T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 21-07-2011, n. 6555 Albi professionali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 6 ottobre 2010, depositato il successivo 4 novembre, ha esposto l’interessata di aver partecipato nelle date del 15, 16 e 17 dicembre 2009 alle prove scritte (contrassegnate dal n. 929) per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, sessione 2009, e di aver appreso dalla pubblicazione tramite internet dei relativi risultati, avvenuta in data 25 giugno 2010, di non essere stata ammessa alle prove orali.

La ricorrente ha altresì esposto di aver appreso, esperita istanza di accesso agli atti, che la competente Sottocommissione esaminatrice, nella seduta del 19 aprile 2010, ha espresso un giudizio di non idoneità relativamente ad una delle tre prove scritte, ovvero l’atto giudiziario in materia di diritto privato, al quale è stato attribuito il voto di 25, mentre le altre due prove (parere motivato in materia civile; parere motivato in materia penale) sono state ritenute sufficienti, ancorchè con il minimo punteggio (30).

Premesso, indi, di aver presentato domanda di riesame in via amministrativa, la ricorrente ha domandato l’annullamento del provvedimento di non ammissione alle prove orali, nonché degli atti connessi, meglio indicati in epigrafe, avverso i quali ha dedotto le censure di seguito indicate nei titoli e, sinteticamente, nel contenuto.

1) Violazione dell’art. 22, commi 3, 4 e 7, del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, come modificato dal d.l. 21 maggio 2003, n. 112, convertito dalla l. 18 luglio 2003, n. 180 – violazione dei principi relativi alle composizioni delle commissioni – violazione del d.m. 1° dicembre 2009 – violazione dei principi di trasparenza e imparzialità – violazione e falsa applicazione dei criteri elaborati dalla Commissione centrale presso il Ministero della giustizia costituita per l’esame di avvocato, sessione 2009 – eccesso di potere per errore sui presupposti, contraddittorietà, illogicità, incoerenza, ingiustizia manifesta e sviamento.

La IV Sottocommissione, che ha proceduto alla correzione degli elaborati della ricorrente, ha operato in composizione non corrispondente a quella prevista nel decreto di nomina, non figurandovi i due magistrati previsti, uno dei quali essendo stato sostituito da un componente supplente, avvocato, senza alcuna indicazione né motivazione a verbale, con conseguente discontinuità e disparità di trattamento nei confronti dei candidati, valutati da soggetti con competenze differenti e diseguali metri di giudizio.

La stessa Sottocommissione, sia nella persona del Presidente, sia nella persona dei due componenti magistrati, non corrisponde a quella nominata con d.m. 1° dicembre 2009, senza emanazione o indicazione dei decreti di sostituzione.

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 23, 24 e 30 del r.d. 24 gennaio 1934, n. 37 e s.m.e.i. – violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 97 e 113 della Costituzione – violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241 – violazione e falsa applicazione della circolare 21 dicembre 2004 – eccesso di potere per difetto di istruttoria, errore sui presupposti, illogicità, irrazionalità e illogicità manifesta.

Il contestato giudizio, affidato al solo voto numerico, è affetto da totale carenza di motivazione. Né il verbale di correzione né gli elaborati recano il richiamo ai predeterminati criteri di valutazione, che risultava necessario per esternare la motivazione della rilevata inidoneità. Quanto ai criteri di valutazione, gli elaborati della ricorrente sono stati articolati con proprietà di linguaggio e di contenuto, quindi delle due l’una: o gli stessi vanno considerati generici, e allora risultano in quanto tali inidonei a dirigere il procedimento valutativo della Sottocommissione, ovvero sono da ritenersi puntuali e circostanziati, e quindi le prove della ricorrente avrebbero meritato una valutazione positiva ovvero maggiormente favorevole. Dagli elaborati non risultano altresì neanche segni grafici di correzione, di talchè risulta impossibile percepire l’iter logico del procedimento valutativo seguito o conoscere da parte del candidato gli errori o le inesattezze in cui è incorso. La piana lettura delle tre prove della ricorrente attesta l’incoerenza della sola sufficienza attribuita ai due pareri in materia civile e penale, e l’irragionevolezza della insufficienza riscontrata dalla Sottocommissione nell’atto giudiziario in materia di diritto privato, come risulta anche dal parere proveritate versato in atti. Anche l’esiguità del tempo impiegato nell’espletamento dell’attività di correzione (circa tre minuti in media per ogni singolo elaborato), che non può non aver avuto una incidenza causale sul procedimento valutativo, attesta la carenza di una seria e attenta lettura degli elaborati.

