Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-06-2011) 18-07-2011, n. 28231 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Gip presso il Tribunale di Savona, in data 20/8/2010, emetteva decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, con cui disponeva la applicazione della misura cautelare su un appartamento in proprietà a O.V.. indagato del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, avendo costui, quanto meno in relazione alle annualità 2007/2008. indicato nelle relative dichiarazioni dei redditi elementi passivi fittizi per un totale di 488.350.00 Euro.

Il Tribunale di Savona, chiamato a pronunciarsi sulla istanza di riesame avanzata nell’interesse dell’ O., con ordinanza del 24/9/2010, ha confermato il mantenimento del sequestro de quo.

Propone ricorso per cassazione la difesa dell’indagato, con il seguente motivo: – il Tribunale del riesame ha omesso di fornire adeguato riscontro alla doglianza avanzata dalla difesa, con cui si contestava la mancata indicazione da parte del Gip del profitto del reato, a fronte del valore dell’immobile sequestrato, di circa trecentomila Euro.

Secondo il ricorrente il profitto del reato, nella specie, è rappresentato dal risparmio dell’Irpef e dell’Irap, che avrebbe dovuto essere pagato nella ipotesi di non deduzione dei costi inesistenti e non dall’importo risultante dalle fatturazioni.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va rigettato.

La difesa dell’ O. contesta la mancata individuazione, da parte del giudice di merito, del profitto o del prezzo del reato, limitandosi a riportare nel dispositivo del decreto di sequestro l’importo di Euro 498.350,00, importo che, di certo, non può rappresentare il profitto dell’attività illecita contestata al prevenuto, che, nel caso di specie, semmai, va identificato ( e quantificato ) nel quantum delle minori imposte pagate, cioè, nel risparmio dell’Irpef e dell’Irap che avrebbero dovute essere pagate nella ipotesi di non deduzione dei presunti costi inesistenti.

La censura è priva di pregio.

Necessita preventivamente puntualizzare che il sequestro preventivo ha natura provvisoria, essendo strumentale alla futura esecuzione della confisca, la cui applicazione è demandata al decidente, all’esito del giudizio di merito, tenuto a vagliare la corrispondenza tra il profitto (o provento) e il valore economico-commerciale del bene.

Si osserva che il Tribunale ha ritenuto sussistente il fumus del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, avendo il prevenuto, quanto meno in relazione alle annualità 2007 e 2008, indicato nelle relative dichiarazioni dei redditi elementi passivi fittizi per un importo di Euro 488.000.00 Euro. Conseguentemente è stato disposta la misura cautelare reale su un immobile, del valore stimato di circa 300.000.00 Euro.

Rileva il decidente che la L. n. 144 del 2007 ha esteso la confisca obbligatoria del prezzo e del prodotto del reato o di altri beni di valore equivalente ai reati fiscali, tra i quali rientra, appunto, quello contestato all’ O..

Orbene, per quanto concerne le nozioni di profitto e prezzo del reato, palesemente presupposte nella loro valenza tecnica dall’art. 322 ter c.p., la giurisprudenza, assolutamente dominante, chiamata a chiarirne la distinzione in relazione al diverso trattamento fattone nell’art. 240 c.p., ha avuto modo di precisare che, mentre per profitto deve intendersi l’utile ottenuto in seguito alla commissione del reato, il prezzo va identificato in quello pattuito e conseguito da una persona determinata, come corrispettivo della esecuzione dell’illecito (ex plurimis Cass. S.U. 3/7/96. n. 9149); per prodotto del reato, invece, si intende il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita.

Un carattere onnicomprensivo rende a darsi alla locuzione "provento del reato", che ricomprende tutto ciò che deriva dalla commissione del reato e, pertanto, le diverse nozioni indicate nell’art. 240 c.p., comma 1 e 2 di prezzo, prodotto e profitto (Cass. S.U. 8/6/99, n. 6).

Sulla nozione di profitto di reato le stesse Sezioni Unite hanno puntualizzato che esso si identifica nel vantaggio di natura economica, ovvero nel beneficio aggiunto di tipo patrimoniale di diretta derivazione causale dall’attività del reo (Cass. S.U. 24/5/04, n. 29951).

In tale ottica, correttamente il giudice del riesame ha applicato la misura cautelare su un bene, il cui valore è stato ritenuto equivalente al totale importo monetario, corrispondente alle somme delle fatture inerenti ad operazioni inesistenti, che ha permesso all’ O. di evadere le imposte Irpef e Irpeg, considerando il totale tale importo come futilità, economicamente valutabile, immediatamente derivante dalla commissione dell’illecito, anche perchè la confisca di valore si muove entro una logica strettamente sostitutiva, come ablazione patrimoniale, idonea a privare il reo di ogni e qualunque beneficio, sul versante economico, derivante dalla commissione del reato, risultando, così, in grado di superare gli ostacoli e le difficoltà che, altrimenti, potrebbero verificarsi per la individuazione degli specifici beni oggetto della apprensione coattiva, soprattutto quando questi siano fungibili, trasformati o reimpiegati dal trasgressore (Cass. 3/7/02, n. 32797).

Quanto evidenziato permette di rilevare la correttezza della ordinanza del Tribunale di Savona, con cui si è ritenuto di mantenere il vincolo sull’immobile in questione.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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