T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 21-07-2011, n. 6562

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’odierno ricorrente, che ricopre l’incarico di Consigliere caposervizio, titolare dell’Organo centrale di Sicurezza della Presidenza della Repubblica dal novembre 2005, si duole della nomina del Dott. Flavio Salvatori quale Vice Segretario generale amministrativo nel ruolo della carriera direttiva amministrativa del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica e della nomina del Dott. Filippo Romano quale Vice Segretario generale per la documentazione e le relazioni esterne nel ruolo della carriera direttiva amministrativa del Segretariato generale della Repubblica, sostenendo di essere in possesso di una maggiore anzianità di servizio rispetto ai soggetti nominati, di aver ottenuto numerosi riconoscimenti e di vantare un maggior numero di titoli.

In via preliminare, si sofferma parte ricorrente nell’illustrazione delle ragioni in base alle quali deve essere ritenuta la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo pur essendo stato istituito, con Decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 2008 n. 34, il Collegio Giudicante competente a conoscere sui ricorsi in materia di rapporti di impiego col Segretariato della Presidenza della Repubblica presentati dai dipendenti in servizio o in quiescenza per la tutela di diritti ed interessi legittimi, sostenendo come una lettura costituzionalmente orientata della relativa disciplina non possa comportare la sottrazione al giudice amministrativo della cognizione su tali rapporti, non rivestendo il citato decreto valore di atto normativo primario, di cui non possiede i requisiti formali, e non prevedendo la Costituzione un potere per la Presidenza della Repubblica analogo a quello di cui all’art. 64.

Il citato decreto rivestirebbe, secondo parte ricorrente, valore di atto amministrativo e sarebbe in contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 103 e 113 della Costituzione, non potendo la giurisdizione essere derogata mediante l’istituzione di un giudice speciale con atto amministrativo.

Chiede, pertanto, parte ricorrente, l’annullamento del citato decreto o la rimessione alla Corte Costituzionale della sua legittimità laddove dovesse ritenersi che lo stesso riveste valore normativo primario.

Contesta, sotto tale profilo, le statuizioni rese dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, nella sentenza n. 6529 del 2010, con riferimento alla sussistenza dell’autodichia della Presidenza della Repubblica con conseguente difetto assoluto di giurisdizione del giudice amministrativo, non attribuendo la Costituzione al Presidente della Repubblica alcuna potestà regolamentare in materia di stato giuridico ed economico del personale, né potendo tale potere essere introdotto dalla legge n. 1077 del 1948, che in quanto legge ordinaria non potrebbe modificare il riparto della giurisdizione, altrimenti ponendosi in contrasto con il dettato costituzionale, sollecitando in proposito la rimessione della questione alla Corte Costituzionale.

Afferma, inoltre, parte ricorrente come la giurisdizione domestica richieda necessariamente che sia lo stesso organo costituzionale a decidere sulle controversie, laddove il Collegio giudicante previsto dal citato decreto è formato da soggetti esterni al Segretariato Generale della Repubblica, sostenendo altresì che la natura monocratica dell’organo non potrebbe conciliarsi con l’autodichia.

Sull’affermato presupposto della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, sostiene, quindi, parte ricorrente l’illegittimità dei decreti recanti la nomina del Dott. Flavio Salvatori quale Vice Segretario generale amministrativo nel ruolo della carriera direttiva amministrativa del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica e del Dott. Filippo Romano quale Vice Segretario generale per la documentazione e le relazioni esterne nel ruolo della carriera direttiva amministrativa del Segretariato generale della Repubblica deducendo, a sostegno della proposta azione impugnatoria, il seguente motivo di censura:

I – Violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, come successivamente integrato e modificato, dell’art. 97 della Costituzione, dell’art. 84 del D.P. 18 giugno 1985 n. 174 come successivamente integrato e modificato e dell’art. 3 del D.P. 26 luglio 2005 n. 60/N.

Eccesso di potere per carenza istruttoria, difetto di motivazione, illogicità e perplessità evidenti.

Denuncia parte ricorrente la mancanza di motivazione dei gravati decreti di nomina che, nell’operare un generico richiamo alla proposta del Segretario Generale, non indicano i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la relativa decisione, lamentando altresì il difetto di adeguata istruttoria che avrebbe dovuto essere effettuata sulla base della comparazione dei curricula dei soggetti in possesso dei requisiti per la nomina, in esito alla quale avrebbe prevalso il ricorrente in quanto in possesso di una maggiore anzianità e di un più titolato curriculum.

Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione eccependo, anche con successiva memoria, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, il difetto di legittimazione ad agire in capo al ricorrente, affermando altresì l’insussistenza delle condizioni per sollevare incidente di illegittimità costituzionale del Decreto Presidenziale n. 34 del 2008 e dell’art. 3 della legge n. 1077 del 1948, sostenendo nel merito, con articolate controdeduzioni, l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

Si sono costituiti in giudizio anche i controinteressati Flavio Salvatori e Filippo Romano, eccependo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e sostenendo l’infondatezza del ricorso, con richiesta di corrispondente pronuncia.

Con memoria successivamente depositata parte ricorrente ha controdedotto a quanto ex adverso sostenuto, insistendo nelle proprie richieste.

Alla Pubblica Udienza del 22 giugno 2011, la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti, trattenuta per la decisione, come da verbale.

Motivi della decisione

Con il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso i decreti presidenziali – meglio descritti in epigrafe nei loro estremi – recanti la nomina del Dott. Flavio Salvatori quale Vice Segretario generale amministrativo nel ruolo della carriera direttiva amministrativa del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica e la nomina del Dott. Filippo Romano quale Vice Segretario generale per la documentazione e le relazioni esterne nel ruolo della carriera direttiva amministrativa del Segretariato generale della Repubblica.

Avverso i gravati provvedimenti parte ricorrente, previa illustrazione delle ragioni in base alle quali deve asseritamente ritenersi la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla controversia in esame, deduce il vizio di difetto di motivazione, per essere tali decreti basati su di un generico richiamo alla proposta del Segretario Generale senza in alcun modo indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato le contestate nomine, lamentando altresì il difetto di adeguata istruttoria che avrebbe dovuto essere effettuata sulla base della comparazione dei curricula dei soggetti in possesso dei requisiti per la nomina, in esito alla quale, secondo quanto affermato dal ricorrente, sarebbe stata riconosciuta la propria prevalenza in quanto in possesso di una maggiore anzianità e di un più titolato curriculum.

Così sintetizzato l’oggetto del giudizio introdotto con il ricorso in esame, il Collegio è chiamato preliminarmente a pronunciarsi in ordine alla questione inerente la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla controversia che qui occupa, dovendo alla stessa – per le ragioni che si andranno ad esporre – dare risposta negativa.

Tale questione si innesta sulla problematica inerente la sussistenza della giurisdizione domestica in capo alla Presidenza della Repubblica a fronte della previsione, con decreto presidenziale 30 dicembre 2008 n. 34, di un Collegio Giudicante competente a conoscere sui ricorsi in materia di rapporti di impiego col Segretariato della Presidenza della Repubblica presentati dai dipendenti in servizio o in quiescenza per la tutela di diritti ed interessi legittimi, con riferimento al quale deduce parte ricorrente come una lettura costituzionalmente orientata della relativa disciplina non possa comportare la sottrazione al giudice amministrativo della cognizione su tali rapporti, non rivestendo il citato decreto valore di atto normativo primario e non prevedendo la Costituzione un potere per la Presidenza della Repubblica analogo a quello di cui all’art. 64, chiedendo, laddove ne fosse ritenuto il carattere normativo, la rimessione alla Consulta della questione della sua legittimità costituzionale.

Sempre sotto il profilo della giurisdizione, afferma altresì parte ricorrente, nel contestare le statuizioni rese dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, nella sentenza n. 6529 del 2010, l’assenza di un fondamento costituzionale per la potestà regolamentare della Presidenza della Repubblica in materia di stato giuridico ed economico del personale, non potendo tale fondamento essere rinvenuto nella legge n. 1077 del 1948 in quanto inidonea a modificare il riparto della giurisdizione, altrimenti ponendosi in contrasto con il dettato costituzionale.

Sarebbe altresì di ostacolo, secondo parte ricorrente, al riconoscimento dell’autodichia della Presidenza della Repubblica il carattere monocratico dell’organo e l’essere il collegio giudicante composto da membri esterni.

La tematica inerente la sussistenza e la legittimità dell’autodichia – termine con il quale si intende la capacità degli organi costituzionali dello Stato, già dotati di autonomia organizzativa e contabile, di decidere direttamente, attraverso articolazioni organizzative interne, ogni controversia attinente all’esercizio delle proprie funzioni, tra cui quelle inerenti al rapporto d’impiego con i propri dipendenti, senza che organismi giurisdizionali esterni siano abilitati ad esercitare qualsivoglia tipologia di sindacato o controllo – è stata variamente affrontata dalla giurisprudenza, anche costituzionale.