Esaurita l’illustrazione dei profili di doglianza, parte ricorrente ha rassegnato le proprie conclusioni, domandando l’accoglimento del ricorso con conseguente annullamento degli atti gravati.

Si è costituita in resistenza l’intimata amministrazione che, fatta ricognizione della giurisprudenza che governa la materia investita dal gravame, ha sostenuto l’infondatezza delle questioni proposte e domandato il rigetto del ricorso.

Con ordinanze n. 5048 del 2010 e n. 914 del 2011 la Sezione, preso atto della pendenza in sede amministrativa dell’istanza di riesame presentata dall’interessata, ha disposto l’acquisizione degli esiti del relativo procedimento.

Con comunicazioni successivamente versate in atti, la competente Sottocommissione, ritenuta la insuscettibilità dell’istanza di riesame di ingenerare in capo alle pubbliche amministrazioni l’obbligo di provvedere, ha esposto di ritenere di non dover, nella fattispecie, dare seguito all’istanza di riesame formulata dalla ricorrente, per inidoneità delle motivazioni all’uopo esplicitate dall’interessata.

Parte ricorrente ha affidato a memoria lo sviluppo delle tesi difensive illustrate in ricorso.

Con la stessa memoria la ricorrente ha anche sostenuto la sussistenza, nella specie, dell’obbligo di provvedere, atteso che l’istanza di riesame non assumeva un intento elusivo del termine decadenziale di impugnazione ed era sostenuta da motivazioni meritevoli di considerazione.

La causa è stata indi trattenuta in decisione alla pubblica udienza dell’8 giugno 2011.

Motivi della decisione

1. Si controverte in tema di legittimità della valutazione di prove scritte comportante, nell’ambito dell’esame per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, sessione 2009, la mancata ammissione alle prove orali.

Le questioni di cui consta il gravame sono proposte dalla ricorrente, che, avendo conseguito un giudizio di non idoneità relativamente ad una delle tre prove scritte, l’atto giudiziario in materia di diritto privato, al quale è stato attribuito il voto di 25, mentre le altre due prove (parere motivato in materia civile; parere motivato in materia penale) sono state ritenute sufficienti, ancorchè con il minimo punteggio (30), sostiene l’illegittimità del relativo procedimento valutativo.

Resiste il Ministero della giustizia.

2. Il ricorso è infondato.

3. Le censure relative alla composizione della IV Sottocommissione, che ha proceduto alla correzione delle prove scritte di cui trattasi, non possono essere condivise.

Segnatamente, non è conducente quanto lamentato dalla ricorrente in ordine alla circostanza che la Sottocommissione in parola abbia operato, nella seduta nella quale è stata adottata la contestata valutazione, in composizione non corrispondente a quella prevista nel decreto di nomina, non figurandovi i due magistrati previsti, uno dei quali sostituito da un componente supplente, avvocato.

Infatti, l’art. 22, comma 5, r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento della professione di avvocato), nel testo sostituito dall’art.1bis, d.l. 21 maggio 2003, n. 112, afferma che i membri supplenti intervengono alle sedute della sottocommissione in sostituzione di qualsiasi membro effettivo.

