T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 21-07-2011, n. 6565

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con provvedimento del 23 maggio 2006 il Presidente della Corte d’Appello di Firenze ha contestato all’odierno ricorrente – Giudice di pace coordinatore presso la sede di Orbetello – il ritardo nel deposito di sentenze ed ordinanze relativamente al periodo 20002005.

In particolare, l’interessato avrebbe depositato 8 sentenze penali e 596 sentenze civili oltre i 60 giorni e 29 ordinanze oltre i 30 giorni.

Pur a fronte delle giustificazioni addotte dall’interessato (documentato stato di salute; gravi situazioni familiari; oneroso carico di lavoro), il Presidente della Corte d’Appello formulava, in data 13 luglio 2006, proposta di applicazione della sanzione disciplinare della censura.

Il competente Consiglio Giudiziario, sentito il ricorrente, proponeva l’irrogazione della sanzione dell’ammonimento, attesi le documentate condizioni di salute ed il carico di lavoro del magistrato ordinario.

Tale proposta veniva quindi confermata dal Consiglio Superiore della Magistratura, le cui conclusioni venivano integralmente recepite dall’Autorità ministeriale in sede di adozione dell’avversato provvedimento irrogativo di sanzione disciplinare.

Queste le censure dedotte con il presente mezzo di tutela:

1) Violazione di legge e, in particolare, dell’art. 17 del D.P.R. 10 giugno 2000 n. 198

Argomenta in primo luogo il ricorrente la tardività nel perfezionamento del procedimento, atteso che quest’ultimo si sarebbe protratto per oltre un anno dal momento in cui il Presidente della Corte d’Appello ha avuto notizia dei fatti addebitati al dott. Simonetti.

Inoltre, sia l’invio degli atti con la proposta di censura al Consiglio Giudiziario, sia la deliberazione di quest’ultimo organismo, sarebbero intervenuti successivamente allo spirare dei termini all’uopo previsti.

2) Eccesso di potere per difetto di istruttoria

Non sarebbero, inoltre, state prese in considerazioni le argomentazioni difensive dall’interessato esplicitate anteriormente all’invio degli atti al Consiglio Giudiziario; né sarebbe stata acquisita alcuna relazione da parte del Presidente del Tribunale di Grosseto (competente alla vigilanza sull’attività degli Uffici del Giudice di Pace).

3) Eccesso di potere per sviamento, disparità di trattamento, manifesta ingiustizia, illogicità, contraddittorietà e vizi della motivazione

Assume poi il ricorrente che i ritardi nel deposito delle sentenze sarebbero giustificati, in ragione del documentato stato di salute, della grave situazione familiare, del carico di lavoro e della situazione dell’Ufficio giudiziario di appartenenza.

Il C.S.M. avrebbe immotivatamente ricusato di ascoltare personalmente l’incolpato, omettendo di considerare il grave stato di salute dall’interessato documentalmente comprovato, nonché le particolari condizioni familiari del dott. Simonetti.

Né la motivazione della determinazione dell’Organo di autogoverno recherebbe alcuna indicazione in ordine ai criteri assunti al fine di valutare la significativa rilevanza annessa al ritardo, da parte dell’interessato, nel deposito dei provvedimenti.

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame, con conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.

L’Amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte dalla parte ricorrente, conclusivamente insistendo per la reiezione del gravame.

La domanda di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, dalla parte ricorrente proposta in via incidentale, è stata dalla Sezione respinta con ordinanza n. 2658, pronunziata nella Camera di Consiglio del 6 giugno 2007.

Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 6 luglio 2011.

Motivi della decisione

1. Viene in primo luogo in considerazione la censura con la quale parte ricorrente ha denunciato che l’irrogazione della gravata sanzione disciplinare dell’ammonimento sia avvenuta in violazione dei termini del procedimento, di cui all’art. 17 del D.P.R. 198/2000.

1.1. Com’è noto, la legge 21 novembre 1991 n. 374 ha istituito la figura e l’ufficio del giudice di pace, chiamato a esercitare giurisdizione in materia civile e penale e la funzione conciliativa in materia civile (art. 1, commi 1 e 2), con la contestuale soppressione del giudice conciliatore.

L’art. 9 della legge n. 374/1991 regola, in particolare e per quanto qui interessa in modo specifico, la decadenza, la dispensa e le sanzioni disciplinari nei confronti dei giudici di pace.

