T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 21-07-2011, n. 6566

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Espone preliminarmente la ricorrente di aver prestato servizio, in qualità di Collaboratore amministrativo – VII qualifica funzionale, presso l’Ufficio di Ragioneria della Casa Circondariale di Benevento, con mansioni di contabile di cassa.

Con istanza del 4 marzo 1992, l’interessata ha chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità "note d’ansia reattiva".

Le cause originative della predetta patologia sarebbero state ascrivibili, a detta della ricorrente, alle particolari modalità di prestazione del servizio (orari di lavoro molto intensi, attività particolarmente stressante ed impegnativa sotto il profilo psicofisico).

In particolare, evidenzia la ricorrente di essersi dovuta, per diversi anni, recare da sola e senza scorta presso uffici postali ed istituti di credito per effettuare versamenti e prelevamenti di ingenti somme di denaro.

Previa sottoposizione a visita presso la Commissione medica ospedaliera dell’Ospedale Militare di Medicina Legale di Caserta, alla sig.ra Capozzi veniva riconosciuta con decreto del 2 marzo 1998 la dipendenza da causa di servizio dell’anzidetta infermità.

In sede di esame della domanda di riconoscimento dell’equo indennizzo, il parere negativo reso dal Comitato per le Pensioni Privilegiate Ordinaria induceva l’Amministrazione ad emanare il provvedimento gravato con il presente mezzo di tutela, con il quale si disconosceva la dipendenza causale dell’infermità sopra indicata dal servizio prestato.

Queste le dedotte censure:

1) Violazione, erronea interpretazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 9 del D.P.R. 20 aprile 1994 n. 349;

2) Violazione, erronea interpretazione e falsa applicazione della legge 7 agosto 1990 n. 241 e, segnatamente, dell’art. 3, anche in relazione all’art. 97, comma 1, della Costituzione;

3) Eccesso di potere per incongruità ed insufficienza della motivazione, ingiustizia manifesta, illogicità, contraddittorietà, sviamento;

4) Difetto di istruttoria.

Evidenzia in primo luogo la ricorrente che il CPPO si sarebbe espresso oltre il termine di tre mesi previsto dall’art. 8, commi 1 e 2, del DPR 349/1994.

Il parere reso dal suddetto organismo, così come il successivo decreto ministeriale, oggetto di impugnazione, non recherebbero inoltre, sotto il profilo motivazionale, evidenza alcuna delle ragioni che hanno indotto il Comitato a discostarsi dal giudizio precedentemente reso dalla CMO di Caserta.

Il CPPO avrebbe, ulteriormente, omesso di condurre i necessari approfondimenti istruttori, avuto riguardo all’esigenza – dalla ricorrente sottolineata – di fondare su adeguati elementi di giudizio il difforme convincimento in ordine alla denegata riconducibilità causale della patologia a fatti di servizio.

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame, con conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.

L’Amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte dalla parte ricorrente, conclusivamente insistendo per la reiezione del gravame.

Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 6 luglio 2011.

Motivi della decisione

1. Ad integrazione di quanto esposto in narrativa, va osservato – sulla base della documentazione dall’Amministrazione della Giustizia depositata in giudizio in data 15 settembre 2010 – che, a fronte dell’istanza di riconoscimento della causa di servizio delle infermità "bronchite cronica ostruttiva; spondiloartrosi; sindrome ansiosa depressiva reattiva da stress", l’interessata veniva avviata ad accertamento medicocollegiale presso la Commissione medica ospedaliera di Caserta.

Quest’ultima, con verbale n. 497 del 30 settembre 1997, riconosceva la dipendenza da causa di servizio della sola infermità "note d’ansia reattiva", con ascrivibilità, ai fini dell’equo indennizzo, alla Tabella B, misura massima.

In seguito alla domanda di riconoscimento dell’equo indennizzo, dalla sig.ra Capozzi avanzata il 21 marzo 1998, veniva promossa l’espressione del previsto parere da parte del Comitato per le Pensioni privilegiate ordinarie; il quale, nella seduta del 24 novembre 1998, escludeva la concedibilità del richiesto beneficio, rilevando che la suindicata patologia è "una forma di nevosi che si estrinseca con disturbi di somatizzazione attraverso i canali neurovegetativi, scatenata spesso da situazioni contingenti che si innescano, di frequente, su personalità predisposta".