Sulla base del dato letterale della succitata norma, la giurisprudenza, anche della Sezione, è ferma nel ritenere che i componenti dei singoli collegi possono, in caso di assenza o impedimento, essere legittimante sostituiti dai membri supplenti, attesa l’assoluta parità esistente, sul piano funzionale, fra le due categorie, nonché in ragione del principio di fungibilità fra membri effettivi e membri supplenti, indipendentemente dalla qualifica professionale posseduta dagli uni e dagli altri.

La ratio sottesa a tale conclusione è stata individuata nel fatto che le tre categorie professionali presenti nelle Sottocommissioni (avvocati, magistrati e docenti universitari) non intervengono in rappresentanza di interessi settoriali, sicché non può ritenersi illegittimamente composta una sottocommissione nella quale, per effetto dell’intervento di membri supplenti, risulti alterato il rapporto fra le varie componenti delle categorie professionali chiamate a costituire l’organo collegiale (Tar Lazio, Roma, I, 14 settembre 2009, n. 8687; C. Stato, IV, 3 novembre 2006, n. 6513).

Per le stesse ragioni, cui possono aggiungersi quelle relative al riconoscimento operato dalla giurisprudenza sia della pari dignità della figura del supplente rispetto a quella del titolare sia della funzione di semplificazione e di velocizzazione del lavoro di correzione affidato alle sottocommissioni (per tutte, Tar Lazio, I, 15 gennaio 2009, n. 233), non assume alcuna portata viziante la mancata indicazione nel verbale di correzione dell’avvenuta sostituzione dei componenti del collegio, carenza di cui, altresì, non è data neanche rinvenire la concreta e diretta potenzialità lesiva a danno della sfera giuridica della ricorrente.

Altrettanto è a dirsi in ordine alla circostanza, pure infine lamentata nella censura in trattazione, della asserita mancata conoscenza da parte dell’interessata degli estremi dei decreti di sostituzione dei componenti della Sottocommissione originariamente nominati.

4. La seconda censura propone, infruttuosamente, la annosa questione relativa alla sufficienza (o meno) del voto numerico di integrare, negli esami per l’abilitazione alla professione legale, compiuta motivazione del giudizio di inidoneità, nonché altri profili di censura, satellitari alla predetta questione principale.

4.1. In particolare, filo conduttore del motivo in trattazione è l’affermazione della ricorrente che il voto numerico non è idoneo ad esplicitare l’iter logico cui è riconducibile il giudizio di non idoneità reso in relazione alle prove scritte dell’aspirante avvocato.

L’argomentazione non è fondata.

E’ noto, infatti, che la prevalente giurisprudenza, cui la Sezione da sempre aderisce, anche in costanza di vigenza dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, ritiene che negli esami per l’abilitazione alla professione legale l’attribuzione del punteggio numerico agli elaborati dei candidati vale, di norma, a dare compiutamente ragione delle valutazioni effettuate sugli stessi dalla commissione esaminatrice, fatta salva la eventuale censurabilità del punteggio stesso per manifesta illogicità o inadeguatezza (C. Stato, IV, 4 maggio 2010, n. 2557; IV, 9 settembre 2009, nn. 5406 e 5410; IV, 6 luglio 2009, n. 4295; IV, 10 aprile 2009, n. 2241; IV, 27 gennaio 2009, n. 434; Tar Lazio, I, 9 ottobre 2009, n. 9850; 14 aprile 2009, n. 3771).

Ciò in quanto la valutazione del merito del candidato esprime un giudizio strettamente valutativo del grado di preparazione e di idoneità culturale (e non una ponderazione fra una pluralità di interessi in gioco ai fini dell’adozione di una statuizione provvedi mentale), che rende il voto numerico idoneo a identificare il livello di sufficienza o di insufficienza della prova sostenuta, senza la necessità di ulteriori indicazioni e chiarimenti a mezzo di proposizioni esplicative (C. Stato, V, 11 maggio 2009, n. 2880).