Mentre la decadenza attiene alla mancanza sopravvenuta dei requisiti "…necessari per essere ammesso alle funzioni di giudice di pace", alle dimissioni volontarie o alla sopravvenienza di una causa d’incompatibilità, la dispensa, a domanda o d’ufficio, riguarda una "infermità che impedisce in modo definitivo l’esercizio delle funzioni o (…) altri impedimenti di durata superiore a sei mesi".

Le sanzioni disciplinari, graduate nell’ammonimento, nella censura e nella revoca dell’incarico, sono altresì irrogabili se il magistrato onorario "…non è in grado di svolgere diligentemente e proficuamente il proprio incarico ovvero in caso di comportamento negligente o scorretto".

Il procedimento relativo alla decadenza, alla dispensa e all’irrogazione delle sanzioni disciplinari si articola attraverso:

– una proposta del Presidente della Corte d’Appello (nel cui distretto è ubicato l’ufficio del giudice di pace cui è assegnato il magistrato onorario interessato)

– una conseguente deliberazione del Consiglio Giudiziario in composizione integrata

– una conclusiva deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura, con la formalizzazione del provvedimento con decreto del Ministro della giustizia (art. 9).

Con il regolamento di cui al D.P.R. 10 giugno 2000 n. 198 (che ha abrogato il precedente regolamento di cui al D.P.R. 28 agosto 1992 n. 404), sono state dettate le disposizioni applicative della legge, con riferimento alla composizione integrata dei Consigli Giudiziari, al procedimento concorsuale per l’ammissione al tirocinio, alla formazione della graduatoria degli idonei ed alla nomina, nonché, per quanto qui interessa, alla decadenza, alla dispensa ed all’applicazione delle sanzioni disciplinari.

L’art. 17 del D.P.R. n. 198/2000 ha stabilito, infatti, che qualora il Presidente della Corte d’appello del distretto interessato abbia notizia "…non manifestamente infondata di fatti costituenti causa di decadenza, di dispensa o di sanzioni disciplinari… entro quindici giorni, contesta, per iscritto, il fatto al giudice di pace interessato" (comma 1), con iscrizione in apposito registro della notizia stessa (comma 2).

La contestazione "deve indicare, succintamente, i fatti suscettibili di determinare l’adozione dei provvedimenti,… le fonti da cui le notizie dei fatti sono tratte e l’avvertimento che, entro il termine di quindici giorni dal ricevimento dell’atto, l’interessato può presentare memorie e documenti o indicare circostanze sulle quali richiede indagini o testimonianze" (comma 3).

Gli eventuali accertamenti istruttori necessari sono compiuti, anche per delega ad un magistrato della Corte d’Appello, entro trenta giorni dall’iscrizione della notizia del fatto nel registro (comma 4).

Salvo che si accerti l’infondatezza della notizia, con conseguente archiviazione, entro quarantacinque giorni dall’iscrizione nel registro, il Presidente della Corte d’appello "… trasmette, con le sue proposte, gli atti al Consiglio Giudiziario" (comma 5) che -previa notifica all’interessato del giorno, ora e luogo della seduta del Consiglio almeno dieci giorni prima, con avvertenza della facoltà di prendere visione degli atti, di comparire anche con assistenza di "difensore appartenente all’ordine giudiziario" e ferma la facoltà dell’interessato di presentare memorie e documenti (commi 6 e 7) – delibera in composizione integrata "…entro tre mesi decorrenti dall’iscrizione della notizia", salva l’estinzione del procedimento, qualora l’interessato vi consenta, se "decorso un anno dall’iscrizione" della notizia nel registro non sia stato emanato il decreto del Presidente della Corte d’appello contenente la proposta al Consiglio giudiziario (comma 9).

1.2 Così delineato, in estrema sintesi, il quadro di riferimento normativo (che si completa con le indicazioni di cui al capo VIII della circolare del Consiglio Superiore della Magistratura n. P15880/2002 del 1° agosto 2002, modificata e integrata con delibere del 19 dicembre 2002, 13 marzo 2003, 8 ottobre 2003, 26 luglio 2006, 16 ottobre 2008 e 23 luglio 2009), risultano prive di fondamento giuridico tutte le censure dedotte con riferimento all’asserita omessa osservanza della tempistica preordinata allo svolgimento del procedimento disciplinare.

