Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 08-04-2011) 18-07-2011, n. 28434 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con ordinanza del 22 ottobre 2010, il GIP del Tribunale di Catania disponeva la custodia cautelare in carcere nei confronti di R.R., S.A., N.F., D. G. ed altri, indagati per il reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p. e L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies e L. n. 203 del 1991, art. 7 (sub G1), nei termini in prosieguo specificati.

Al D. erano, altresì, contestati i reati di cui ai capi della rubrica:

A), ai sensi dell’art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 4 e 6 per aver fatto parte, unitamente a numerose altre persone, dell’associazione mafiosa intesa Cosa Nostra della provincia di Catania, che si avvaleva della forza di intimidazione del vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà anche allo scopo di controllare l’esercizio delle attività economiche della zona territoriale di competenza.

D 15) ai sensi dell’art. 81 e art. 629, commi 1 e 2 in relazione all’art 628 c.p., comma 3, nn. 1) e 3) e L. n. 203 del 1991, art. 7 perchè, in tempi diversi e con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso con altre persone che agivano quali istigatori e beneficiari della condotta, con la minaccia implicitamente derivante dall’appartenenza all’associazione di tipo mafioso indicata al capo A), costringevano i proprietari dei terreni, tra cui O.P. (ovvero O.A. per la S.r.l.

Agriedil), F.G. e M.S. (per la Mar.Fer. S.r.l.), da cui la s.r.l. La Tenutella stava acquistando i lotti per il costruendo parco commerciale, a consegnare loro somme di denaro a titolo di "messa a posto" nella misura pari al 3% dell’importo del prezzo indicato nei rogiti o nella misura di circa 2,5 o 3 Euro al mq, in tale modo procurandosi un ingiusto profitto per un importo complessivo superiore ai 300.00 Euro, con altrui danno. Con l’aggravante di aver commesso il fatto quale partecipe delle associazioni di cui al capo A). Con l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 per aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni di assoggettamento e di omertà derivanti dalla appartenenza all’associazione di cui al capo A) ed alfine di agevolarne la realizzazione delle relative attività illecite. Con la recidiva reiterata. In (OMISSIS).

Pronunciando sulle richieste di riesame proposte in favore degli indagati, il Tribunale del riesame di Catania, con distinte ordinanze – di pressochè identico contenuto – rigettava le istanze, confermando l’impugnato titolo custodiale.

Avverso le anzidette pronunce i difensori hanno proposto distinti ricorsi per cassazione, ciascuno affidato alle ragioni di censura di seguito indicate.

2. – Il primo motivo del ricorso in favore di R.R. denuncia mancanza di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Osserva, in proposito, che nonostante fosse stata contestata all’indagato l’ipotesi delittuosa del riciclaggio rispetto alla quale il GIP non aveva ravvisato gravi indizi, la stessa fattispecie, quale fine dell’attività di trasferimento fraudolento di valori, era stata mantenuta nel capo d’imputazione. Nessuna motivazione era stata resa sul punto, ancorchè la produzione difensiva avesse dimostrato l’insussistenza di qualsiasi ipotesi di riciclaggio. Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 606, lett. b) per erronea applicazione del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies convertito in L. 7 agosto 1992, n. 356, con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato in questione.

Il terzo motivo lamenta mancanza e manifesta illogicità di motivazione, sotto il profilo della mancata considerazione della copiosa documentazione a discarico prodotta dalla difesa e di apposita consulenza tecnico-contabile che dimostrava la perfetta regolarità dei rapporti contabili e dei flussi finanziari riguardanti la s.r.l. La Tenutella.

Il quarto motivo deduce mancanza o manifesta illogicità di motivazione, con riferimento alla lettura delle intercettazioni in atti.

Il quinto motivo deduce violazione dell’art. 606, lett. b) per violazione dell’art. 271 c.p.p. in relazione agli artt. 267 e 269 c.p.p. sul rilievo che le telefonate intercorse tra Ma. e R., richiamate nel provvedimento impugnato, segnatamente quella del 10.6.2004, non erano state rinvenute in atti.

Il sesto motivo deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), erronea applicazione del D.L. n. 152 del 1991, art. 7 per insussistenza dei relativi presupposti.