Il C.P.P.O. concludeva nel senso del disconoscimento della dipendenza da causa di servizio della patologia di che trattasi, in ragione:

– dell’assenza, "nel caso di specie, (di) documentate situazioni conflittuali relative al servizio, idonee, per intensità e durata, a favorirne lo sviluppo";

– e, quindi, della carenza di elementi di riconducibilità – neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante – dell’infermità "agli invocati eventi".

A seguito dei discordanti pareri acquisiti, la competente Amministrazione della Giustizia trasmetteva la documentazione riguardante la sig.ra Capozzi all’Ufficio Medico Legale, il quale, nella seduta del 14 settembre 1999, confermava il giudizio espresso dal C.P.P.O.

Sulla base del parere da ultimo indicato, l’Amministrazione della Giustizia adottava il provvedimento gravato con l’atto introduttivo del giudizio, recante diniego di riconoscimento della causa di servizio per le suindicate patologie e di concessione dell’equo indennizzo per le medesime infermità.

2. Quanto sopra doverosamente precisato, il ricorso è infondato.

Va in primo luogo disattesa la censura con la quale parte ricorrente assume l’illegittimità del parere reso dal C.P.P.O. in quanto formulato in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 8 e 9 del D.P.R. 20 aprile 1994 n. 349.

I commi 1 e 2 dell’art. 8, in particolare, stabiliscono che:

– "qualora il dipendente o gli eredi abbiano presentato richiesta ai fini della concessione dell’equo indennizzo, l’amministrazione trasmette entro trenta giorni ovvero entro il termine stabilito nel regolamento di attuazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, la propria determinazione al Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie, con una relazione nella quale sono riassunti gli elementi di fatto, i pareri amministrativi e le valutazioni tecniche, nonché tutte le altre circostanze utili ai fini della valutazione della domanda";

– "entro tre mesi dal ricevimento degli atti, il Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie, nel giorno fissato dal presidente, sentito il relatore, valuta se l’infermità o la lesione siano dipendenti da causa di servizio e se essi determinano una menomazione dell’integrità fisica ascrivibile a una delle categorie previste dalla legge".

I commi 1 e 2 del successivo art. 9 prevedono, d’altro canto, che:

– "l’amministrazione si pronuncia sul riconoscimento di infermità dipendente da causa di servizio con provvedimento espresso, debitamente motivato, da adottarsi in ogni caso entro quindici mesi dalla data di ricevimento della domanda o dall’inizio del procedimento di ufficio";

– "l’amministrazione si pronuncia sulla concessione dell’equo indennizzo con provvedimento espresso, debitamente motivato, da adottarsi entro un mese dalla data di ricevimento del parere del Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie. Il provvedimento finale deve essere adottato, in ogni caso, entro diciannove mesi dalla data di ricevimento della domanda".

Va senz’altro escluso che il termine di tre mesi come sopra assegnato al Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie per esprimere il parere sulla dipendenza dell’infermità da causa di servizio abbia carattere perentorio: sì che il mancato rispetto dell’arco temporale indicato dalla norma comporti l’illegittimità del predetto apporto endoprocedimentale; e, derivativamente, del conclusivo provvedimento.

Piuttosto, in difetto di diversa ed espressa enunciazione normativa, al parere di che trattasi va riconosciuto carattere meramente ordinatorio, con la conseguenza che il suo inutile decorso non comporta decadenza del poteredovere del detto Comitato di rendere il parere di sua competenza (cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, 18 febbraio 2002 n. 777).

3. Osserva poi il Collegio che, ai sensi dell’art. 5bis del decreto legge 21 settembre 1987 n. 387 (convertito in legge 20 novembre 1987 n. 472), è prevista la definitività dei pareri delle commissioni mediche ospedaliere ai fini del riconoscimento delle infermità per la dipendenza da causa di servizio, "salvo il parere del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie di cui all’art. 166, D.P.R. 1092/73".

