospettata" sarebbe "infondata, posto che non risulta che la ricorrente conoscesse l’atto di ritiro da data antecedente al sessantesimo giorno dalla notifica del ricorso". Risulta difficile comprendere, tuttavia, come la lettera raccomandata, trasmessa alla società S. il 19.11.1991, potesse non essere pervenuta alla data, di molto successiva, di notifica dell’impugnativa. Dal momento che, in ogni caso, non si rinviene in atti documentazione al riguardo, il Collegio ritiene che – pur essendo la tardività rilevabile d’ufficio – possa prescindersi nel caso di specie dall’esigenza di ricercare, ad oltre venti anni di distanza, la prova di avvenuta consegna della raccomandata stessa, in quanto la ragione dell’annullamento disposto in sede giurisdizionale (omessa comunicazione di avvio del procedimento) risulta infondata nel merito.

L’istituto di cui all’art. 7 della legge n. 241/80, infatti, non può corrispondere ad un mero formalismo – tenuto anche conto dei principi, enunciati nell’art. 21 octies della legge stessa – di modo che lo stesso deve ritenersi inapplicabile non solo in materia di atti vincolati o emessi in esito a procedimenti avviati su istanza di parte, ma anche in rapporto a provvedimenti, il cui contenuto discrezionale risulti determinato in un contesto di sopralluoghi, verifiche in contraddittorio, diffide, tali da rendere evidente l’avvenuta partecipazione al procedimento dei privati interessati, con concreto soddisfacimento delle finalità previste dalla norma.

Nel caso di specie risulta intervenuto – fra il 1991 e il 1994 – un fitto scambio di corrispondenza fra la società attualmente appellata e l’Amministrazione, con ripetute contestazioni in ordine alle inadempienze da quest’ultima rilevate e, da parte della società S., con riferimento alle somme via via richieste, per l’occupazione dell’area demaniale in questione. In particolare, con la nota n. 9707 del 10.4.1991 l’Amministrazione aveva puntualmente contestato le inadempienze, poste a base della revoca in data 8.10.1991, con formale invito alla società S. affinchè comunicasse le proprie eventuali ragioni giustificative. Tenuto conto del fatto che dette inadempienze si riferivano ai presupposti dell’atto di sottomissione (finalizzato ad opere, di cui si contestava l’omessa realizzazione) la mancata o non soddisfacente risposta della medesima società non poteva che implicare la rimozione dell’atto autorizzativo (poi in effetti revocato, in un contesto di circostanze ben conosciute, pertanto, dall’interessata ed in rapporto alle quali la stessa era stata posta in grado di dare utile apporto al procedimento).

Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio accoglie l’appello principale ed annulla in parte, per l’effetto, la sentenza appellata, nei termini precisati in dispositivo; conferma per il resto la medesima sentenza, con rigetto dell’appello incidentale; le spese giudiziali, da porre a carico della società appellata, vengono liquidate nella misura di Euro. 2.000,00 (euro duemila/00).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, sull’appello, come in epigrafe proposto, accoglie l’appello specificato in epigrafe nei termini di cui in motivazione e per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, respinge la domanda di annullamento dell’atto di revoca n. 2663 del 19.11.1991, contenuta nel ricorso n. 1648/1994; respinge l’appello incidentale.

Condanna la società appellata al pagamento delle spese giudiziali, nella misura di Euro. 2000,00 (euro duemila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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