Per quanto concerne la lamentata violazione dei termini "intermedi" del procedimento stesso, la scansione procedimentale delineata dall’art. 17 è caratterizzata da adempimenti il cui compimento è assistito da termini aventi carattere meramente ordinatorio.

Valenza perentoria va, invece, riconosciuta al solo termine "finale" di cui al comma 9 (un anno decorrente dall’iscrizione del fatto nel registro), alla cui scadenza consegue l’estinzione del procedimento disciplinare, sempre che vi consenta l’interessato, il quale potrebbe avere invece interesse ad una deliberazione sul merito del fatto (cfr. T.A.R. Lazio, sez. I, 9 dicembre 2009 n. 12599 e 11 febbraio 2006 n. 1045).

Nell’osservare come il Presidente della Corte d’Appello di Firenze abbia, nei confronti dell’odierno ricorrente, contestato i fatti aventi rilievo disciplinare con atto del 23 maggio 2006, l’adozione del conclusivo provvedimento irrogatorio di sanzione (intervenuta con decreto del Ministro della Giustizia in data 15 febbraio 2007) si pone all’interno dell’indicato spatium deliberandi annuale: per l’effetto dovendosi escludere la fondatezza delle doglianze esposte con il primo degli articolati motivi di gravame

2. Parimenti sfornita di condivisibilità si rivela la censura con la quale parte ricorrente lamenta la compressione del diritto di difesa e la mancata acquisizione, nel corso del procedimento disciplinare, della relazione del Presidente del Tribunale di Grosseto, competente alla vigilanza sull’attività degli Uffici del Giudice di Pace del circondario.

Va in proposito rilevato, sul primo punto, che la stessa documentazione dalla parte prodotta in una con l’atto introduttivo del giudizio evidenzia la presentazione di memorie sia dinanzi al Consiglio Giudiziario, che, successivamente, davanti al Consiglio Superiore della Magistratura: per l’effetto dovendo decisamente confutarsi che l’interessato non sia stato posto nella condizione di illustrare la propria posizione e, con essa, la presenza di circostanze giustificative a fronte degli addebiti contestati.

Se, per l’effetto, non può convenirsi in ordine alla denunciata violazione delle modalità esplicative del diritto di difesa, neppure si dimostra condivisibile l’omessa audizione del dott. Simonetti da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, atteso che, salva la fase della trattazione dinanzi al Consiglio giudiziario, non è prevista alcuna audizione dell’incolpato dinanzi al C.S.M.: e, quindi nessun avviso era dovuto all’interessato in ordine alla data di esame del procedimento disciplinare da parte dell’Organo di autogoverno.

Né, tanto meno, la pur sollecitata relazione del Presidente del Tribunale di Grosseto assurge – in presenza della completata acquisizione degli elementi e delle circostanze in punto di fatto idonei ad illustrare la complessiva configurazione della vicenda che ha dato luogo a contestazione di addebiti – al rango di profilo inficiante lo svolgimento dell’iter procedimentale.

3. Quanto al merito dei rilievi mossi nei confronti del ricorrente, va osservato come dagli atti di causa documentalmente emerga la presenza di non marginali ritardi, da parte del dott. Simonetti, nel deposito di provvedimenti.

In particolare, dal 2000 al 2005 l’interessato aveva depositato:

– 8 sentenze penali oltre i 60 giorni;

– 596 sentenze civili oltre i 60 giorni (in due casi, con ritardo superiore ad un anno);

– 29 ordinanze oltre i 30 giorni.

3.1 Rileva in primo luogo il Collegio che il valore della tempestività nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali, presidiato da specifici termini processuali (nel caso dei giudici di pace pari a quindici giorni, ai sensi dell’art. 321 c.p.c.), ha assunto rilievo peculiare e rango costituzionale a seguito dell’introduzione del principio del "giusto processo" ( art. 111, comma 1, Cost., come aggiunto dall’art. 1, comma 1, della legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2): rispetto al quale "ragionevole durata", la cui determinazione è affidata alla legge ordinaria, costituisce predicato ineludibile, assieme al "contraddittorio", alla "parità delle parti", alla "terzietà" ed all’"imparzialità" del giudice (come pure aggiunti al secondo comma dell’art. 111 dall’art. 1, comma 2, della legge costituzionale n. 2/1999).