Da ultimo, è intervenuta la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione Civile 17 marzo 2010 n. 6529, adottata su regolamento preventivo di giurisdizione, in adesione alle cui statuizioni – dalle quali non ravvisa il Collegio valide ragioni per discostarsi – deve affermarsi la carenza assoluta di giurisdizione del giudice amministrativo, così come del giudice ordinario, in ordine alle controversie di impiego del personale addetto alla Presidenza della Repubblica e dipendente dal Segretariato Generale.

La citata sentenza costituisce il punto di approdo dell’elaborazione giurisprudenziale in materia, giungendo a riconoscere, sulla falsariga di quanto avviene per il Parlamento, la prerogativa dell’autodichia della Presidenza della Repubblica.

Tale approdo si pone in linea di continuità con le precedenti pronunce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, tra cui quella richiamata da parte ricorrente del 17 dicembre 1998 n. 12614, in base alle quali i giudici della giurisdizione sono giunti a negare la potestà di autodichia della Presidenza della Repubblica in materia di personale e ad affermare, conseguentemente, la giurisdizione del giudice amministrativo.

Ed infatti, la giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie in tema di impiego presso la Presidenza della Repubblica era stata in passato ricondotta alla mancanza di un riferimento esplicito all’autodichia a livello costituzionale, nonché alla mancata previsione della giurisdizione domestica per effetto della legge ordinaria istitutiva del Segretariato Generale o per effetto del regolamento interno allora vigente, il quale prevedeva addirittura l’improcedibilità del ricorso interno se nei confronti dello stesso atto o provvedimento fosse stato da chiunque proposto ricorso al giudice amministrativo (con conseguente inequivocabile ammissione circa la giustiziabilità degli atti davanti al giudice comune e circa l’inesistenza di una contraria consuetudine costituzionale).

In sostanza, la negazione della potestà di autodichia della Presidenza della Repubblica in materia di personale era stata ricondotta alla circostanza che la legge n. 1077 del 1948 non avesse previsto espressamente l’autodichia nei confronti del personale addetto ai servizi ed agli uffici della Presidenza della Repubblica e che nemmeno una forma di giurisdizione domestica esclusiva era disciplinata dai regolamenti interni vigenti (ovvero dal regolamento di cui al decreto presidenziale n. 21 del 1980).

Trattasi, a ben vedere, di argomentazioni che – nel negare il potere di autodichia in capo alla Presidenza della Repubblica non tanto per la sua inesistenza ontologica, quanto per la sua mancata previsione in sede, oltre che costituzionale, anche regolamentare – costituiscono il perno della decisione delle Sezioni Unite della Suprema Corte di segno opposto, che ha invece negato la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo a favore della giurisdizione domestica della Presidenza della Repubblica.

Con tale decisione la Corte di Cassazione ha registrato il nuovo assetto dell’organo costituzionale che si è dotato, attraverso le previsioni regolamentari di cui ai decreti presidenziali nn. 81 e 86 del 1996, di una struttura decisionale articolata per la soluzione delle controversie inerenti il rapporto di impiego con la Presidenza della Repubblica, in superamento della previsione di un procedimento interno non ostativo del ricorso al giudice.

L’intervenuto esercizio del potere regolamentare da parte della Presidenza della Repubblica, organo costituzionale assistito da una potestà di autorganizzazione a fondamento costituzionale indiretto, da una indiscussa autonomia contabile (l’una e l’altra imperniate sull’interazione di una consolidata prassi costituzionale con il riferimento normativo) e da una idoneità alla normazione sui conflitti domestici attraverso l’adozione di regolamenti, con il quale è stata istituita una struttura decisionale per la soluzione delle controversie in materia di impiego, ha costituito, quindi, il presupposto per il riconoscimento, effettuato con la citata sentenza n. 6529 del 2010, del potere di autodichia anche in capo alla Presidenza della Repubblica, il quale era stato negato in precedenza, come accennato, non per l’inesistenza di un suo fondamento indiretto o per ragioni connesse alla tipologia dell’organo, quanto per la sua mancata previsione in sede, oltre che costituzionale, anche regolamentare.

Pertanto, una volta che il regolamento interno ha provveduto a disciplinare un sistema di giustizia domestica nell’ambito in esame, invece che prevedere un ricorso interno solamente alternativo al ricorso al giudice comune, è risultata compiuta quella scelta nel senso dell’autodichia che la Corte costituzionale (sentenza 10 luglio 1981 n. 129) aveva ammesso sussistere in astratto anche per la Presidenza della Repubblica, in considerazione delle medesime esigenze di indipendenza valevoli per il Parlamento, con la conseguenza di poter ritenere superata la precedente posizione giurisprudenziale la quale, come rilevato, non negava in radice l’esigenza di giustizia domestica, ma si limitava a registrarne la mancata previsione a livello regolamentare interno.