Può, ma solo per completezza, aggiungersi che un isolato indirizzo giurisprudenziale ha assunto l’inidoneità del punteggio numerico ad integrare l’obbligo motivazionale.

Ma tale indirizzo non ha avuto modo di radicarsi, anche per effetto della sentenza della Corte Costituzionale 30 gennaio 2009, n. 20, che esplicita che, nello svolgimento degli esami per l’abilitazione alla professione forense, l’orientamento assolutamente prevalente prima riportato, ripetutamente ribadito dalla giurisprudenza amministrativa, e consolidatosi al punto da costituire ormai "diritto vivente", è conforme ai parametri costituzionali del giusto processo e del diritto di difesa.

Ad abundantiam, poiché già sulla base di quanto sin qui rilevato si perviene con ogni chiarezza all’accertamento della infondatezza della censura, si riferisce che la Corte Costituzionale è tornata sul punto anche con la sentenza (pubblicata in data odierna) 8 giugno 2011, n. 175, confermando il proprio precedente orientamento.

In particolare, la Corte Costituzionale con la appena detta statuizione osserva: che l’art. 17bis, comma 2, del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37, e successive modificazioni, recante norme integrative e di attuazione relative all’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore, nel testo vigente stabilisce che "Per ciascuna prova scritta ogni componente delle commissioni d’esame dispone di dieci punti di merito; alla prova orale sono ammessi i candidati che abbiano conseguito, nelle tre prove scritte, un punteggio complessivo di almeno 90 punti e con un punteggio non inferiore a 30 punti per almeno due prove"; che l’art. 23, quinto comma, del medesimo testo normativo dispone che "La commissione assegna il punteggio a ciascuno dei tre lavori raggruppati ai sensi dell’art. 22, comma 4, dopo la lettura di tutti e tre, con le norme stabilite nell’articolo 17bis"; che l’art. 24, primo comma, del r.d. n. 37 del 1934 statuisce che "Il voto deliberato deve essere annotato immediatamente dal segretario, in tutte lettere, in calce al lavoro. L’annotazione è sottoscritta dal presidente e dal segretario".

Ciò posto, la Corte Costituzionale nota che, all’evidenza, il criterio prescelto dal legislatore per la valutazione delle prove scritte nell’esame de quo è quello del punteggio numerico, costituente la modalità di formulazione del giudizio tecnicodiscrezionale finale espresso su ciascuna prova, con indicazione del punteggio complessivo utile per l’ammissione all’esame orale.

Tanto rilevato, la Corte osserva che tale punteggio, già nella varietà della graduazione attraverso la quale si manifesta, esterna una valutazione che, sia pure in modo sintetico, si traduce in un giudizio di sufficienza o di insufficienza, a sua volta variamente graduato a seconda del parametro numerico attribuito al candidato, che non solo stabilisce se quest’ultimo ha superato o meno la soglia necessaria per accedere alla fase successiva del procedimento valutativo, ma dà anche conto della misura dell’apprezzamento riservato dalla commissione esaminatrice all’elaborato e, quindi, del grado di idoneità o inidoneità riscontrato.

La Corte non manca poi di osservare che, del resto, il punteggio espresso deve trovare specifici parametri di riferimento nei criteri di valutazione contemplati nell’art. 22, nono comma, del regio decretolegge n. 1578 del 1933; ed è soggetto a controllo da parte del giudice amministrativo che, pur non potendo sostituire il proprio giudizio a quello della commissione esaminatrice, può tuttavia sindacarlo, nei casi in cui sussistano elementi in grado di porre in evidenza vizi logici, errori di fatto o profili di contraddizione ictu oculi rilevabili, previo accesso agli atti del procedimento.

Alla luce di tutto quanto sopra, e rilevato che, con riguardo al punto di censura in trattazione, le doglianze dedotte dalla parte ricorrente non introducono alcun elemento che possa indurre il Collegio a discostarsi dalla consolidata giurisprudenza di cui si è appena fatta ricognizione, le stesse devono essere respinte.