Il settimo motivo deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) per inosservanza dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) e c) bis e art. 274 c.p.p. e art. 275 c.p.p., comma 3, con riguardo alla ritenuta attualità delle esigenze cautelari, nonostante precise evidenze fattuali ed investigative dimostrassero che, a tutto concedere, i rapporti del R. con gli altri coindagati erano cessati nel marzo 2009, alla data della vendita de La Tenutella s.r.l. ai costruttori sardi.

2.1 – Il ricorso in favore dell’avv. S.A. deduce, con il primo motivo, violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) in relazione all’art. 110 c.p. con riferimento alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies. Contesta, in particolare, la ricostruzione della complessiva vicenda offerta dai giudici del riesame che avevano, indebitamente retrodatato al momento dell’iniziale interposizione soggettiva dell’avv. S. del 10 gennaio 2002 la valenza negativa asseritamente connessa alle successive operazioni di interposizione. Contesta, altresì, la ritenuta consapevolezza dello stesso legale in ordine alle operazioni successive nonchè la lettura dei captati colloqui carcerari con il Ma..

Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) in relazione alla L. n. 203 del 1991, art. 7 con riferimento alla contestata circostanza del metodo mafioso.

2.2. – Il primo motivo del ricorso in favore del N. denuncia inosservanza della legge penale, ai sensi dell’art. 606, lett. b) con particolare riferimento all’art. 104 c.p.p., comma 3 sul riflesso che il giudice del riesame non aveva inteso censurare il provvedimento del GIP che aveva disposto la dilazione dei colloqui tra l’indagato ed il suo difensore, con grave violazione dei diritti di difesa e conseguente nullità dell’interrogatorio di garanzia.

Il secondo motivo deduce contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con riguardo alla ritenuta sussistenza del delitto di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies ed al ruolo che l’indagato avrebbe, asseritamente, svolto nella vicenda. Contesta, altresì, la ritenuta sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 e l’affermata attualità delle esigenze cautelari.

2.3 – Con unico, articolato, motivo il ricorso proposto in favore di D.G. deduce violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) per insussistenza di gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell’art. 192 comma 1, 2 e 3, art. 273, commi 1 e 1-bis in ordine ai reati contestati nonchè carenza di motivazione ai sensi dell’art. 125 c.p.p., comma 3. 3. – Evidenti ragioni di connessione e di economia espositiva consigliano, in limine, la riunione dei procedimenti in questione, nei termini indicati in dispositivo.

Sempre in linea preliminare, vanno brevemente esaminate le questioni di rito sollevate dai difensori di R. e di N., relative, rispettivamente, al mantenimento in rubrica della finalità di riciclaggio della contestata condotta illecita ed al mancato rilievo dell’illegittimità del decreto con il quale era stato disposto il differimento dei colloqui dello stesso N. con il suo difensore, a mente dell’art. 104 c.p.p., comma 3.

Entrambe le doglianze vanno rigettate, in quanto destituite di fondamento, a parte gli evidenti profili di inammissibilità che le connotano.

Quanto alla prima, è sufficiente il rilievo che la finalità di riciclaggio non era stata ritenuta dal GIP, siccome estranea alla dinamica della vicenda in esame, essendo del tutto irrilevante che l’originaria previsione sia stata, erroneamente, mantenuta in rubrica, a parte poi il rilievo che l’anzidetto fine non risulta riprodotto nella formulazione dell’accusa indicata nel primo foglio dell’ordinanza relativa al R. e che, ad ogni modo, in nessun passo della motivazione in esame si tiene conto, seppur indebitamente, di quella stessa finalità.

Per quanto concerne la seconda questione, la relativa doglianza si limita a riproporre l’eccezione già sollevata in sede di gravame, senza alcun specifico rilievo critico alle ragioni per le quali il giudice a quo l’aveva disattesa, osservando che, stante la peculiarità della fattispecie, sussistevano specifiche ed eccezionali ragioni di cautela che avevano, giustamente, indotto il GIP a differire l’esercizio del diritto dell’indagato di conferire con il suo difensore, senza che tale dilazione avesse comportato alcun pregiudizio per le ragioni della difesa, peraltro neppure adombrato.

Nel merito delle impugnative si osserva che leitmotiv delle stesse è la contestazione della ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies.

