Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-03-2011) 18-07-2011, n. 28214 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Venezia, con sentenza del 4.5.2010, confermava la sentenza 18.5.2009 del Tribunale di Padova, che aveva affermato la responsabilità penale di E.A. in ordine al reato di cui:

– al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 80 (per avere illecitamente detenuto a fini di spaccio sostanza stupefacente del tipo oppio (grammi 4.459,922 con contenuto complessivo di morfina pari a grammi 432,340 corrispondenti a 17.889 dosi medie singole) e del tipo hashish (grammi 6.712,3 con contenuto complessivo di delta-9 THC pari a grammi 422,249 corrispondenti a 16.889 dosi medie singole) – in (OMISSIS)) e lo aveva condannato alla pena principale di anni dodici di reclusione ed Euro 60.000,00 di multa ed alle pene accessorie di legge.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, il quale – sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione – ha eccepito:

a) l’incongruo riconoscimento dell’aggravante della quantità ingente di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, non avendo la Corte territoriale "dato conto di avere svolto un apprezzamento sull’area di destinazione della sostanza stupefacente e sul bacino di utenza a questa riferibile";

b) la illegittimità del diniego sia dell’attenuante speciale della collaborazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, sia delle circostanze attenuanti generiche;

c) l’eccessività della pena.

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè tutte le doglianze anzidette sono manifestamente infondate.

1. Quanto alla prima doglianza, l’accertamento di cui il ricorrente lamenta la carenza non era necessario, dovendosi ribadire la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale:

– la circostanza aggravante della quantità ingente di sostanze stupefacenti cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 è configurabile quando, sulla base di un accertamento che il giudice di merito deve condurre in concreto – indipendentemente dal riferimento a prefissati indici quantitativi, non contemplati dal legislatore – la sostanza sequestrata sia tale da costituire un rilevante pericolo per la salute pubblica, in quanto idonea a soddisfare le esigenze di un numero elevato di tossicodipendenti, senza che rilevi la situazione del mercato e la sua eventuale saturazione, trattandosi di un elemento di difficile valutazione, considerata l’impossibilità di disporre al riguardo di dati certi e verificabili in concreto (vedi Cass.: sez. 4, 30.6.2010, n. 24571, Iberdemaj; sez. 6, 6.3.2008, n. 10384, Sartori);

– ai fini della sussistenza della circostanza aggravante in oggetto, non è necessario che il quantitativo della sostanza stupefacente sia in grado di determinare la saturazione del mercato in una determinata area, in quanto tale elemento è ultroneo rispetto alla ratto della norma, rappresentata dalla tutela della salute pubblica, e non è suscettibile di positivo accertamento, essendo quello degli stupefacenti un mercato clandestino (Cass., sez. 5, 20.10.2008, n. 39205, Di Pasquale ed altri).

2. Legittimo deve ritenersi poi il diniego dell’attenuante speciale della collaborazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte:

– ai fini del riconoscimento dell’attenuante in oggetto è necessario che la collaborazione prestata porti alla sottrazione di risorse ed eviti la commissione di ulteriori attività delittuose (Cass., sez. 6, 3.6.2010, n. 20799, Sivolella ed altri);

– la collaborazione dell’imputato deve avere connotazioni di particolare efficacia (riferita all’intero arco della condotta illecita e non soltanto ad alcuni segmenti di essa) e rilevanza ai fini della neutralizzazione dell’attività criminosa (Cass., sez. 4:

17.12.2008, n. 46435, Finazzi ed altro; 9.3.2007, n. 10115, Galati).

Nella fattispecie in esame, invece, i giudici del merito hanno razionalmente illustrato come l’imputato non abbia offerto tutto il suo patrimonio di conoscenza per evitare che l’attività delittuosa, nelle sue varie articolazioni di approvvigionamento, detenzione e commercio, fosse portata a conseguenze ulteriori.

Logicamente è stato così dedotto che l’imputato medesimo, in sostanza, non ha influenzato in modo decisivo le indagini, orientandole verso quadri probatori in precedenza non oggetto di investigazioni, nè la difesa prospetta in ricorso la sussistenza di elementi collaborativi connotati dalle necessarie caratteristiche di efficacia e rilevanza dianzi evidenziate.

3. Le attenuanti generiche, nel nostro ordinamento, hanno lo scopo di allargare le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole al reo, in considerazione di situazioni e circostanze particolari che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità di delinquere dell’imputato.

Il riconoscimento di esse richiede, dunque, la dimostrazione di elementi di segno positivo.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, la concessione o il diniego delle attenuanti generiche rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere bensì motivato ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.

Anche il giudice di appello – pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante – non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione.

Nella fattispecie in esame, la Corte di merito, nel corretto esercizio del potere discrezionale riconosciutole in proposito dalla legge – in carenza di congrui elementi di segno positivo – ha dato rilevanza decisiva alle "modalità eccezionalmente gravi del fatto" ed alla "totale mancanza di resipiscenza" dedotta dal comportamento processuale negativo dell’imputato.

4. La pena risulta motivatamente correlata ai criteri direttivi di cui all’art. 133 cod. pen. (oggettiva entità della condotta illecita e personalità negativa dell’imputato).

5. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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