4.2. Neanche le ulteriori doglianze che completano il quadro censorio introdotto con il motivo in parola trovano rispondenza nelle giurisprudenza amministrativa.

4.3. In particolare, è infondata la doglianza con la quale la parte ricorrente lamenta, quale ulteriore indizio di carenza di motivazione, la mancata apposizione sugli elaborati di segni grafici e di correzioni.

Rilevato che la censura va riferita ai due elaborati cui è stato attribuito il punteggio di 30, poiché per il terzo elaborato, cui è stato assegnato il punteggio di 25, è la stessa ricorrente a sostenere che vi sono sottolineature e osservazioni, osserva il Collegio che la giurisprudenza concordemente esclude a carico delle commissioni esaminatrici in procedure concorsuali l’onere di cui trattasi, stante l’assenza in loro capo di qualsiasi finalità didattica (C. Stato, IV, 9 settembre 2009, n. 5410; 6 luglio 2009, n. 4295; 24 aprile 2009, n. 2576; 27 gennaio 2009, n. 434; 12 giugno 2007, n. 3114; Tar Lazio, Roma, I, 10 aprile 2009, n. 3767).

Né, per tutto quanto sin qui riferito in tema di sufficienza della valutazione espressa mediante il voto numerico, la ricorrente può essere seguita quando afferma che la carenza nell’ambito del giudizio del richiamo ai predeterminati criteri di valutazione determina la insufficiente esternazione della rilevata inidoneità.

4.4. Sono altresì infondate, oltre che inammissibili, le censure con le quali si assume che gli elaborati della ricorrente sono stati articolati con proprietà di linguaggio e di contenuto, e che gli stessi meritavano un giudizio sicuramente favorevole ovvero maggiormente favorevole di quello conseguito, tenendo conto dei criteri predeterminati di valutazione.

Invero, tali argomentazioni attengono al merito delle valutazioni compiute dalla commissione esaminatrice, e, dunque, ad aspetto dell’attività di questa non sindacabile dal giudice amministrativo nella presente sede di mera legittimità (tra le tante, C. Stato, IV, 4 maggio 2010, n. 2557; 9 settembre 2009, n. 5406; 18 giugno 2009, n. 3991; 27 marzo 2008, n. 1248; 4 febbraio 2008, n. 294; Tar Lazio, Roma, I, 9 ottobre 2009, n. 9854; 14 aprile 2009, n. 3771).

E’ noto, infatti, che le valutazioni operate dalle commissioni esaminatrici sono censurabili unicamente sul piano della legittimità per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità del giudizio reso, se emergenti dalla valutazione stessa e ove tali da configurare un palese eccesso di potere, condizioni che non è dato ravvisare nella fattispecie alla luce delle dedotte doglianze.

Del resto, è parimenti noto che l’applicazione della norma tecnica non sempre si traduce in una legge scientifica universale, caratterizzata dal requisito della certezza: ed anzi, quando contiene concetti giuridici indeterminati, dà luogo ad apprezzamenti tecnici ad elevato grado di opinabilità (Tar Lazio, Roma, I, 25 giugno 2004, n. 6209).

Le censure tendenti a proporre una diversa modalità di definizione del tema oggetto di concorso (anche ove supportate, come nella specie, dall’allegazione di un parere pro veritate), rispetto a quella assunta dalla competente commissione di esame, non possono quindi essere seguite, venendo, altrimenti, a giustapporsi alla valutazione di legittimità dell’operato della Commissione una – preclusa – cognizione del merito della questione.

Va anche segnalato che ciò che conta, in sede di valutazione degli elaborati svolti in una procedura per l’accesso ad una professione a numero chiuso, non è solamente la esattezza delle soluzioni giuridiche propugnate e prescelte, ma anche la modalità espositiva.