In proposito, va innanzitutto censurata la valutazione del giudice a quo che, in palese critica dell’operato del PM, quanto alla formulazione dell’addebito, ha ritenuto che nella fattispecie avessero dovuto ravvisarsi non una condotta illecita, ma tre distinti fatti di interposizione fittizia, in rapporto ai quali ha poi giudicato le singole posizioni, con ciò sostanzialmente immutando – per non consentito frazionamento – l’originaria contestazione. Ed infatti, l’imputazione, pur sempre provvisoria, era così descritta:

per avere in tempi diversi e con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, alfine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali e alfine di agevolare la commissione del reato di riciclaggio indicato al capo F1) attribuito fittiziamente al solo R.R. la titolarità di tutte le quote sociali della srl La Tenutella. Con l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 per aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni di assoggettamento e di omertà derivanti dall’appartenenza all’associazione di cui al capo A) ed alfine di agevolarne la realizzazione delle relative attività illecite. Si faceva, insomma, riferimento alla sola operazione negoziale, in virtù della quale il R. aveva acquisito la totalità delle quote societarie della s.r.l. La Tenutella. Il giudice del riesame ha, poi, ritenuto che integrassero l’illecito in contestazione anche la precedente intestazione di quasi tutte le quote in capo all’avv. S. (precisamente in ragione del 99%, con il restante 1% in testa alla moglie del R.) ed il successivo trasferimento del 50% delle stesse quote in favore di D.. E’ indubbio, in proposito, che – secondo indiscusso insegnamento di questa Corte regolatrice – il giudice del riesame possa modificare la qualificazione giuridica data dal P.M. al fatto per cui si procede, giacchè, in forza del generale principio di legalità, gli è sempre consentito attribuire il corretto nomen iuris al fatto descritto nell’imputazione, posto che tale modifica non incide sull’autonomo potere del pubblico ministero di esercizio dell’azione penale (cfr., tra le altre, Cass. sez. 6, 11.3.2003, rv. 225216; id. Sez. 1, 14,7,1997, n. 4864, rv. 208724).

Non gli è dato, invece, modificare il capo d’imputazione, attraverso il mutamento del fatto storico (cfr. Cass. sez. 1, 27.2.1996, rv.

204307), sia pure, come nel caso di specie, attraverso la disarticolazione e segmentazione dello stesso fatto ipotizzato in rubrica, facendo gemmare altre due autonomi addebiti.

Pur tenendo conto della fluidità dell’imputazione nella fase delle indagini preliminari, il fatto indicato dal PM deve costituire ineludibile parametro di riferimento, in rapporto al quale misurare l’idoneità del materiale investigativo ad assumere il coefficiente di gravità indiziaria tale da legittimare il titolo di custodia cautelare.

Nondimeno, stante la contestata ipotesi del concorso, per via del richiamato art. 110 c.p., l’operata frantumazione della fattispecie sostanziale per enuclearne tre fatti diversi, è recuperabile sotto il profilo della più agevole individuazione dell’apporto di ciascun indagato in tre fasi distinte della stessa fattispecie, che deve, pur sempre, essere colta ed apprezzata nella sua identità. Ma il riferimento ultimativo deve essere il fatto come indicato in rubrica, rispetto al quale, come segno di compartecipazione delle persone coinvolte, la fase antecedente e successiva devono ad esso intimamente rapportarsi, come eventuale momento propedeutico o strettamente consequenziale a quello stesso fatto. Ed è proprio in questa diversa angolazione che avrebbe dovuto essere calibrata la motivazione, piuttosto che essere strutturata nell’esame parcellizzato dei tre distinti momenti della complessa vicenda de La Tenutella, intesi come fatti-reato ontologicamente diversi, seppur collegati.

Ma non è solo questo il vizio che inficia il tessuto motivazionale dei provvedimenti in esame.

Appare fortemente censurabile, infatti, anche la stessa metodologia di redazione usata dal giudice a quo, che riversa nelle ordinanze oggi impugnate un profluvio di informazioni investigative e probatorie, talora slegate tra loro, assemblandole meccanicamente in un magmatico insieme argomentativo di non agevole lettura, sicuramente al di fuori del modulo legale di motivazione del provvedimento di riesame.