In particolare, la Corte costituzionale, con la citata sentenza 10 luglio 1981 n. 129, aveva ritenuto che i regolamenti approvati dal Presidente della Repubblica su proposta del Segretario generale in materia organizzativa interna, sebbene non completamente assimilabili ai regolamenti delle Camere, dovessero considerarsi sorretti da un fondamento costituzionale implicito rispetto al quale la legge n. 1077 del 1948 – istitutiva del Segretariato Generale, a norma della quale, per quanto qui di interesse, il Segretario propone al Presidente l’approvazione del regolamento interno e dei provvedimenti relativi al personale (art. 3, comma 3)- assume un carattere ricognitivo piuttosto che attributivo. Secondo la Consulta, malgrado per la Presidenza della Repubblica non sussista alcuna previsione costituzionale analoga a quella concernente i regolamenti parlamentari al di là del testo dell’ultimo comma dell’art. 83 Cost., che si limita a rinviare alla legge la determinazione dell’assegno e della dotazione, sarebbe comunque indiscusso che anche tale organo abbisogni di un proprio apparato, non solo e non tanto per amministrare i beni rientranti nella dotazione stessa, quanto per consentire un efficiente esercizio delle funzioni presidenziali, garantendo in tal modo la non dipendenza del Presidente rispetto ad altri poteri dello Stato.

In linea di continuità con i principi così affermati sia dalla Consulta che dalla Corte di Cassazione, il fondamento dell’autodichia della Presidenza della Repubblica è stato quindi rinvenuto nel regolamento interno approvato dal Presidente della Repubblica su proposta del Segretario generale, la cui dignità giuridica è stata equiparata dalla Consulta a quella dei regolamenti parlamentari, esplicitamente previsti in Costituzione e dunque in grado di derogare ai principi ivi previsti, quale quello della tutela giurisdizionale dei diritti ed interessi legittimi.

La Corte di Cassazione, nella citata sentenza, ha scrutinato il sistema di giurisdizione domestica delineato dai decreti presidenziali n. 81 e 89 del 1996 alla luce dei criteri posti dalla Costituzione come integrati dalle norme della Convenzione Europea (art. 6- 1), come interpretate dalla Corte di Strasburgo, secondo il procedimento di ingresso nell’ordinamento nazionale precisato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 348 del 2007.

In particolare, la Corte di Cassazione si è riportata alla sentenza della Corte Europea del 28 aprile 2009, resa dalla II Sezione nella causa Savino ed altri contro l’Italia, proposta all’esito dell’esercizio della autodichia della Camera dei Deputati, con la quale è stato affermato che il rispetto dell’art. 6, p.1 della Convenzione ben può essere assicurato con la riserva di controversie ad organismi diversi da quelli comuni a condizione che anche per tali organismi siano garantite le condizioni di precostituzione, imparzialità ed indipendenza che presidiano all’esercizio della giurisdizione ordinaria, condizioni che trovano perfetta corrispondenza nei principi di cui agli artt. 25,104,107e108 Cost., giungendo a ritenere che tali condizioni, assistono il disegno perseguito dai Decreti Presidenziali nn. 81 ed 89 del 1996.

Segnatamente, il sistema di autodichia istituito con tali decreti – caratterizzato da collegi stabili a durata quadriennale con componenti selezionati prevalentemente (in primo grado) o totalmente (in appello) in ragione della loro professionalità – è stato ritenuto conforme alla necessità di garantire che la trattazione di ogni affare sia riservata ad un organo decidente già designato e destinato ad operare stabilmente per una serie di affari, idoneo a garantire l’imparzialità dei collegi decidenti, ritenuta tendenzialmente assicurata dalla appartenenza ordinamentale (magistrati ordinari, amministrativi e contabili) e dalla autorevolezza della fonte di designazione dei componenti dei collegi (i Presidenti degli organi di provenienza) nonchè dalla volontà di sottoporne il funzionamento alle regole procedurali generali ed alle norme di deontologia degli ordini di appartenenza.

Ancora, la Corte di Cassazione, nella sentenza in esame, ha ritenuto che la giurisdizione domestica così regolamentata rispetti il requisito di indipendenza, essendo i collegi costituiti in prevalenza (in primo grado) o in via esclusiva (in appello) con personale totalmente esterno all’organo costituzionale, designato dal vertice dell’organo di appartenenza e legato con il Segretariato Generale da un rapporto puramente onorario, concludendo per la sussistenza di un potere di autodichia rispondente ai principi fondamentali posti dalla Costituzione e dalla Convenzione Europea.