Ove così non fosse, dovrebbe ammettersi che tutti i candidati estensori di elaborati recanti soluzioni corrette debbano necessariamente superare la prova concorsuale, il che non può sicuramente avvenire, posto che le finalità del concorso risiedono nella selezione dei migliori e non già di tutti coloro che dimostrino di saper comunque giungere a conclusioni esatte.

4.5. Va respinta, poiché generica, ogni argomentazione ricorsuale tendente ad evocare o ad asserire la genericità dei predeterminati criteri di valutazione che hanno retto la procedura in argomento, senza alcuna specificazione dei concreti rilievi dai quali parte ricorrente inferisce la sussistenza del vizio.

La censura va, altresì, respinta anche perché fondata su affermazioni ambivalenti e contraddittorie con altre affermazioni tendenti al tempo stesso ad affermare che, proprio in applicazione di tali criteri, gli elaborati della ricorrente meritavano un vaglio favorevole.

4.6. Da ultimo, non è fondata la pretesa di inferire la illegittimità della valutazione dalla rilevazione dei tempi medi di correzione degli elaborati degli esami di cui trattasi, alla stregua ugualmente del costante indirizzo giurisprudenziale, secondo cui sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo il controllo della loro durata, salvo che non emergano profili di assoluta arbitrarietà od illogicità, non rilevabili nella fattispecie.

In altre parole, non è possibile ritenere la irragionevole ristrettezza di detti tempi in base ad un computo presuntivo dato dalla suddivisione della durata di ciascuna seduta per il numero dei partecipanti o degli elaborati esaminati, considerata l’impossibilità, di norma, di stabilire quali di essi abbiano fruito di maggiore o di minore considerazione (C. Stato, IV, 9 settembre 2009, n. 5406; IV, 21 giugno 2007, n. 3407; 10 maggio 2007, n. 2182; IV, 12 dicembre 2006, n. 7284; 1° febbraio 2001, n. 367; Tar Lazio, Roma, I, 4 maggio 2009, n. 4488; 20 febbraio 2009, n. 1823).

Può aggiungersi che il calcolo effettuato dalla parte ricorrente, per cui la Commissione avrebbe corretto gli elaborati dedicando un tempo inferiore a circa tre minuti ad ognuno degli elaborati, non tiene conto di tutte le variabili di lavoro, quali, ad esempio, l’inesistenza di alcuni elaborati, l’estrema semplicità di altri, e, comunque, esprime un tempo congruo per la lettura di elaborati vertenti sulla stessa fattispecie.

A ciò deve aggiungersi che le operazioni materiali prodromiche alla correzione (quali, ad esempio, l’apertura delle buste) sono rimesse al segretario dell’organo valutatore, sicché il tempo impiegato per il loro compimento non può essere computato nel tempo di correzione.

5. Quanto alle argomentazioni espresse nella memoria difensiva depositata dalla parte ricorrente, esse sono in parte ripetitive di quelle già introdotte con il ricorso, e quindi nulla aggiungono alle questioni come sin qui trattate. Per il restante, ovvero in riferimento alle affermazioni tendenti a stigmatizzare il comportamento assunto dall’amministrazione nel non provvedere all’istanza di riesame, neanche a seguito delle due ordinanze cautelari della Sezione, di cui meglio in fatto, che presupponevano lo svolgimento di tale incombente, può solo rilevarsi che tale comportamento è stato conseguente ad una determinazione amministrativa, versata in atti, non fatta oggetto di impugnativa, ciò che preclude al Collegio la disamina della questione se nella specie sussistesse o meno l’obbligo di provvedere al riesame.

6. Per tutto quanto precede, il ricorso deve essere respinto.

Nondimeno, tenuto conto dell’andamento impresso dall’amministrazione resistente alla vicenda contenziosa, con particolare riferimento alla fase cautelare, il Collegio stima equo compensare tra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo respinge.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’8 giugno 2011 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giovannini, Presidente

Roberto Politi, Consigliere

Anna Bottiglieri, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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