E’ indiscutibile, per vero, che l’assolvimento dell’onere motivazionale non è direttamente proporzionale al numero di pagine da redigere, ma alla capacità del contesto giustificativo di rendere, in forma essenziale e sintetica, le ragioni del decisum in rapporto alla natura ed alle precipue caratteristiche del provvedimento giudiziario. E l’ordinanza del tribunale del riesame, emessa in esito a procedimento incidentale in materia cautelare, è istituzionalmente preordinata alla verifica della legittimità del titolo genetico della custodia, che deve ovviamente passare attraverso il controllo dei due profili di legittimità e di opportunità (in essa ricompresi i canoni della proporzionalità e dell’adeguatezza) della misura cautelare, salva l’ipotesi della sua obbligatorietà, che, ovviamente, esclude l’esame del secondo profilo. Inoltre, lo scrutinio di legittimità deve limitarsi al rilievo della sussistenza – quantomeno – di indizi, dunque di elementi logico-inferenziali univocamente significativi in funzione del fatto in contestazione (ancora una volta, di quel fatto così come ipotizzato dal P.M.), ed al contestuale apprezzamento del tasso di gravità degli stessi, vale a dire in termini di qualificata probabilità di colpevolezza (cfr. Cass. Sez. Un. 22 marzo 2000, n. 11, rv. 215828).

Se il primo step dell’esame è meramente ricognitivo, il secondo è invece prettamente valutativo e concettuale ed entrambi devono concorrere, sostanziando l’essenza del riesame (cfr. Cass. sez. 4,16.2.2005, n. 19338, rv. 231554).

La motivazione, che compendia e rappresenta all’esterno siffatto composito giudizio, seppur in termini di sommaria delibazione, deve uniformarsi, dal punto di vista strutturale, al modello legale delineato dall’art. 546 c.p.p., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, volto alla peculiare verifica di cui si è detto. Ed è noto che lo schema legale di motivazione previsto dalla norma anzidetta, postula, tra l’altro, la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l’indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie (art. 546, lett. e). Adattando la formula alle peculiari caratteristiche del provvedimento de liberiate, può considerarsi che la sintesi dell’esposizione, raccomandata dalla norma, è qualità ancor più apprezzabile per la pronuncia cautelare, stante la sua destinazione funzionale, in un procedimento o subprocedimento incidentale, alla mera verifica di legittimità del titolo custodiale, con l’ovvia avvertenza che enunciazione di sintesi non deve equivalere a sacrificio della completezza, che è altra connotazione indeclinabile e coessenziale della motivazione-tipo.

La motivazione del provvedimento de liberiate deve, insomma, contenere la concisa indicazione degli elementi indiziari, da apprezzarsi sia analiticamente che in un contesto globale, con la conclusiva determinazione che dia conto, in esito ad un percorso giustificativo immune da errori di diritto o da discrasie logiche, della sommaria delibazione compiuta in termini di qualificata gravità di quel compendio indiziario. Ed a tale concisa esposizione deve pure fare riscontro, sempre con enunciazione sintetica, l’indicazione degli elementi di segno contrario offerti dalla difesa, volti a contrastare la valenza dimostrativa di quelli accusatori, con indicazione delle ragioni per le quali gli stessi sono stati disattesi.

Di talchè, un’esposizione – che, magari agevolata, come nella fattispecie in esame, dall’impiego della tecnica del copia ed incolla, offerta da diffuse applicazioni informatiche, attinga da appositi supporti magnetici intere attività investigative, limitandosi a riprodurne, pedissequamente, il contenuto (ad esempio, intere pagine di propalazioni di collaboratori di giustizia o dell’indiscriminato esito di captazioni telefoniche od ambientali), ai di fuori di ogni serio apprezzamento critico, volto a spiegare il significato dimostrativo ad esse attribuito – non può, certamente, ritenersi motivazione idonea.

Non può dirsi tale neppure una motivazione che non dia conto delle ragioni ex adverso prospettate e, a fortiori, una motivazione che non si sia fatto carico di esaminare la documentazione offerta dalla difesa per confutare gli elementi della prospettazione di accusa.