Nell’ambito del procedimento per la liquidazione dell’equo indennizzo, il parere espresso dal C.P.P.O. non solo è necessario, ma ha una rilevanza maggiore rispetto ai pareri forniti dagli altri organi tecnici, quali le Commissioni mediche ospedaliere (tra cui la C.M.O. che si è espressa sull’istanza della ricorrente), in quanto la valutazione fornita dal predetto organo costituisce il momento finale dell’istruttoria prevista all’uopo dalla normativa di settore, in cui confluiscono, per essere assorbite, tutte la fasi preliminari del procedimento, che in detta sede vengono definitivamente composte, ove in ipotesi confliggenti, come nel caso in esame.

Del resto, la giurisprudenza amministrativa, ormai consolidatasi sul punto, ha affermato che non è necessario previamente annullare i giudizi espressi dalle commissioni medicoospedaliere contrastanti con il parere espresso dal C.P.P.O., stante la prevalenza di quest’ultimo, quale organo imparziale in ragione della sua composizione, e pertanto idoneo a garantire il buon andamento della P.A.

4. In ordine alla portata ed efficacia delle valutazioni rese dalle C.M.O. e dal C.P.P.O., ha avuto modo di esprimersi anche la Corte Costituzionale (sentenza n. 209 del 1421 giugno 1996), chiarendo che i pareri espressi dalle prime attengono all’individuazione dell’infermità ed all’accertamento della sua dipendenza da causa di servizio, mentre quelli formulati dal secondo organo afferiscono anche alla valutazione dell’effetto invalidante dell’infermità rilevata, in quanto la funzione precipua del C.P.P.O. corrisponde alla verifica, nel merito, dell’operato delle singole commissioni medicoospedaliere, con pronunzie che obbligano l’Amministrazione procedente a formulare espressamente i motivi per cui, in ipotesi, ritenga di discostarsene.

Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha espresso al riguardo il principio che, nell’ambito dei procedimenti finalizzati alla concessione dell’equo indennizzo, le Amministrazioni non dispongono di due equiordinati pareri tecnici (C.M.O. e C.P.P.O.), da valutare entrambi ai fini dell’adozione delle conseguenti determinazioni e tra i quali, dunque, scegliere con motivazione esplicita nel caso che gli stessi siano di segno opposto.

Piuttosto, al precluso intervento, da parte della competente Amministrazione, con valutazioni proprie nell’ambito del subprocedimento di competenza del Comitato per le Pensioni Privilegiate Ordinarie (preordinato all’accertamento della menomazione da infermità ai fini dell’erogazione di equo indennizzo), accede l’esclusa esigenza che la stessa Autorità procedente sia tenuta a motivare circa l’eventuale difformità dei pareri di quest’ultimo rispetto a quelli resi dalla Commissione medica ospedaliera (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 giugno 2001, n. 3313 e 11 febbraio 2002, n. 779, sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 8054).

Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, si dimostra infondata la censura avanzata da parte ricorrente circa l’illegittimità del diniego in impugnativa, siccome non autonomamente motivato, ed invece adottato in acritica adesione, da parte dell’Amministrazione, al parere negativamente reso dal C.P.P.O. (confermato, poi, dall’Ufficio Medico Legale): potendo concludersi sul punto che, nell’ambito del procedimento relativo alla concessione dell’equo indennizzo, il giudizio espresso dalle C.M.O. non è incontrovertibile, stante la prevalenza del parere del C.P.P.O., al quale compete l’accertamento della dipendenza e della classificazione dell’infermità da causa di servizio (con la conseguenza che, per i predetti fini, ben può essere rimesso in discussione il nesso fra infermità e fatto di servizio in precedenza eventualmente accertato dalla C.M.O, ovvero la valutazione dell’effetto invalidante dell’infermità rilevata).

5. In linea con la suddetta impostazione si pone, peraltro, la normativa di rango secondario, ed, in specie, il citato D.P.R. 20 aprile 1994 n. 349, recante il Regolamento per il riordino dei procedimenti di riconoscimento di infermità o lesione dipendente da causa di servizio e di concessione dell’equo indennizzo: il quale, al precedentemente riportato art. 8, prevede che l’Amministrazione è tenuta a motivare le ragioni per le quali, eventualmente, decida di discostarsi dal parere emesso in ordine alle istanze di equo indennizzo dal C.P.P.O.