In tal modo, la Corte ha dato risalto, oltre che alla specifica opzione della Presidenza della Repubblica di avvalersi della prerogativa dell’autodichia e di espressamente regolamentarla, alla giurisdizionalizzazione della giustizia domestica prevista in senso a tale organo costituzionale ed all’assunzione di un carattere più propriamente giurisdizionale del sistema, che è valso a superare i dubbi circa la sussistenza o meno in capo a tale organo costituzionale della prerogativa in esame, e ciò sulla scorta della constatazione che l’indiscussa necessità di tutela dell’indipendenza della Presidenza, in quanto organo posto al vertice dello Stato, si realizza, in concreto, attraverso un sistema che, stante il vigente assetto regolamentare, non risulta più lesivo dei principi costituzionali tradizionalmente ritenuti offesi dall’esercizio del potere di autodichia.

Nello stesso solco interpretativo, peraltro, si collocano le pronunce di questo Tribunale n. 6875 del 2007 e del Consiglio di Stato 27 ottobre 2005 n. 6015, in base alle quali è stata ritenuta la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo per le controversie insorte prima dell’1 gennaio 1997, ovvero prima dell’entrata in vigore dei decreti che hanno istituito gli organi di giurisdizione domestica della Presidenza della Repubblica.

Le caratteristiche che hanno consentito di ritenere la legittimità e la conformità ai principi fondamentali posti dalla Costituzione e dalla Convenzione Europea del sistema di giurisdizione domestica della Presidenza della Repubblica delineato dai citati decreti del 1996, di cui sopra si è dato atto, risultano con il decreto presidenziale n. 34 del 2008 ulteriormente rafforzate, non essendo più prevista nel Collegio Giudicante la presenza di componenti non togati, appartenendo i relativi componenti alle varie magistrature e venendo designati dai rispettivi Presidenti dell’ordine di appartenenza, così risultando la diversa composizione ancor più rispondente ai principi di imparzialità e di terzietà.

Nelle illustrate considerazioni risiedono le ragioni che, nel condurre all’affermazione della sussistenza dell’autodichia della Presidenza della Repubblica, con speculare difetto di giurisdizione del Giudice adito, consentono di dichiarare manifestamente infondati i prospettati dubbi di illegittimità costituzionale del decreto presidenziale n. 34 del 2008 e della legge n. 1077 del 1948, dovendo in proposito ricordarsi come la Corte Costituzionale, nella già citata sentenza n. 129 del 1981, abbia espressamente riconosciuto che i regolamenti approvati dal Presidente della Repubblica sono sorretti da un implicito fondamento costituzionale rispetto al quale la legge n. 1077 assume carattere ricognitivo e non attributivo.

La natura ricognitiva di tale legge è, inoltre, stata ribadita dalla Corte di Cassazione nella citata sentenza n. 6529 del 2010, ove si è altresì affermata la sussistenza di un fondamento costituzionale indiretto della potestà di autorganizzazione della Presidenza della Repubblica e della sua prerogativa di adottare una specifica normativa per la soluzione dei conflitti domestici.

La valenza da annettersi agli elementi sopra indicati e le ragioni sottese al riconoscimento della giurisdizione domestica della Presidenza della Repubblica contengono le motivazioni per le quali è da ritenersi l’irrilevanza, ai fini di tale riconoscimento, della natura monocratica dell’organo costituzionale di cui si discute, non costituendo requisito imprescindibile dell’autodichia che i componenti dell’organo siano a loro volta componenti del collegio giudicante.

Né la giurisdizione domestica – contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente – richiede necessariamente che sia lo stesso organo costituzionale a decidere sulle controversie attraverso propri componenti, risultando piuttosto una composizione dell’organo che si avvale di membri qualificati appartenenti ad ordini giurisdizionali più rispondente ai principi fissati dalla Corte Europea nella citata sentenza resa nella causa Savino.

In conclusione, alla luce delle considerazioni sopra illustrate, va affermato il difetto assoluto di giurisdizione del giudice amministrativo adito, essendo la controversia devoluta agli organi di giurisdizione domestica della Presidenza della Repubblica, con conseguente inammissibilità del ricorso.

Le spese, in ragione della natura della controversia, possono essere equamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso N. 1076/2011 R.G., come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile stante il proprio difetto di giurisdizione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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