3.1 – Orbene, l’ipotesi accusatoria secondo la quale cosa nostra, così come altre forme di delinquenza organizzata, sia particolarmente attenta a cogliere in nuove iniziative imprenditoriali utili opportunità di infiltrazione o di redditività parassitaria, sotto forma di imposizione estorsiva, è tesi tutt’altro che fantasiosa od implausibile. La storiografia giudiziaria, maturata sulla base di pronunce passate in giudicato, e di elementi di conoscenza offerti dall’esperienza professionale possono, in tal senso, integrare la piattaforma giustificativa di una massima di esperienza, di collaudato affidamento. E’, tuttavia, ovvio che, nel passaggio dalla sfera del notorio e dal momento sociologico od epistemologico a quello giudiziario, è necessario che quel dato di conoscenza si attualizzi e storicizzi nelle forme dell’elemento probatorio (in seno al processo ordinario), ovvero dell’indizio grave, univocamente funzionale non all’accertamento di responsabilità, ma di una qualificata probabilità di colpevolezza (sul diverso versante delle misure cautelari e, quindi, del procedimento incidentale de libertate). E per quanto riguarda quest’ultimo ambito di giudizio, è necessario che il convincimento del giudice, in ordine all’esistenza non solo di meri indizi, ma di indizi particolari, dotati, cioè, dell’ineludibile connotazione di gravità significativa, deve essere esteriorizzato, per quanto si è detto, con una motivazione che abbia le forme di una giustificazione idonea e congrua.

E’ ius receptum, sulla scia dell’insegnamento di questa Corte regolatrice, nella sua più autorevole espressione (cfr. Cass. Sez. Un. n. 11/2000 cit), che, in tema di misure cautelari personali, allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, un vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti ad esso immanenti, se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione, riguardante la valutazione degli elementi indiziari, rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.

Come meglio di dirà oltre, la motivazione delle ordinanze impugnate, oltre a giustificare fondate censure quanto alla tecnica di redazione, non assolve all’onere giustificativo di cui si è detto e non da alcun conto delle obiezioni e della documentazione offerta dalla difesa.

3.2 – Già solo gli anzidetti deficit motivazionali giustificherebbero l’annullamento dei provvedimenti impugnati, ai fini di una necessaria rivisitazione delle posizioni degli indagati che trovi, poi, espressione in un insieme motivazionale privo delle rilevate manchevolezze.

Nondimeno, non sembra inopportuna, anche per intuibili ragioni di economia processuale, una più penetrante indagine della fattispecie in questione, al fine di individuare, sin d’ora, per ovvie ragioni di economia processuale (anche nella prospettiva della ragionevole durata del processo) altri canoni di lettura e di impostazione ai quali il giudice del rinvio dovrà uniformarsi, in rapporto alla specificità della vicenda.

Tale approfondimento consente di accertare che, oltre alle incongruenze per così dire formali, ossia d’impostazione metodologica, la motivazione in esame è affetta anche da palesi aporie sul piano sostanziale, che danno ulteriore ragione del disposto annullamento.

3.3. – Orbene, il tema dell’indagine, il cui contenuto è perspicuamente trasfuso nel capo d’imputazione, vuole che la complessa operazione negoziale relativa alla s.r.l. La Tenutella sia mero paravento giuridico, siccome strumento di interposizione fittizia di interessi mafiosi.

Il punto di partenza dell’assunto accusatorio è quel dato di esperienza, cui sopra si faceva cenno, secondo il quale nessuna grande iniziativa economica in Sicilia e, in genere, nel Meridione, sia realizzabile senza l’avallo e la parassitaria interposizione della delinquenza organizzata.

L’intrapresa imprenditoriale de La Tenutella, volta alla costruzione di un grosso centro commerciale, rientrava certamente, per rilevanza economica dell’iniziativa in sè e del presumibile indotto, nel novero dello grandi opere, tali da suscitare appetiti malavitosi. La complessa vicenda sostanziale si è poi sviluppata attraverso i seguenti snodi essenziali:

– Pacificamente, la società, all’uopo costituita, è creatura di un intraprendente imprenditore della zona, appunto R.R..

– Per ragioni rimaste oscure, il 10.1.2002, al momento della costituzione della società, la quasi totalità delle quote, pari al 99%, venne intestata al suo legale, avv. S.A., mentre il restante 1% fu attribuito alla moglie dello stesso R..

– In realtà, il 50% delle quote societarie sarebbe appartenuto a D.G., vero finanziatore dell’iniziativa, e socio occulto, in virtù di una scrittura privata del maggio 2002, di fatto mai rivenuta e conosciuta solo attraverso una conversazione telefonica intercorsa tra lo stesso D. ed il direttore dei lavori del centro commerciale, ing. A.S.. Secondo la prospettazione accusatoria, integralmente recepita dal giudice del riesame, il D. sarebbe legato alla consorteria mafiosa Santapaola-Ercolano e, all’epoca dei fatti, pendeva, a suo carico, un procedimento di prevenzione.