È evidente, infatti, che nell’alveo della ragionevole durata rientrano tutti gli istituti processuali indirizzati a garantire che l’ambito temporale di ogni controversia giudiziale sia calibrato in modo da assicurare una tutela tempestiva, efficace ed effettiva delle posizioni giuridiche azionate; e, quindi, anche i termini concernenti il deposito dei provvedimenti giurisdizionali e, tra di essi, in specie dei provvedimenti che definiscono il giudizio, e precipuamente le sentenze, il cui rilievo è intuitivamente ancora maggiore in ambiti cognitori di accertamento e condanna, non presidiati da efficaci tutele interinali, quali sono eminentemente quelli tipici del giudizio civile.

In tali ambiti, poi, l’ampiezza quantitativa e qualitativa della competenza del giudice di pace, come delineata dall’art. 7 c.p.c., la concentrazione del relativo giudizio, l’esigenza di rapida definizione sottesa alle regole processuali proprie del medesimo, la peculiare brevità del termine di deposito delle sentenze, denotano l’assoluta rilevanza del profilo della tempestività: e quindi, in correlazione, il rilievo negativo ricongiungibile alla reiterata e sistematica violazione del termine di deposito, quale elemento dimostrativo della scarsa considerazione prestata al valore costituzionale della ragionevole durata dei procedimenti.

La giurisprudenza ha, del resto, avuto modo di osservare come la mancata considerazione delle esigenze delle parti e dei loro difensori, manifestato con il ritardo non occasionale nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali, integri idonea circostanza (addirittura) al fine di legittimare il diniego, da parte del C.S.M., di conferma nell’incarico di giudice di pace (Cons. Stato, sez. IV, 11 maggio 2007 n. 2326; cfr., in termini, anche le pronunzie di questa Sezione, 9 dicembre 2009 n. 12607, 29 marzo 2006 n. 2190 e 3 aprile 2006 n. 2289).

3.2 Se, per l’effetto, è incontroverso che il ritardo nel deposito dei provvedimenti giudiziari integri una chiara violazione dei doveri di diligenza ed operosità che incombono sul magistrato, anche onorario, deve escludersi che le ragioni giustificative addotte dall’interessato non abbiano trovato riscontro nella ponderazione della posizione del dott. Simonetti conclusivamente operata dall’Organo di autogoverno.

Se nell’atto deliberativo assunto nella seduta del 24 gennaio 2007 si dà, infatti, atto:

– della produttività elevata (329,6 sentenze all’anno)

– di un carico di lavoro "molto oneroso (2.394 cause assegnate tra il settembre 2002 ed il 25 ottobre 2005)

– della riduzione e, quindi, dell’eliminazione dell’arretrato negli ultimi due anni

– nonché della presenza di profili organizzativi concorrenti ai fini del verificarsi dei ritardi nel deposito dei provvedimenti

nondimeno il C.S.M. ha rilevato l’inidoneità di tali giustificazioni a far venire meno "la rilevanza disciplinare dell’addebito", in quanto "gli eventi addotti, benché idonei ad attenuare in modo apprezzabile la gravità delle contestazioni, non escludono… il disvalore della condotta, considerata la diffusività del ritardo per il numero rilevante delle sentenze interessate (596 in 5 anni)".

3.3 Tale apparato motivazionale si rivela, invero, indenne da censure.

Va infatti considerato che – esclusa la penetrazione del sindacato di legittimità del merito delle valutazioni espresse dal C.S.M. – la complessiva ponderazione della posizione dell’interessato relativamente al documentato ritardo nel deposito di provvedimenti è stata correttamente bilanciata con l’insieme delle circostanze dal medesimo addotte all’apprezzamento dell’Organo di autogoverno: il quale ha conclusivamente disposto – proprio in ragione di tali elementi di valutazione – l’irrogazione della più tenue fra le previste sanzioni disciplinari (ammonimento); laddove la mancanza di che trattasi, come si è avuto modo di osservare, ben è suscettibile di condurre finanche all’irrogazione della sanzione espulsiva (decadenza).

4. Le considerazioni precedentemente rassegnate impongono – in ragione della rilevata infondatezza delle censure esposte con il presente mezzo di tutela – di disporre la reiezione del ricorso.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) respinge il ricorso indicato in epigrafe.

Condanna il ricorrente S.A. al pagamento delle spese di giudizio in favore del Ministero della Giustizia in ragione di Euro 1.500,00 (euro mille e cinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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