Può dunque, per concludere sul punto, ritenersi adeguatamente motivato il diniego gravato, siccome adottato in adesione al motivato parere negativo espresso dal competente organo sanitario.

6. Va poi ulteriormente soggiunto che, in materia di riconoscimento di infermità contratte da pubblici dipendenti per causa di servizio, il parere dell’Ufficio Medico Legale presso il Ministero della Sanità (ora Ministero della Salute) può essere richiesto dall’Amministrazione, ai sensi dell’art. 178 del D.P.R. 1092/1973, nei casi in cui essa intenda essere confortata da un ulteriore e conclusivo parere che possa superare le perplessità derivanti da giudizi contrastanti.

Pertanto, allorché l’Amministrazione ritenga di far proprie le conclusioni di detto parere, non è tenuta a motivare le ragioni specifiche per le quali non condivide l’avviso difforme della Commissione medica ospedaliera, atteso che la sua confutazione è già nello stesso parere del predetto Ufficio Medico (cfr., ex multis, T.A.R. Lazio, sez. IIIbis, 31 maggio 2005 n. 4286).

Nella fattispecie all’esame, a fronte del discordante avviso espresso dalla C.M.O. e dal C.P.P.O., correttamente l’Amministrazione ha sollecitato l’espressione di un avviso ad opera dell’Ufficio Medico Legale, il cui contenuto ha integralmente confermato le conclusioni precedentemente rassegnate dal C.P.P.O.

7. Deve, da ultimo, escludersi che il sindacato di legittimità esercitabile dal giudice amministrativo possa penetrare nel merito del giudizio tecnicodiscrezionale a fondamento dei provvedimenti concernenti il riconoscimento del diritto all’equo indennizzo; dovendo l’indagine rimessa all’adito organo di giustizia limitarsi, piuttosto, ad accertare la sussistenza di un completo iter istruttorio da cui emerga il pieno apprezzamento di tutti i presupposti di fatto, quali elementi attinenti i requisiti di legittimità dei conseguenti provvedimenti amministrativi.

Pertanto, ai fini di un legittimo riconoscimento, o meno, della dipendenza da causa di servizio delle infermità denunciate dai pubblici dipendenti, deve emergere nel contesto motivazionale del relativo provvedimento, sia pure per relationem con il richiamo dei pareri medici presupposti, l’accertamento del predetto nesso di causalità con l’attività lavorativa, in termini non presuntivi o generici, bensì specifici, con riferimento al ruolo, quantomeno concausale, della prestazione determinante la genesi o l’ingravescenza dell’infermità riscontrata.

Con riferimento al caso in esame, rileva il Collegio che l’Amministrazione resistente ha adeguatamente dato conto delle ragioni che l’hanno determinata a respingere l’istanza della ricorrente, richiamando per relationem il negativo parere espresso in merito dal C.P.P.O. e dal conforme avviso reso dall’Ufficio Medico Legale.

Ed invero, dalla lettura degli apporti endoprocedimentali sopra indicati, emergono, con carattere di apprezzabile completezza ed esaustività, le ragioni che hanno condotto ad escludere la presenza di un nesso di derivazione causale fra le patologie riscontrate in capo all’interessata e l’attività lavorativa dalla medesima disimpegnata.

Nel rinviare, per le relative considerazioni, a quanto in precedenza riportato, deve darsi atto che il parere espresso dal C.P.P.O. (e, quindi, dall’Ufficio Medico Legale) è congruamente motivato con riferimento alla analitica valutazione circa l’inidoneità dei fatti di servizio a causare l’infermità in termini di specificità con il caso concreto: per l’effetto dovendo disattendersi le censure dalla parte ricorrente al riguardo dedotte.

8. Le considerazioni precedentemente espresse conducono a ravvisare l’infondatezza delle doglianze articolate con il presente mezzo di tutela, che deve conseguentemente essere respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) respinge il ricorso indicato in epigrafe.

Condanna la ricorrente sig.ra C.G.A. al pagamento delle spese di giudizio in favore del Ministero della Giustizia per complessivi Euro 1.500,00 (euro mille e cinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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