– Soltanto il 11.2.2003, per non chiarite ragioni, il R. uscì, per così dire, allo scoperto, acquistando dal S. la titolarità di tutte le quote.

– Il 17.11.2008 cedette, poi, il 50% di quelle stesse quote a D. G., che, dopo l’esito favorevole del procedimento di prevenzione a suo carico, nel 2004, non avrebbe più avuto ragione alcuna di occultare il suo interesse sostanziale alla vicenda societaria.

– Infine, nel marzo 2009, La Tenutella venne venduta ai costruttori sardi C., senza aver dunque realizzato il progetto di costruzione del centro commerciale in vista del quale era stata costituita.

Nell’arco temporale di svolgimento della vicenda, protrattosi per oltre sette anni, tre sarebbero – secondo il giudice a quo – i momenti salienti, ciascuno integrante, come si è detto in premessa, autonomo fatto-reato:

a) la costituzione della s.r.l. (10.1.2001); b) la cessione delle quote dal S. al R. (11.2.2003); c) la cessione del 50% delle quote dal R. al D. (17.11.2008); tutte riconducibili al paradigma delittuoso dell’art. 12 quinques.

La segmentazione della vicenda, sulla base del censurato approccio del giudice del riesame, non consente di cogliere, in prospettiva di assieme, il senso compiuto della contestazione, ai fine di verificare, in concreto, il livello di coinvolgimento di ciascun indagato, nell’ottica dell’interposizione fiduciaria, che, per espresso dettato normativo, deve essere direttamente funzionale ad uno dei fini specifici indicati dalla norma, nella specie quello di consentire l’elusione delle disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali (ossia proprio il fine che, secondo l’imputazione, avrebbe orientato l’intera operazione societaria in questione), allo scopo di sottrarre le utilità economiche all’effetto ablativo di una misura di prevenzione patrimoniale, anche se la stessa non sia stata ancora applicata (cfr.

Cass. sez. 5,15.1.2009, n. 5541, rv. 243163).

Nell’impostazione atomistica sfuggirebbe, infatti, il senso della contestazione riguardo al primo segmento, posto che l’interposizione fittizia – merce il coinvolgimento dell’avv. S. – sarebbe volta in favore del rappresentato R., che non risulta, però, inserito in alcun sodalizio delinquenziale nè genericamente sospettato di appartenenza ad esso sì da poter essere destinatario di misure di prevenzione patrimoniali, che l’interposizione avrebbe dovuto essere intesa ad eludere. Così, il terzo segmento, in sè considerato, si porrebbe certamente al di fuori degli schemi concettuali del trasferimento fraudolento di valori, proprio in quanto la persona asseritamente interessata, ossia il D., in tale fase è parte formale e sostanziale della negoziazione, tanto da risultare formalmente, e dunque pubblicamente, destinatario del 50% delle quote già acquistate dal R..

Lo stesso momento (ritenuto) centrale della complessa vicenda, ossia l’acquisto della totalità delle quote da parte del R., di per sè considerato, si porrebbe come atto negoziale del tutto neutro ed indifferente.

La situazione può mutare radicalmente, ove, abbandonata la prospettiva atomistica, si inquadrino i singoli segmenti in una visione di assieme non già nella direzione, ritenuta dal giudice a quo dell’individuazione di tre distinte fattispecie di intermediazione fattizia, sia pure riunite in continuazione (istituto che, incidendo solo quoad penam, lascia ovviamente impregiudicata l’autonomia dei singoli reati affasciati dal relativo vincolo), ma, come si è detto, nella logica del concorso di persone nel reato.

In una siffatta angolazione, il significato criminoso delle condotte in questione può essere recuperato, ma il recupero passa attraverso la verifica di elementi tali da far ritenere che il R. già ab origine fosse portatore di interessi illeciti, nella specifica logica elusiva di cui si è detto; che il S. fosse consapevole di siffatta qualità del suo interlocutore-cliente, tanto da prestarsi, attraverso l’interposizione fiduciaria, di assecondare non già mere aspettative del R. (magari ispirate ad interessi diversi, anche se, in ipotesi, contra legem), ma di consentire al D. di sottrarsi, tramite la collaborazione del R., alle conseguenze del procedimento di prevenzione patrimoniale a suo carico; che il R., in seconda battuta, fosse portatore, magari tramite la persona del D., di interessi di altri personaggi legati a consorterie criminali quali il Ma. ed il N. ritenuti appartenenti alla cosca Santapaola-Ercolano, e, in tale qualità, interessati, a loro volta, ad eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali ipotizzabili a loro carico.

E’ pacifico, del resto, che il reato di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies integra fattispecie a concorso necessario, poichè il soggetto agente in tanto può realizzare l’attribuzione fattizia di beni, in quanto vi siano terzi che accettino di acquisirne la titolarità o la disponibilità (cfr. Cass. sez. 6, 26.2.2004, n. 15489, rv. 229343). D’altronde, è parimenti indiscusso che, in sede cautelare, la gravità di indizi debba investire il reato nella sua globalità, non solo dunque nei suoi componenti oggettivi, ma anche nella dimensione soggettiva (cfr. Cass. sez. 4 n. 19338/2005 cit.). E l’inconsapevolezza da parte del terzo del fine illecito, in base al quale la persona sottoposta o sottoponibile a misure patrimoniali agisce, rileva al fine di escludere in capo allo stesso terzo la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

In linea di mera ipotesi, a sostegno dell’assunto accusatorio che dietro l’operazione La Tenutella vi fossero interessi mafiosi, potrebbero deporre, oltre al dato sociologico di cui si è detto, le asserite iniziative volte a convincere (le cd. messe a posto) i proprietari dei terreni sui quali, secondo progetto, avrebbe dovuto essere realizzato il centro commerciale; i riferimenti a tali attività estorsive, tra le quali quelle in danno di O. P., in danno della società IRA Costruzioni e del suo amministratore G.; le dichiarazioni del collaboratore di giustizia O.P., secondo cui dietro il R. stava il D. che finanziava l’iniziativa; gli asseriti rapporti che il D. avrebbe a sua volta avuto con N. e Ma., dei cui interessi sarebbe stato portatore. Valido indizio potrebbe dunque essere la qualità di socio occulto del D., e per suo tramite del N., ove fondatamente sostenibile, e sempre nell’ottica, per lui astrattamente configurabile, dell’elusione delle norme di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale (cfr.

Cass. sez. 1, 15.10.2003, n. 43049, rv. 226607).

Ma, in mancanza di prospettiva globale e del necessario approfondimento d’indagine, di cui si è detto, gli anzidetti elementi non sembrano raggiungere il livello di gravità indiziaria necessario a supportare, sia pure in termini di qualificata probabilità di colpevolezza, l’impostazione accusatoria. Rispetto alla quale può anche essere irrilevante che la Tenutella non abbia poi realizzato il progetto di costruzione del centro commerciale, essendosi comunque risolta, a quanto pare, in una remunerativa operazione finanziaria e speculativa, con notevoli plusvalenze sul valore delle quote societarie, rivendute ad un prezzo di gran lunga superiore al valore nominale di acquisto.

Insomma, anche se non priva di verosimiglianza e plausibilità, l’impostazione di accusa recepita dal giudice del riesame, in mancanza dei dovuti approfondimenti, appare affidata a troppe supposizioni e congetture, risultando gravemente carente sul punto focale dell’intera vicenda, ossia la provenienza dei mezzi finanziari investiti nell’operazione, anche per le finalità speculative di cui si è detto. In particolare, anche ad ammettere che, per il tramite di D., il N. – così come il Ma. – fosse interessato all’operazione societaria in esame, non risulta indicato alcun specifico elemento a conforto dell’ipotesi che egli abbia investito sue disponibilità finanziarie, al fine di sottrarle alle misure patrimoniali conseguenti a procedimenti di prevenzione in corso od anche solo paventati.

Per confutare l’assunto accusatorio in ordine alla provenienza dei mezzi finanziari a sostegno dell’iniziativa La Tenutella la difesa del R. ha sostenuto di aver prodotto documentazione ed una consulenza tecnico-contabile al fine di dimostrare la liceità delle fonti di finanziamento, tra cui il ricorso al credito bancario. Tale documentazione e le relative deduzioni difensive non sono state valutate dai giudici del riesame, nonostante la loro ipotetica, specifica, rilevanza. E’ di tutta evidenza, infatti, che, ove fosse realmente dimostrata la liceità dei flussi finanziari a sostegno dell’anzidetta operazione resterebbe, per ciò solo, scardinato il teorema accusatorio, con riflessi diretti sulla posizione non solo del R., ma anche degli altri indagati odierni ricorrenti.

Il mancato approfondimento dei profili anzidetti e l’omesso esame delle allegazioni difensive si risolve, pertanto, in un vizio della motivazione.

Infine, la tenuta logica dell’impianto accusatorio dovrà essere verificata anche alla luce di due elementi all’apparenza distonici o, comunque, eccentrici rispetto all’impostazione di accusa.

In primo luogo, la compatibilità con la ritenuta caratura mafiosa del D. della circostanza che lo stesso indagato, per far valere il suo diritto ad una parte delle quote societarie de La Tenutella, avrebbe avuto davvero bisogno che la rivendicata titolarità fosse formalizzata in una scrittura privata (alla quale si fa riferimento nella menzionata captazione telefonica), da far valere in tutti i tribunali d’Italia. Ed ancora, la compatibilità logica con l’assunto accusatorio – fondato, per quanto si è detto, sulla provenienza mafiosa, a scopo elusivo, delle disponibilità patrimoniali della società anzidetta – delle allegazioni difensive secondo cui il R., di propria iniziativa, avrebbe stipulato due preliminari di vendita di quote societarie, riversando le somme relative agli acconti percepiti sul suo conto corrente bancario e persino, secondo quanto si assume quest’oggi, destinandole all’acquisto di un appartamento a suo nome: precisamente, nell’agosto 2004, un preliminare di vendita con CUBBA s.r.l.; ed il 15.5.2007, un preliminare con altra società, la Gallotti spa.

4. – Per quanto concerne gli altri addebiti specificamente contestati al D. (partecipazione ad associazione mafiosa ed estorsioni aggravate), nella struttura motivazionale dell’ordinanza che lo riguarda un rilievo preponderante (basti considerare il numero delle pagine dedicate: 43 sulle 48 complessive) viene assegnato alla vicenda de La Tenutella. Anzi, il giudice del riesame ritiene, espressamente, che le tre ipotesi di reato in contestazione siano tutte legate da una circolarltà reciproca che vede nella vicenda della Tenutella … un punto denominatore comune e imprescindibile nella disamina legata alla correttezza delle contestazioni mosse al D., soggiungendo che sia la contestazione legata alla associazione sia quella inerente i fatti di estorsione risultano, infatti, fortemente connesse alla vicenda imprenditoriale in esame.

Il rilievo argomentativo addotto a sostegno dell’assunto è che la partecipazione dell’indagato alla consorteria mafiosa ed alle estorsioni di cui al capo D15) sono funzionalizzate o comunque correlate alla iniziativa imprenditoriale in esame.

Proprio in virtù della rilevata centralità della fattispecie di cui al capo G1) e dell’affermato valore condizionante della stessa, che farebbe non solo da sfondo, ma anche da momento di riscontro delle altre ipotesi delittuose, è evidente che, qualora la rivisitazione critica del quadro indiziario, per come disposta da questo Collegio, anche sulla base della documentazione offerta dalla difesa, portasse a negare ogni idoneità in funzione dell’addebito di cui all’anzidetto capo G1, potrebbe venir meno anche l’ipotizzata idoneità a sostegno delle altre fattispecie delittuose. Spetterà, comunque, al giudice del rinvio, ove per ipotesi non ritenesse la sussistenza di gravi indizi nei confronti della fattispecie delittuosa di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinques valutare se gli ulteriori, residui, indizi possano essere ritenuti idonei a legittimare il titolo custodiale con riferimento alle altre due ipotesi delittuose.

5. – Per tutto quanto precede, le ordinanze impugnate oggetto dei procedimenti riuniti devono essere annullate, con rinvio al competente giudice del rinvio perchè proceda a nuovo esame, in esito al quale renderà motivazione priva delle rilevate incongruenze.

P.Q.M.

Riuniti preliminarmente al procedimento n, 4393/2011 a carico di R.R. i procedimenti n. 4376/11 sa carico di S. S., n. 5813/11 a carico di N.F. e n. 6009/11 a carico di D.G., annulla le relative ordinanze impugnate con rinvio per nuovo esame al Tribunale del riesame di Catania. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp.att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *